Nuova condanna per
Aung San Suu Kyi: mercoledì un tribunale in Myanmar ha condannato l'ex leader birmana, 76 anni, a
cinque anni di reclusione per corruzione, con l'accusa di aver accettato una tangente di 600mila dollari. Questa sentenza fa parte di una raffica di procedimenti penali riservati a carico della donna, Premio Nobel per la Pace nel nel 1991, che rischia di trascorrere il resto della vita in carcere.
Aung San Suu Kyi, 76 anni, agli arresti domiciliari dal febbraio del 2021 dopo il colpo di stato militare
I processi a porte chiuse
Suu Kyi è agli
arresti domiciliari dal febbraio 2021, quando un
colpo di stato militare ha spodestato il suo governo eletto. La 76enne, da allora, è stata accusata di tutta una serie di reati penali, tra cui la frode elettorale, ma ha sempre negato ogni accusa, dichiarandosi innocente. Le associazioni per i diritti umani infatti hanno più volte condannato i
processi, celebrati da una giuria controllata dalla stessa giunta militare al governo, come una
farsa. Le udienze si svolgono nella capitale Nay Pyi Taw,
a porte chiuse, quindi senza la possibilità per il pubblico local e i media internazionali di partecipare, e agli avvocati dell'anziana politica è stato vietato di parlare con i giornalisti. Sono
11 i reati di corruzione che le vengono
imputati e questa è solo la prima sentenza di condanna in merito: secondo i giudici avrebbe accettato una tangente di circa 600mila dollari, sotto forma di contanti e lingotti d'oro, dall'ex capo di Yangon, la più grande città e regione del Myanmar. I suoi legali hanno detto alla
Bbc di non essere riusciti ancora ad incontrarla.
Le sentenze precedenti
Suu Kyi, premio Nobel per la Pace (1991) è stata condannata già 3 volte, l'ultima per corruzione nel primo degli undici procedimenti per l'accusa
Quest'ultima decisione del tribunale del Myanmar porta la reclusione di Aung San Suu Kyi a un totale di
oltre 10 anni, dato che in precedenza era stata giudicata colpevole per altri reati. Tre mesi fa era stata infatti
condannata a 4 anni di prigione, nello specifico due per sedizione (aveva
incitato il dissenso contro l'esercito) e due per aver
violato le restrizioni per il coronavirus durante la campagna elettorale. A gennaio era stata poi riconosciuta
colpevole di altri 4 capi di imputazione – l'importazione illegale (di
walkie-talkie), la detenzione di questi apparecchi di contrabbando in casa sua, la violazione della legge sulle telecomunicazioni e di nuovo il mancato rispetto di norme sanitarie per il Covid – e la pena anche in quel caso era stata di 4 anni. Aung San Suu Kyi deve affrontare altre 10 accuse di corruzione, ognuna delle quali comporta una pena massima di 15 anni, così come quelle di frode elettorale e di violazione della legge sui segreti ufficiali. Se per ognuno di questi procedimenti penali la Premio Nobel venisse giudicata colpevole dovrebbe affrontare una
pena detentiva totale di più di 190 anni, secondo alcune stime.
La denuncia delle associazioni per i diritti
I sostenitori della politica e attivista 76enne sostengono che le
accuse a suo carico sono state
inventate dalla giunta al potere per assicurare che Suu Kyi, che in Myanmar è ancora considerata un'
icona della democrazia, sia imprigionata a vita. I gruppi per i diritti civili e la democrazia, così come l'ONU, hanno denunciato anche quest'ultimo procedimento legale come una farsa. Human Rights Watch lo ha definito un "
circo giudiziario di procedimenti segreti su accuse fasulle". La giunta militare ha invece respinto tali accuse, affermando che la donna abbia ricevuto finora processi equi e un giusto processo legale.
Il volto di Aung San Suu Kyi viene mostrato durante le proteste contro la giunta militare al potere in Myanmar
La situazione in Myanamr
La violenta presa di potere dei militari lo scorso febbraio in Myanmar, conosciuta anche come Birmania, è avvenuta mesi dopo che la
Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi aveva
vinto le elezioni generali con una valanga di voti. Da quel momento l’esercito ha instaurato una
dittatura militare, prendendo anche il controllo del sistema giudiziario e limitando molto le libertà personali. La leader di NLD – e molti membri del suo partito – sono tra le
oltre 10.000 persone arrestate dalla giunta, che ha giustificato le azioni denunciando brogli elettorali nella vittoria. Il colpo di Stato ha scatenato vaste manifestazioni di protesta, spingendo i militari a reprimere brutalmente i cittadini, gli attivisti e i giornalisti a favore della democrazia: negli scontri che sono seguiti sono state
uccise quasi 1.800 persone, secondo l'Associazione di assistenza ai prigionieri politici (Birmania). Il caos ha anche portato a continui combattimenti. La giunta militare affronta un'opposizione diffusa e in alcune parti del Paese il conflitto armato non si è mai spento.