"Prendere un bambino in affido significa donare gioia a chi è in difficoltà"

Paola Lupparelli e Paolo Berni, pensionati di Campi Bisenzio, dal 1994 hanno accolto nella loro casa tantissimi minori. E lanciano un appello per sensibilizzare agli italiani

di CATERINA CECCUTI -
2 ottobre 2023
famiglia affidataria

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Paola Lupparelli e Paolo Berni sono giovani pensionati che da vent'anni accolgono minori in affido. “C'è tanto bisogno di famiglie affidatarie e, purtroppo, scarsissima offerta – dicono rivolgendo un appello agli italiani –. Aprite le porte a bambini con famiglie che versano in condizioni di reale necessità” Loro dalla vita hanno ricevuto "tutto quello che desideravamo", spiegano. "Perciò abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di donare un po' della nostra fortuna a bambini con famiglie in difficoltà”.

Una famiglia "allargata"

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La famiglia allargata di Paola e Paolo è sempre pronta ad accogliere un nuovo membro

Quando parlano di fortuna Paola e Paolo, pensionati 71enni residenti a Campi Bisenzio (FI), non si riferiscono né ai soldi né ad alcun bene materiale. Piuttosto all'amore reciproco che coltivano fin da quando erano giovani e alla bellezza della loro famiglia... una famiglia allargata, anzi molto allargata, per via del fatto che, dopo aver avuto un figlio biologico e averne adottato un altro, i due coniugi hanno deciso di diventare genitori affidatari. Così, nel corso degli ultimi vent'anni, molti bambini hanno transitato tra le mura della loro casa, alcuni permanendo pochi mesi altri, addirittura, diversi anni. Come nel caso di Emanuel, che è arrivato da loro ad appena due anni e, oggi, dopo 13 anni si trova ancora sotto la loro tutela.

Com'è nata l'idea

“Sono arrivata in Toscana dalla natia Foligno quando ancora lavoravo come conduttore nelle Ferrovie dello Stato", spiega Lupparelli a Luce!. "Quando nel 1989 abbiamo preso residenza a Campi Bisenzio, ho deciso di lasciare il lavoro per incompatibilità con gli orari di mio marito, che invece faceva parte del personale viaggiante FS, e con quelli di nostro figlio, di appena 3 anni. Sono rientrata in quelli che allora venivano chiamati i “baby pensionamenti”. Non ho mai rimpianto la mia scelta e mi sono subito trovata bene nella nuova condizione di casalinga. Successivamente abbiamo deciso che era arrivato il momento di realizzare un progetto cui stavamo pensando da un po' di tempo: adottare un figlio. Non è stato facile, ci sono voluti ben tre anni e un percorso difficile, ma alla fine, nel maggio del 1995, abbiamo finalmente accolto nella nostra casa un bambino di 5 anni arrivato da un Paese lontano”.

Porte aperte all'affidamento familiare

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Lupparelli con il piccolo Adam

Il sogno dei due si realizza: un figlio biologico e uno adottato, come avevano sempre desiderato. “Quando nel 2003 anche mio marito è arrivato alla pensione – continua la donna – eravamo entrambi abbastanza giovani per poterci dedicare ad un servizio che ci permettesse di rendere alla società una parte dei benefici e delle gioie che la vita ci aveva riservato, oltre ad essere nostro desiderio occuparci di bambini. Decidemmo perciò di prenderci cura temporaneamente, insieme e in accordo anche con i nostri figli, di bambini con famiglie in difficoltà, ossia di aprire le nostre porte all'affidamento familiare”. Ecco allora che viene ospitato un primo bimbo di 9 anni. Inizialmente doveva trattarsi di un affido di appena tre o quattro giorni, alla fine è durato sei mesi. “In quell'occasione abbiamo avuto ampia cognizione di cosa significasse occuparsi di un minore che viene da una famiglia in difficoltà: i problemi, le gioie e i legami di amore che si vengono a creare. Da allora molti altri hanno attraversato la nostra vita, vivendo insieme a noi per periodi più o meno lunghi. Diventare una famiglia affidataria significa accettare di farsi carico di preoccupazioni, responsabilità, problemi con le famiglie d’origine e con le istituzioni, che certamente non mancano e che per forza di cose sono parte di questa scelta di vita. Però, soprattutto, significa ricevere gioie ed emozioni grandissime, perché si è consapevoli di fare qualcosa di prezioso per gli altri”.
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Nella foto con la donna al centro ci sono Brahim, Adam, Thomas, Edem, Carlo e Lorenzo

