Manca sempre meno alle Paralimpiadi, l'evento sportivo dedicato ad atleti con disabilità, in programma a Parigi dal 28 agosto all'8 settembre. E per usare un linguaggio inclusivo ed attento e per evitare espressioni che potrebbero mettere a disagio i partecipanti, Babbel, l'ecosistema leader nell’apprendimento delle lingue, e WeGlad, startup innovativa a vocazione sociale che monitora i dati sull’accessibilità urbana per facilitare la mobilità delle persone con disabilità, hanno presentato una guida dei comportamenti e dei vocaboli da tenere a mente.
Solo il 9,1% delle persone con limitazioni gravi pratica sport
Ma prima di andare ad analizzare il vademecum, un po' di dati. Lo sport rappresenta uno strumento fondamentale per promuovere l'inclusione delle persone con disabilità nella società e migliorare la loro qualità della vita. Nonostante in Italia si siano già fatti passi significativi in questo ambito, con un aumento dei riconoscimenti nelle competizioni sportive internazionali, sono ancora numerose le sfide da affrontare per garantire un maggiore accesso allo sport. Secondo i dati Istat, infatti, le persone con limitazioni gravi che praticano sport (con continuità o saltuariamente) sono ancora solo il 9,1%. Inoltre, su 10 persone con limitazioni gravi, circa 8 dichiarano di essere sedentarie e di non svolgere nessuno sport né attività fisica. Un quadro della situazione chiaro (e drammatico) e che per forza di cose, necessita di un'inversione di tendenza.
Il linguaggio da usare per abbattere le barriere fisiche e psicologiche
E se lo sport è importante, allo stesso tempo anche il suo linguaggio può contribuire ad abbattere le barriere fisiche e psicologiche. Ecco allora le espressioni da conoscere:
1. Barriere: questa parola viene utilizzata per indicare tutti quei fattori che, con la loro presenza o assenza, limitano la vita alle persone con disabilità poiché ne impediscono o riducono l'accesso a degli spazi e la fruibilità di servizi, prodotti o informazioni. Nell'ambito della pratica sportiva, le barriere possono essere molteplici: dalla mancanza di rampe o percorsi alternativi per accedere agli impianti, all'utilizzo di attrezzature sportive non adeguate alle diverse tipologie di disabilità, che di fatto impediscono la pratica sportiva.
2. Facilitatore: si tratta di quei dispositivi che migliorano l'accessibilità di un luogo e riducono le barriere architettoniche. Nello sport, esistono diversi tipi di facilitatori, che spaziano dalle attrezzature sportive adattate come la handbike (una bicicletta a mano utilizzata da atleti con disabilità motorie agli arti inferiori) e la carrozzina sportiva (una sedia a rotelle progettata specificamente per la pratica sportiva), alle tecnologie assistive, come gli ausili per la comunicazione, ovvero dei dispositivi che aiutano le persone con disabilità della comunicazione a interagire durante le attività sportive.
3. Linguaggio People first/Person-First/identity first: nel primo caso si indica un approccio linguistico che mette la persona al centro e mira quindi a riconoscere in primo luogo l'unicità dell'individualità delle persone con disabilità. In questo senso, è corretto utilizzare l’espressione "persona con disabilità" al posto di "disabile" e, in ambito sportivo, "atleti con disabilità". Con l'approccio identity first, invece, si possono utilizzare le espressioni "persona disabile" o atleta disabile, al fine di enfatizzare con orgoglio la propria identità, non vergognandosi di chi si è.
4. Abilismo: si tratta di un atteggiamento discriminatorio e svalutativo nei confronti delle persone con disabilità, basato sull'assunto, e quindi sul pensiero (che produce azioni discriminatorie conseguenti), che ogni individuo debba avere un corpo abile o "normale", cioè conforme alle convenzioni sociali e culturali accettate dalla comunità in un determinato contesto sociale. E' un'oppressione sistemica, cioè è una visione del mondo che si manifesta a tutti i livelli della società.
I comportamenti da evitare
Ma oltre alle espressioni, è importante anche andare a evitare alcuni comportamenti che possono contribuire a creare un ambiente poco inclusivo per le persone con disabilità. Ecco di quali stiamo parlando:
1. Utilizzare un linguaggio discriminatorio o che abbia accezioni negative nei confronti della disabilità: termini come "diversamente abile", "costretto in carrozzina", "affetto da/ colpito da/vittima di" o "malgrado la disabilità" oltre a essere discriminanti sono in contrasto con il "modello sociale della disabilità", un approccio che vede la disabilità non come una caratteristica individuale della persona, ma come il risultato del suo relazionarsi con barriere sociali e ambientali. Questo tipo di termini vanno anche contro il "modello bio-psico sociale", adottato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), che interpreta la disabilità come il risultato dell'interazione tra un individuo non conforme agli standard e alle norme sociali e una società non preparata ad accogliere e valorizzare chi si discosta da tali standard.
2. Trattare le persone con disabilità con pietismo o come se fossero eroi per il solo fatto di vivere una "vita normale": sono entrambi atteggiamenti negativi che possono avere delle conseguenze sulle persone con cui ci si interfaccia; espressioni come "E' ammirevole che tu abbia una carriera e una vita indipendente" oppure "Non so come tu faccia ad essere sempre così positivo/a" andrebbero quindi assolutamente evitate. Questi comportamenti errati hanno portato allo sviluppo del cosiddetto "supercrip", una forma di narrazione riguardante le persone con disabilità che vengono rappresentate come fonte di ispirazione per aver superato o sconfitto la loro disabilità con sforzi eroici, anche nello svolgimento di attività quotidiane; nella narrazione degli sport per persone con disabilità, ad esempio, si potrebbe tendere a focalizzarsi sulle menomazioni piuttosto che sulla performance sportiva.
3. Assumere che tutte le disabilità siano visibili: alcune disabilità sono invisibili e quindi più difficili da individuare, ma non per questo meno reali. Le persone con queste forme di disabilità, tra cui ad esempio la schizofrenia o la sclerosi multipla, potrebbero dover affrontare sfide ancora maggiori nella società: oltre a dover lottare con i limiti imposti dalla loro condizione, potrebbero dover essere costretti a spiegare la propria disabilità e a giustificare i motivi che permettono loro di accedere a delle agevolazioni (come può essere, ad esempio, un posto auto riservato), rischiando anche di essere fraintesi e sottovalutati.
4. "Patronizing": con questo termine si intende la tendenza a trattare le persone con disabilità in modo condiscendente, come se fossero inferiori, minimizzando le loro capacità. Questo atteggiamento può manifestarsi nel modo in cui ci si comporta, ad esempio, parlando con una persona con disabilità in modo eccessivamente lento, o attraverso il linguaggio, come nell'espressione "Lascia che ti aiuti, non credo che tu possa farcela da solo", che presuppone che l’altra persona non sia in grado di affrontare un compito autonomamente.
5. Ignorare la persona e parlare con il loro accompagnatore: chiedere "Come sta oggi? Ha bisogno di qualcosa?" rivolgendosi all'accompagnatore invece che alla persona con disabilità è un atteggiamento errato che tende a sminuire la sua autonomia e la sua dignità, oltre che a minarne l'autostima, perché suggerisce in modo implicito che essa non sia capace di esprimere i propri bisogni e di rispondere alle domande riguardanti il proprio benessere.