Paralimpiadi, “Io non parteciperò, gareggerò”. La campagna contro i pregiudizi linguistici

Lanciata dal Comitato paralimpico internazionale, la campagna #NotPlayingGames è stata rilanciata sui social da grandi campioni dello sport mondiale, come Ambra Sabatini, Bebe Vio e Curtis McGrath, che dal 28 agosto all’8 settembre saranno impegnati ai Giochi di parigi 2024

di MARIANNA GRAZI -
15 agosto 2024
Bebe Vio - #NotPlayingGames

Bebe Vio aderisce alla campagna #NotPlayingGames

“Io non parteciperò alle Paralimpiadi di Parigi 2024. Gareggerò”. Direte voi: e che differenza c’è? Di forma tanto quanto di sostanza. Partecipare non significa per forza essere atleti e atlete qualificati alle gare, che hanno ottenuto con fatica, impegno, dedizione e anni di allenamento quel pass tanto ambito. Possono infatti “partecipare” alle Paralimpiadi anche i tifosi, lo staff delle nazionali, gli allenatori, i familiari e amici degli sportivi, le istituzioni internazionali e i volontari, giusto per citarne alcuni. Ma a gareggiare sono poi gli atleti e le atlete e allora è importante sottolineare la differenza. 

Gustavo Fernandez partecipa alla campagna dell'Ipc #NotPlayingGames
Gustavo Fernandez partecipa alla campagna dell'Ipc #NotPlayingGames

Per questo la frase “Io non parteciperò alle Paralimpiadi di Parigi 2024. Gareggerò” è diventata lo slogan di una campagna, sostenuta via social (con l’hashtag #NotPlayingGames) da alcuni dei principali atleti paralimpici del mondo, lanciata dal Comitato paralimpico internazionale (Ipc) per sconfiggere i pregiudizi linguistici. All’iniziativa, secondo quanto riporta il sito ufficiale, hanno aderito la portabandiera e velocista italiana Ambra Sabatini, l'australiano Curtis McGrath e l’argentino Gustavo Fernandez, ma anche Bebe Vio e altri azzurri, per ricordare che gli atleti paralimpici sono stati spesso elogiati semplicemente per aver preso parte allo sport e non per le loro abilità atletiche o per la fiera volontà di vittoria.

L’iniziativa era nata per stimolare una discussione sul linguaggio utilizzato spesso dai media per descrivere gli atleti paralimpici rispetto agli atleti cosiddetti ‘normodotati’, senza disabilità. Una forma di abilismo sottile ma pur sempre discriminante. “Gli atleti paralimpici sono stati spesso descritti dai media come ‘partecipanti’ e non ‘concorrenti’ – afferma Craig Spence, resposabile comunicazione dell'Ipc –. A Parigi, dopo anni di allenamento e dedizione, 4.400 tra i migliori atleti paralimpici mondiali andranno a competere ai massimi livelli. Il linguaggio però gioca un ruolo determinante nel modo in cui le persone vengono percepite, soprattutto quando si tratta di persone con disabilità e paralimpici. È importante usare quello giusto, motivo per cui abbiamo lanciato questa campagna”.