Da sempre impegnata nel volontariato come donatrice di sangue, per oltre vent'anni Paola ha partecipato attivamente alle attività dell'Associazione Nazionale Famiglie Affidatarie e Adottive. È attualmente presidente dell’Auser di Campi Bisenzio, per la quale si occupa principalmente di socialità e dell'organizzazione di iniziative dedicate agli anziani. Per lei e per suo marito, però, la missione più importante è quella di testimoniare la propria esperienza come famiglia affidataria.

"Molti minori hanno bisogno di una famiglia"

Perché è così importante sensibilizzare sul tema dell'affido? “Perché c'è un bisogno disperato di disponibilità. Ci sono molte situazioni di emergenza che riguardano i minori e che necessitano dell'aiuto di tutti. L'aspetto più importante che emerge dalle testimonianze di chi, come noi, ha scelto di diventare genitori affidatari, è abbattere il preconcetto che accogliere un bambino in affido significhi condannarsi a vivere situazioni complicate, invece è più difficile parlarne che metterlo in pratica. Non sono richieste case grandi, redditi alti ecc.; è sufficiente avere la possibilità di ospitarli”. Quando parla di “situazioni di emergenza” cosa intende esattamente? “Le faccio un esempio pratico: uno dei bambini di cui siamo stati affidatari non aveva neanche sei mesi, la madre lo aveva lasciato nello studio della pediatra dicendo 'Io non ce la faccio ad accudirlo'. Sia lei che il marito avevano grandi problemi di dipendenza da droga. La pediatra ha reagito chiudendo immediatamente lo studio e chiamando una psicologa e un assistente sociale, che hanno preso il bambino in custodia. La madre è tornata a casa a prendere le poche cose del piccolo. Dopo di che ci hanno chiamato, nell'arco di un'ora dovevamo decidere se prendere o no il bambino con noi. E un'ora dopo eravamo lì. Il tutto si è risolto in appena quattro ore”.
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Berni in bici con un bambino preso in affido con la moglie

In quali condizioni era il piccolo? “Versava in cattive condizioni, aveva un brutto eritema esteso sulla cute. Lo trovammo fermo, immobile nel suo trasportino. Non aveva pianto per tutta la mattina, la pediatra era preoccupata ma poi, quando il piccolo ci ha visto, ha fatto un sorriso. Lo abbiamo messo in macchina, lui continuava a non piangere e a stare immobile, durante il viaggio però ha iniziato a lamentarsi e noi abbiamo potuto tirare un sospiro di sollievo.” Quanto tempo è rimasto con voi? “Ventidue mesi, vedendo la madre due volte in tutto, per un'ora ciascuna. Con lei abbiamo stabilito un buon rapporto; quando chiamava io le dicevo che facevo sentire la sua voce al bimbo e che lui sorrideva. Stiamo parlando di una ragazzo che ormai ha compiuto 16 anni”. Cosa successe dopo i 22 mesi di affido? “È stato accolto in un'altra famiglia affidataria, insieme al fratellino di 4 anni. Staccarci da lui è stato molto doloroso, tanto che nell'ultima settimana, quando ormai sapevamo che sarebbe andato via, abbiamo dormito tutti e tre abbracciati. Capitò quella volta ciò che poi è capitato successivamente anche con Emanuel: mi sono dimenticata di non averli partoriti io. Il bimbo di 6 mesi ha fatto tutto insieme a noi: dalla varicella ai dentini, fino ai primi passi. Mi ci è voluto un anno per riprendermi, mio marito Paolo dice che quel distacco ancora non l'ha superato. Il piccolo andò via a settembre, poi l'aprile successivo è arrivato Emanuel, e siamo ripartiti. Si sa che i bambini in affido sono figli a termine e che quando si conclude l'affidamento significa che la loro condizione di vita si è risolta o che, comunque, le cose per loro si stanno finalmente sistemando. Siamo preparati a questo, ma ciò non significa che non si stia male quando li si vede andare via. Oggi, quel bambino di appena 6 mesi che abbiamo accolto in casa nostra, ha compiuto 16 anni. Per fortuna continuiamo a vederlo e siamo legati alla famiglia attuale".
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La pensionata stringe il piccolo Edem

