La 19enne vittima di stupro ad opera di sette ragazzi a Palermo, il 7 luglio scorso, torna a
sfogarsi per le accuse ricevute dopo aver pubblicato contenuti sul suo account social.
Lo sfogo della vittima
"Sinceramente
sono stanca di essere educata, quindi ve lo dico in francese, mi avete rotto i c... con cose del tipo 'ah ma fa i video su TikTok con delle canzoni oscene', 'è normale che poi le succede questo'". La solita vecchia retorica del "
se l'è cercata", che colpevolizza la vittima insomma, e contro cui sembra non esserci argine. Quando poi le critiche, le accuse, persino le minacce arrivano dai familiari degli aggressori la situazione appare a dir poco drammatica.
Una storia sui social della 19enne vittima di stupro
Su Instagram la giovane punta il dito contro chi continua ad accusarla di essersi meritata la violenza del branco, criticando i video che ha pubblicato in questi giorni sui suoi profili: "Me ne dovrei fregare, ma non lo dico per me più che altro se andate a scrivere cose del genere a ragazze a cui succedono cose come me, e fanno post come me,
potrebbero ammazzarsi. Sapete che significa suicidio?", accusa. "Già sapevo che qualcuno avrebbe fatto lo scaltro, ma io rimango me stessa e manco se mi pagate cambio, perciò chiudetevi la boccuccia - afferma - piuttosto che
giudicare una ragazza stuprata".
La doppia violenza: chi si vanta e chi giudica
La
Rete, le chat e soprattutto i
social sono centrali nella vicenda di Palermo. Perché proprio dalle conversazioni sui cellulari e dall'analisi dei profili dei sette indagati sono emerse prove della violenza, parole orribili pronunciate, o meglio scritte e diffuse tra i fan per raccontare - vantandosene - l'accaduto. Che poi non una partitella a calcetto o una cena tra amici, ma una violenza sessuale su una persona, in carne ed ossa.
Il cantiere abbandonato al Foro Italico di Palermo dov'è avvenuta la ciolenza sulla 19enne lo scorso 7 luglio
Quella 'gatta' su cui sette cani si sono avventati come una preda, abusando del suo corpo come se fosse un oggetto del piacere e poi
parlandone come "la cosa" o "quando è successo", senza avere nemmeno il coraggio di dare un nome alle loro azioni. "Manco a canuscievo (non la conoscevo), siamo stati con lei in sette", dice ad esempio l'allora minorenne ad un conoscente la sera stessa dello stupro. Ma
Quei bravi ragazzi (la colonna sonora del film fa da sottofondo a uno dei video diffusi su Tik Tok dalla comunità) non si sono accontentati di compiere il gesto, no. Hanno fatto
un video, a testimonianza della loro 'prodezza'. Ne hanno parlato, tra sé, anche dopo. Poi, un accenno di rinsavimento e il filmato viene cancellato. Ma nel frattempo è circolato e nelle chat di Telegram ora si cerca come il Sacro Graal. Si arriva persino ad offrire denaro, per quella clip. Migliaia di uomini in cerca di pornografia amatoriale, disposti a pagare pur di avere le immagini dei sette che violentano la ragazza. È
revenge porn, è punito dalla legge. Ma poco importa, quando la posta in palio è così 'succulenta'. È così che è scattata anche
la caccia alla vittima, con frasi disgustose (riportate su Repubblica che è entrata in una di queste chat) del tipo: “
È lei la tro*a di Palermo?”.
Il regista Risi: "Attrazione patologica per la violenza reale"
"Questi fatti ci sono sempre stati, purtroppo. Oggi però la situazione è peggiorata per
la tecnologia che rende tutto virale. Si insegue l'idea di diventare protagonisti, di essere visti dagli altri, anche negli atti più orribili. Tanto da vantarsene". Così Marco Risi, regista del film "Il Branco" del 1994, parla dello stupro di Palermo.
Il regista Marco Risi interviene sul caso di stupro a Palermo
"Di questa storia - aggiunge - mi ha impressionato la caccia al video, l'attrazione patologica per la violenza reale. Anche l'agghiacciante testimonianza della vittima, che conosceva chi ha filmato la sua agonia". "Penso anche a chi ha scritto quell'orribile frase 'Eravamo cento cani su una gatta' che rivela un immaginario elementare ma non da sprovveduto - prosegue Risi -. Sapevano cosa stavano facendo. È
l'impunità del branco che scarica la responsabilità individuale dividendola con gli altri. Pur non avendo partecipato, per me chi ha fatto il video è il più vigliacco di tutti". "
La società è maschilista - dice ancora il regista - il concetto di branco è estendibile a un'infinità di comportamenti, non solo agli stupratori. Se questi ragazzi avessero studiato di più, avessero letto un po', avessero 'pensato' forse non saremmo arrivati a questo. E qui si può tornare a quell'unico comandamento che, se si applicasse, toglierebbe senso agli altri: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te". Si pentono i carnefici? "Non so se sia corretto parlare di pentimento, quando capiscono, è tardi".