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Fine vita: dall’omicidio per amore al dibattito politico. Una questione di coscienza etica

In Lombardia si discute sull'ammissibilità del disegno di legge di iniziativa popolare, mentre in Liguria non è stata ancora autorizzata la raccolta di firme. Intanto si fanno piccoli passi avanti sulle Dat

di CATERINA CECCUTI -
7 febbraio 2024
Il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, davanti al Consiglio regionale della Lombardia

Il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, davanti al Consiglio regionale della Lombardia

7 febbraio 2024 – Prosegue, anzi infiamma la polemica sul fine vita, dopo che la legge di iniziativa popolare non passa per un soffio (un solo voto) in Consiglio Regionale del Veneto. La questione in ballo è il delicato tema del suicidio medicalmente assistito, cui dovrebbero avere diritto le persone afflitte da patologie incurabili, soggette a gravi sofferenze, dipendenti da macchinari per la sopravvivenza e in pieno possesso delle proprie capacità decisionali.

Il fatto che la proposta di legge – presentata dall’Associazione Luca Coscioni con 9.000 firme raccolte – non sia passata, non è una questione meramente politica o di partito; lo dimostrano le spaccature interne tanto allo schieramento di maggioranza che a quello di opposizione. E, alla fine, tra favorevoli, contrari e (3) astenuti, il risultato è quello che sappiamo e che ha scatenato polemiche di proporzioni nazionali.

Si tratta piuttosto di una questione etico/morale. “Ho letto un sacco di mistificazioni sul tema – sono le parole del presidente della Regione Veneto Luca Zaia -. Innanzitutto il fine vita esiste come esiste una sentenza della corte costituzionale del 2019. A tutti i mistificatori che fanno credere che in Veneto si sia votato contro il fine vita, rispondo che è gente che non studia.

Ogni giorno, in qualsiasi regione, può accadere che qualsiasi cittadino malato terminale che abbia diagnosi infauste, sia tenuto in vita da supporti vitali, che abbia sofferenza psicologica e fisica ma abbia libera scelta e in coscienza, può chiedere accesso al fine vita.

In Italia c’è solo un’anomalia: non esiste una legge. Ecco allora che chi vuole il fine vita (senza se e senza ma) deve chiedere una legge. Chi non vuole il fine vita deve essere coerente e chiedere una legge che espliciti “in Italia non si fa il fine vita”. Ma noi dobbiamo rispettare la libertà altrui che significa la libertà di scelta”.

Lombardia

Intanto, oggi – 7 febbraio – toccherà all’Ufficio di Presidenza della Regione Lombardia riunirsi e pronunciarsi sull’ammissibilità del progetto di legge sul fine vita depositato al Pirellone dall’associazione Luca Coscioni (oltre 8.000 anche in questo caso le firme raccolte e depositate lo scorso 18 gennaio) con l’obiettivo di regolamentare il suicidio assistito.

“Spero che la Lombardia non voglia girare la testa dall’altra parte di fronte al problema di persone afflitte da patologie irreversibili con sofferenze insopportabili e che chiedono – ed è già un loro diritto – di essere aiutate a terminare la vita senza soffrire” dice Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.

L’organo regionale comunicherà già oggi la risposta all’associazione e dovrà esprimersi all’unanimità sull’ammissibilità o meno del pdl. Qualora non si raggiunga l’unanimità, l’Ufficio di presidenza rimanderà la decisione sull’ammissibilità al Consiglio regionale nella prima seduta disponibile che, al momento, è quella del 20 febbraio prossimo.

“Altre Regioni hanno giudicato ammissibile il pdl e hanno iniziato a discutere questa proposta – aggiunge Cappato – e penso che sarebbe un fatto negativo se Regione Lombardia, diversamente, volesse giudicare inammissibile la nostra legge senza nemmeno discuterla.

Si tratta infatti di una legge che si limita a dare dei tempi e delle procedure certe a persone che soffrono e che non devono essere lasciate per mesi, o in alcuni casi addirittura per anni, senza nemmeno una risposta. La morte volontaria esiste già, non è questa legge regionale a introdurla e in ogni caso non potrebbe essere Regione Lombardia a farlo”.

Secondo Cappato, dunque, la polemica su quanti siano pro vita o pro morte non riguarda il testo della legge in questione. Intanto Federico Romani, presidente del Consiglio regionale lombardo, mette le mani avanti e si prepara al botto di domani: “Al di là della decisione che, nel merito, ciascuno di noi andrà ad assumere personalmente, abbiamo voluto incontrare i promotori dell’Associazione Coscioni per confrontarci con loro su un tema di grande importanza e attualità, che merita sicuramente un doveroso approfondimento, dando così loro la possibilità di argomentare al meglio le motivazioni alla base dell’iniziativa”.

