“Lo sport è stata la mia rivincita sul destino”: Davide Nadai, tra sitting volley e sci un’unica grande ambizione

Il 31enne di Treviso sarà a Parigi 2024 per fare il tifo ai compagni di fly2paris ma sogna di essere in futuro protagonista anche in gara. Dopo l’incidente, anche grazie all’incontro con art4sport, ha trovato la forza di rialzarsi e vivere al massimo la sua vita

di MARIANNA GRAZI -
16 agosto 2024
Davide Nadai (Ph. Bizzi Team)

Davide Nadai (Ph. Bizzi Team)

“Dopo l’incidente potevo restare chiuso in casa o uscire e godermi al massimo la vita. Ho scelto questa seconda strada”. Davide Nadai, 31 anni, originario della provincia di Treviso, è un militare del Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa, ma soprattutto un atleta della Nazionale Italiana di sitting volley. Da quando ha 5 anni ha sempre sciato e dagli 11 ha iniziato a praticare pallavolo. Poi, nel 2018, ha subito l’amputazione della gamba destra sotto il ginocchio a causa di un sinistro stradale.

Non è stato facile ma ha capito che doveva reagire. “Lo sport era una passione prima e adesso lo è diventato ancora di più, perché soprattutto dopo l’incidente mi è servito a riprendere in mano la mia vita e a dare un po’ un senso alle mie giornate. Quella spinta mi ha permesso poi di trovare nuovi obiettivi per entrare nella Nazionale di sitting volley e pormi nuovi traguardi, facendo esperienze che prima non avrei mai immaginato”. Grazie alla sorella Chiara è entrato in contatto con l’Associazione art4sport onlus, che lo ha supportato nella sua personale rivincita sul destino. Ora che fa parte anche di fly2paris potrà assistere alle gare, fare il tifo per i suoi compagni e in un futuro post-Parigi sognare ancora più in grande verso l’obiettivo della vita: vincere le Paralimpiadi.

Oltre al sitting volley pratica anche altri sport?

“Faccio anche sci alpino. Sci e pallavolo li ho praticati sin da bambino, il sitting volley l’ho scoperto per caso. Era il 2019, ero appena tornato in piedi, a camminare con la protesi, e mia sorella mi ha detto: ‘Perché non andiamo al Festival della cultura paralimpica, così vedi come funziona e ti confronti con gli atleti stessi?’. Qui ho conosciuto Silvia Biasi, anche lei della provincia di Treviso e libero della Nazionale di sitting volley, che allora non sapevo neanche cosa fosse. Lei mi ha invitato a giocare nella sua squadra e da qui sono poi arrivato alla Nazionale. È stata una pura coincidenza”.

Pallavolo e sitting volley sono molto diversi? Ed è vero che gli atleti di sitting sono molto più forti dei pallavolisti ‘messi a sedere’?

(Ride, ndr) “In molte cose sono discipline simili, nei fondamentali le regole sono più o meno quelle, con qualcosa adattato ovviamente alle nostre situazioni. Muoversi da seduti è molto più faticoso che muoversi in piedi, sicuramente, ma soprattutto il sitting volley è bello perché all’interno della squadra ci sono persone con disabilità diverse, con storie differenti, che si trovano a giocare tutte insieme. Secondo me è una bella metafora che nonostante le differenze che abbiamo siamo tutti sullo stesso livello: questa è una delle cose che mi piace di più di questo sport. Poi si fa un po’ amalgama ironizzando anche sulle mancanze e sui pregi degli altri”.

Davide Nadai (Ph. Bizzi Team)
Davide Nadai (Ph. Bizzi Team)

Lo sport di squadra insegna a fare gruppo: lei in cosa si sente forte e in cosa, invece, è più debole?

“Il mio punto forte, dopo tanti anni di pallavolo prima, è che ho una buona tecnica. Lato negativo, invece, rimugino un po’ troppo sulle azioni e questo non fa bene alla squadra. Ma ci sto lavorando”.

Com’è entrato in art4sport?

“Già da prima dell’incidente sapevo di Bebe (Vio Grandis, ndr), avevo conosciuto la sua storia. È stata una delle prime persone a cui ho scritto quando ho fatto l’incidente. All’inizio mi sono messo in contatto non tanto con la volontà di entrare ma volevo capire questo mondo che ancora non conoscevo. Mi sono sentito con Teresa (Grandis) e mi ha invitato a Cortina, perché facevano là i weekend di sci; mi hanno dato la possibilità di tornare a sciare e mi hanno chiesto se volessi entrare nel gruppo. Io ho accettato ed eccomi qua”.

L’Associazione e voi atleti che ne fate parte siete un modello per la società.

“Sì, io cerco di essere un esempio, non solo per quelli della mia età ma soprattutto per i più piccoli. Io ho avuto la fortuna, se vogliamo chiamarla così, di perdere una gamba a 24 anni, ma c’è gente che a 5/6 anni o prima si trova a fare i conti con questa mancanza: secondo me a quell’età è più difficile che da adulti. Oggi, grazie anche ai social, art4sport dimostra che anche con un’amputazione si può fare tutto, in maniera adattata, ma senza limiti. Questa è una delle cose più belle di questa Associazione, che è un modello per inclusione e possibilità offerte”.