Il dolore della separazione

Ci parli di Emanuel, il bambino che avete in affido da ormai 13 anni... “Anche la sua fu una situazione di emergenza. La mamma era allo stadio finale di un cancro. Le avevano dato un mese di vita, invece visse due mesi e mezzo. Dico sempre che Emanuel in realtà non ce lo hanno affidato i servizi sociali, ma sua madre. Quando morì portammo il bambino a vederla, ma lungo i corridoi dell'Ospice l'infermiera mi disse “Lidia era contenta, perché sapeva che Emanuel sarebbe rimasto con una famiglia che lo avrebbe trattato come un figlio”. Inizialmente avevamo dato disponibilità di accudirlo fino alle scuole elementari. Alla fine però lo abbiamo tenuto con noi perché dopo tre anni si era ormai stabilito un rapporto importante. Il padre biologico telefona regolarmente due volte a settimana e lo vede una volta o due l'anno, per trenta minuti.” Se il padre è ancora presente non potete adottarlo... “In realtà potremmo, attraverso un'adozione particolare che prevede la continuazione del rapporto con il padre biologico. Ma non abbiamo voluto farlo, perché ormai siamo anziani e abbiamo paura che, se dovessimo trovarci in difficoltà gravi o dovessimo ammalarci, fino a quando Emanuel è in affido qualcuno se ne prenderebbe sicuramente cura. I miei figli non possono farlo perché il maggiore si trova a Stoccolma e l'altro non sarebbe in grado. Resta il fatto che si vogliono tutti molto bene, tanto che Emanuel dice sempre di voler andare a studiare informatica a Stoccolma perché adora suo fratello”.
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Lupparelli con Brahim e gli altri

Quanti bambini avete presi in affido in tutto? “Il primo affidamento è stato nel 1994. Da allora, diciamo che a lungo termine e a tempo pieno ne abbiamo avuti altri due. A tempo parziale (ossia prendendoli la mattina e riportandoli la sera dai genitori) altri due. Con le famiglie naturali abbiamo sempre voluto avere ottimi rapporti. Addirittura, con una famiglia marocchina avevamo legato talmente tanto da considerarci una specie di famiglia unica allargata. Anche adesso, seppur distanti, siamo sempre in contatto. Avere un ottimo rapporto con i genitori biologici è essenziale, perché va a beneficio prima di tutto del bambino.” Ci parli del vostro impegno... “Da sempre organizzo incontri sulla promozione e sull'informazione relative all'affidamento, invitando psicologi, giudici di tribunali, assistenti sociali ecc. L'anno scorso ne è stato fatto uno con la collaborazione del Centro affidi, e avrei voglia di riproporne un altro nel 2024. Il problema è che sono sempre incontri poco frequentati. Le famiglie hanno paura a compiere un passo simile. Le difficoltà indubbiamente non mancano. Per i figli affidamenti dobbiamo rendere conto al Centro affidi, agli assistenti sociali e alla famiglia biologica. Indubbiamente si hanno timori e preoccupazioni in più rispetto ai figli biologici. Però parliamo di un'esperienza di vita pazzesca, importante da vivere anche per eventuali altri figli che ci sono in famiglia.” Siete stati e siete ancora due pensionati giovani e in buona salute. In molti vi avranno chiesto “chi ve lo fa fare”? “In effetti potevamo viaggiare e goderci un po' la vita. Ma la verità è che avevamo ancora tutto questo amore da donare e tanta predisposizione verso i bambini, perciò abbiamo fatto questa scelta. Una scelta che tutt'ora viviamo come una cosa bella e come un ringraziamento alla vita. Da giovani desideravamo un figlio ma il medico mi disse che non avremmo potuto averne. Invece il figlio è arrivato. Poi desideravamo adottare un bambino, anche in questo caso abbiamo dovuto superare mille difficoltà, ma alla fine ci siamo riusciti. Grati per tutto questo, desideravamo rendere agli altri almeno parte della nostra fortuna."