“Ci auguriamo un pronunciamento unanime da parte di tutto l’ufficio di Presidenza del Consiglio regionale circa l’ammissibilità, come sta avvenendo in altre Regioni italiane – è il commento del capogruppo del Pd in Regione Lombardia, Pierfrancesco Majorino -. Questo permetterebbe di aprire nei prossimi mesi un confronto ampio e sereno su di un tema tanto delicato verso cui, purtroppo, sin qui si è registrata una pericolosa assenza del Parlamento”.

Liguria

Nervi tesi anche in Liguria, dove la prima proposta di legge regionale sul fine vita è stata presentata in una conferenza stampa a Genova, sempre dall’Associazione Coscioni, dal comitato ‘Liberi subito’ e dai capigruppo di Pd, Lista Sansa, M5S e Linea Condivisa. Ad aprirsi ora è l’iter in commissione e il dibattito in Consiglio regionale.

“In Liguria – denuncia la segretaria nazionale dell’associazione Coscioni Filomena Gallo – abbiamo assistito ad un’azione inqualificabile dell’ufficio legislativo regionale, che per due volte ha rigettato formalmente la richiesta di assistenza redazionale, nonostante la proposta di legge sia stata perfezionata e ammessa da altri Consigli regionali con pieno parere di conformità a quelli che sono i poteri della Regione”.

“In Liguria ci sono 2.142 testamenti biologici depositati sul nostro sito – dichiara la referente genovese dell’associazione Jennifer Tocci -, mentre nei Comuni ne risultano circa 7.000. Durante il referendum abbiamo raccolto ben 18 mila firme”.

“Purtroppo la Regione Liguria non ha ancora – per motivi giuridici – dato l’autorizzazione alla raccolta di firme. Sarebbe comunque bello che la prima Regione a legiferare in materia – auspica il capogruppo di Linea Condivisa Gianni Pastorino -, lavoreremo per raccogliere adesioni in Consiglio, consideriamo con favore la posizione del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti che ha detto che su questo tema non esistono vincoli di partito”.

“Personalmente – sono appunto le parole di Toti – anche io, come il governatore Zaia, voterei a favore; ma sulle questioni etiche a ognuno deve essere garantita piena libertà e pertanto ritengo non debbano esserci rigide discipline o diktat di partito. Credo sia arrivato il momento, anche per la politica, di esprimersi su una questione che ha ancora confini giuridici poco chiari.

Quello del fine vita è un tema tanto sensibile quanto reale, quindi sono favorevole al fatto che la discussione arrivi anche in Consiglio regionale, pur considerando che dovrà essere affrontata anche a livello nazionale dal Parlamento italiano”.

Sulla necessità che la questione venga prima di tutto (e una volta per tutte) regolamentata a livello nazionale, è d’accordo anche l’assessore regionale alla Sanità della Toscana: “La nostra regione – spiega Simone Bezzini -, anche in assenza di una definizione organica, ha dato seguito a quanto indicato dalla Corte costituzionale. Chiaramente sarebbe auspicabile una definizione organica, prima di tutto a livello nazionale.

Su queste materie una condizione di differenza tra Regioni dà l’idea di una incapacità del Parlamento di affrontare una questione di grande valore. Per quanto riguarda la Toscana, stiamo approfondendo come far progredire una certa organicità, guardando anche alle iniziative di altre Regioni”.

Biotestamento

In mezzo a tutto questo, la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), meglio nota come Biotestamento, ha compiuto 6 anni. Stiamo parlando della norma che permette ad ognuno, in previsione di un eventuale stato di incapacità futura, di indicare in anticipo il proprio assenso o rifiuto rispetto a determinate scelte terapeutiche e trattamenti sanitari.

Il problema, a detta dell’Associazione Luca Coscioni, è che a conoscerla sono solo 5 italiani su 1000: “Ad oggi non è stata effettuata alcuna campagna informativa, come previsto invece dalla stessa legge – commenta Cappato -. Nonostante questo l’interesse degli italiani continua a crescere e, secondo dati preliminari che abbiamo raccolto in 1.021 comuni italiani, il numero delle Dat depositate ha registrato un aumento del 61% nel 2023 rispetto al 2022.

Sono 38 le persone che ogni giorno in media chiedono informazioni al nostro Numero Bianco 06.99314409 sui temi del fine vita, ovvero 13.977 richieste nel 2023, con un aumento del 24% rispetto al 2022″. Da qui la richiesta-appello: “Il ministro della Salute Orazio Schillaci ed i presidenti delle Regioni pongano fine a questo boicottaggio. In ritardo, infatti, è anche la Relazione al Parlamento e non esistono dati ufficiali”.

La nuova indagine dell’Associazione Coscioni interesserà oltre 8.000 Comuni italiani, con lo scopo di censire i Biotestamenti depositati. Al 2022 se ne stimavano 223mila, ma più di una Dat su 10 ancora non è stata trasmessa alla Banca dati nazionale, istituita per legge.