Davide, ha mai ricevuto domande curiose sulla sua amputazione?

“Le domande più strane mi sono arrivate quando mi è capitato di parlare in una scuola elementare: ad esempio mi hanno chiesto se la gamba me l’avesse mangiata uno squalo in mare (ride, ndr). I bambini in genere non hanno ancora sviluppato il senso del pudore, quindi dimostrano una genuina curiosità sulle cose. Con loro è bello rapportarsi perché fai capire che esistono le diversità e queste non vanno isolate ma valorizzate. Quando chiedo se vogliono toccare la protesi di solito impazziscono, a volte la stacco e gliela mostro e sono super entusiasti”.

Lei ha subito l’amputazione da adulto: se le fosse accaduto da più giovane sarebbe stato più facile o difficile da affrontare?

“Se mi fosse successo quando ero più piccolo sono sicuro che una delle difficoltà più grandi sarebbe stata nell’ambiente scolastico, dove se non sei uguale agli altri vieni spesso emarginato, in un modo o nell’altro. Con una cosa del genere sarebbe stato difficile, mi avrebbe segnato di più nel carattere. Invece avendolo affrontato a 24 anni ho lasciato un po’ correre certe cose: ci sono sempre le persone che ti fissano, non sono tutte ingenuamente curiose, e più sei piccolo più questi sguardi pesano, invece da ‘grande’ si lascia passare”.

Dopo l’incidente ci sono stati momenti di sconforto o difficoltà?

“Le prime settimane in ospedale sono state parecchio dure, sia per il dolore sia perché non sapevo se sarebbe andato tutto bene, perché mi sono preso infezioni, ho fatto cancrena, ho rischiato di perdere anche più di quanto legato all’incidente stesso. Però non può durare per sempre così e arriva quel momento lì in cui scatta qualcosa e o rimani chiuso in casa o esci e torni a fare quello che facevi prima e anche di più. A me è successo questo, ora mi sto godendo di più le esperienze”.

I ragazzi di fly2paris (Ph. Bizzi Team)
I ragazzi di fly2paris (Ph. Bizzi Team)

Fa parte di fly2paris, il progetto che porterà 17 atleti, qualificati e non, alle Paralimpiadi di Parigi. Lei cosa si aspetta da questa esperienza?

“Di divertirmi un casino, perché saremo lì dall’inizio alla fine e ci è stata data un’opportunità senza precedenti. Abbiamo la possibilità di vedere i nostri compagni di progetto, fare il tifo per loro - che penso sia bellissimo - e io ho anche l’onore di non prendere l’aereo ma di guidare il furgone fino a Parigi, insieme a 3/4 altri ragazzi. Secondo me ci divertiremo ancora di più in questa scappata di 8 ore”.

Un sogno a cinque cerchi per il futuro?

“Quello, come per qualsiasi atleta, di partecipare alle Paralimpiadi. Sogno di riuscire a qualificarmi, magari per Los Angeles 2028 o anche Milano-Cortina 2026 con lo sci, chissà”.

Secondo lei è fattibile quindi specializzarsi in due discipline così diverse per provare la doppia qualificazione, ai Giochi estivi e a quelli invernali?

“Diciamo che non dovrei mai smettere di allenarmi per riuscirci. Forse è più facile se i due sport sono simili, tipo handbike e sci di fondo, ma il sitting volley con lo sci alpino non ci azzecca niente (ride, ndr). Quando non mi alleno su una cosa mi alleno sull’altra, provo a fare entrambe le cose e ho la fortuna di poterlo fare. Quindi ci spero, vediamo come andrà”.

Le sue giornate sembrano davvero piene, tra lavoro e sport: non sente di star rinunciando a qualcosa così?

“Un po’ sì, ci sono delle rinunce che inevitabilmente uno fa, ma se pensi al motivo per cui le fai cerchi di non fartele pesare. Sai che è per una cosa grande e questo ti spinge ad andare avanti”.

C’è un atleta che rappresenta un mito sportivo per lei? E qualcuno con cui è particolarmente legato nell’associazione?

“Nel sitting volley c’è un ragazzo della Bosnia-Erzegovina vice campione mondiale, Ervin Jusufovic. Siamo amici, ci troviamo spesso a giocare contro e spero che faccia bene perché arrivano sempre in finale ma poi non riescono a vincere l’oro. La nazionale dell’Iran maschile è di un altro mondo. Faccio il tifo per lui, per loro, spero di riuscire a salutarlo a Parigi.

In art4sport c’è Emanuele Lambertini con cui siamo buoni amici, non ci vediamo spesso perché non facciamo lo stesso sport ma siamo vicini di età, di mentalità ed è quello con cui mi trovo meglio. Farò il tifo per lui nella scherma”.

Uno sport che invece le piacerebbe provare?

“Per curiosità mi piacerebbe provare qualcosa dell’atletica, la corsa o il lancio del giavellotto, vedere quanto riesco ad arrivare lontano”.

E infine, come si immagina tra dieci anni?

“Spero di vedermi intanto felice, soddisfatto delle scelte che ho fatto, qualificato per qualcosa e dopo mi auguro di continuare a fare quello che amo, di non fermarmi mai e guardarmi indietro senza pentimenti. Quest’ultimo è il più grande obiettivo, non avere rimpianti”.