A mancare, denuncia l’associazione, è soprattutto un’adeguata informazione: “La legge sul testamento biologico – sottolineano Cappato e Gallo – è in vigore dal 31 gennaio 2018, ma del diritto di depositare le Dat ne sono a conoscenza solo 5 italiani su 1000.

Nessuna pubblicità, né sui media né all’interno delle strutture sanitarie o nelle Asl, e nemmeno negli studi dei medici di base. Insomma, non solo sul cosiddetto suicidio assistito il Ministero della Salute e le Regioni si nascondono per non riconoscere un diritto legalizzato dalla Corte costituzionale, ma ancor peggio per quanto riguarda il testamento biologico: la legge esiste ma non c’è stata alcuna informazione.

Per questo continuiamo a sostituirci allo Stato attraverso il Numero bianco, e nel 2023 (con un investimento di 30.000 euro) abbiamo portato avanti azioni di comunicazione per la promozione del biotestamento”.

La sofferenza dei malati e dei loro cari: omicidio come testimonianza di amore

“Non potevo più vederla così”. Parla di sua moglie Franco Cioni, che il 14 aprile del 2021 ‘ha ucciso’ Laura Amidei, dopo averla lungamente assistita mentre era gravemente malata. Di vederla soffrire non ce la faceva più. L’amava, e assistere all’agonia della persona che ami, portandosi dentro e sulle spalle tutto il senso d’impotenza che deriva dal non poter far nulla per alleviare il suo dolore – o semplicemente accorciarlo nel tempo – è inimmaginabile.

Tenuto conto di queste attenuanti e di tante testimonianze raccolte tra le persone vicine ai coniugi (compresa la sorella della vittima e il medico curante) pochi giorni fa, la Corte di assise di Modena ha riconosciuto al 74enne l’attenuante dei motivi morali e sociali, condannandolo a sei anni e due mesi di reclusione.

Nel giudicare il caso di Franco Cioni, infatti, non si può considerare il gesto isolatamente “rispetto a tutta la condotta anteriore osservata dall’imputato nella dedizione, nella vicinanza e nel sostegno umano assicurato alla propria consorte per tutta la sua lunga malattia”. La Corte d’Assise, nelle motivazioni della sentenza, spiega anche di aver tenuto conto che l’omicidio avvenne con “modalità consone allo scopo”, cioè con un cuscino e mentre la donna stava dormendo.

Insomma, un gesto dettato esclusivamente dall’amore, dalla disperazione, dall’abbandono, quello di Cioni, testimoniato dal medico che aveva in cura la donna, dalla sorella della vittima e dai conoscenti.

“Riflette un sentire sociale ormai sempre più presente in larghi settori della società civile che hanno vissuto o sono chiamati a vivere la drammaticità del fine vita di loro congiunti all’esito di malattie irreversibili, sempre più propensi a riconoscere nella condotta osservata dall’imputato la manifestazione di uno stato affettivo di amore pietoso che trova la propria legittimazione interiore nella lunga e assoluta compartecipazione emotiva per le sofferenze della vittima, ormai deprivata di ogni condizione di vita relazionale per l’incedere della malattia e l’ormai prossimo esito letale”.

I giudici (presieduti da Pasquale Liccardo) hanno dunque analizzato tutto il contesto in cui è maturato l’omicidio, la dinamica e le gravissime condizioni di salute della signora, ricordando che per la concessione di questa attenuante vanno valutati gli orientamenti espressi dalla collettività.

“Si tratta, a ben vedere, di un contesto specifico per circostanze storiche, come quelle ricostruite, nel quale si riflette una diffusa coscienza sociale che si interroga sulla drammaticità di un gesto assunto in condizioni di assoluta solitudine personale dal coniuge legato da un incondizionato rapporto d’amore”.

Era stata la stessa moglie, agli esordi della malattia, a dirgli che non voleva essere portata in una casa di riposo. I due avevano vissuto insieme 45 anni e Cioni, secondo le testimonianze raccolte, ha assistito Amidei dal primo manifestarsi della malattia nel 2016 “con assoluta costanza e inesauribile dedizione”, con presenza giornaliera in ospedale e poi in casa, al limite delle proprie forze.

La coscienza sociale citata dai giudici “ha via via interrogato la giurisprudenza su queste tematiche e sulle tematiche confinanti del fine vita.

Chi è chiamato a interpretare le pronunce, a fronte della maturazione in ampi settori della società civile di una diversa sensibilità etico-sociale quanto all’esigibilità di condotte volte all’incondizionata accettazione di una sofferenza inesprimibile, deve essere in grado di cogliere i profili di rilevanza e compatibilità costituzionale, laddove miri alla salvaguardia di un diritto coerente con un sentimento non pregiudizialmente ancorato a apriorismi ideologici o di principio”.