Al politecnico di Torino negata la preghiera islamica nel nome della “laicità”. Il sistema scolastico italiano è veramente laico?

La preghiera islamica, programmata per lo scorso venerdì nell’aula magna del Politecnico di Torino occupata dagli studenti pro-Palestina, è stata cancellata a causa della diffida che la questura ha notificato all’imam Brahim Maya. Secondo il rettore e la ministra Bernini, avrebbe messo a rischio il libero pensiero e il diritto al confronto.

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
26 maggio 2024
PREGHIERA MUSULMANA ANNULLATA POLITECNICO DI TORINO

PREGHIERA MUSULMANA ANNULLATA POLITECNICO DI TORINO

Nelle scorse ore, il Politecnico di Torino ha fatto da teatro a una di quelle circostanze in cui a cercare il giusto e lo sbagliato - per restare in tema religioso - si fa peccato. Il fatto è noto a tutte e tutti: la preghiera islamica, programmata per lo scorso venerdì nell’aula magna occupata dagli studenti pro-Palestina, è stata cancellata a causa della diffida che la questura ha notificato all’imam Brahim Maya, chiamato dagli studenti a svolgere la funzione. L’atto ha preso le mosse dalla richiesta di Stefano Paolo Corgnati, rettore del Politecnico, che, con la ministra dell’università e della ricerca, Anna Maria Bernini, non ha perso tempo, facendo sapere che gli atenei devono difendere le proprie laicità e indipendenza. Neanche a dirlo, i consiglieri di amministrazione e venticinque senatori si sono accodati. A far loro eco pure Gianna Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, arrivando addirittura a definire preoccupante l’idea di poter celebrare una preghiera islamica nelle università italiane, luoghi - a suo dire - di confronto ed espressione del libero pensiero. Alla luce della ricostruzione dei fatti, una domanda sorge spontanea: cosa si intende precisamente quando si parla di libero pensiero? Sia chiaro, quella che avete appena letto non vuole essere interpretata come una provocazione quanto, piuttosto, come un interrogativo su cui riflettere per provare a giungere a un punto di svolta non fraintendibile, considerando che viviamo in un Paese in cui, sin dalle scuole elementari, le bambine e i bambini si imbattono nell’ora di religione. Che possono frequentare o meno, è vero, ma che comunque esiste e fa sentire, in un caso e nell’altro, la propria presenza.

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L’insegnamento della religione cattolica è una disciplina assicurata nelle scuole dello Stivale e, com’è noto, è sottoposta alla decisione da parte dei genitori o degli studenti. All'inizio di ciascun ciclo scolastico, si è costretti a scegliere tra il sì e il no. Si tratta, pertanto, di una materia che, pur essendo facoltativa, è garantita dalla Repubblica e, dunque, obbligatoria per lo Stato, con annessi programmi specifici e assunzioni di insegnanti. Chi barra la voce “no” può scegliere se svolgere attività didattiche e formative, impegnare il tempo in attività di studio e/o ricerca individuali con o senza assistenza di personale docente (opzione che vale solo per il secondo ciclo d’istruzione) o non frequentare la scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica.  

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Ma le scuole - come le università - non erano laiche e plurali? “Nell’ora di religione non si prega, si studia la storia della fede cattolica”, starete pensando. Affermazione verosimile solo in parte e comunque - per inciso - priva di un punto di vista sulla faccenda di ampio respiro. Per sua stessa definizione, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole si inerpica nell’esercizio di mettere al centro solo una fede, marginalizzando le altre che, seppur minoritarie in Italia, dovrebbero avere il medesimo diritto di testimonianza, soprattutto in un presente sempre più plurale.

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A questo punto della riflessione, l’unica affermazione che passa per la mente di chi sta scrivendo è la classica “delle due l’una”. Se di laicismo vogliamo parlare, dobbiamo farlo sempre, “nei luoghi di apprendimento di ogni ordine e grado”. Ragionare di rispettare la laicità delle università quando a scuola si è costretti a scegliere se svolgere o meno l’ora - tutelata dallo Stato - di religione cattolica appare quasi incomprensibile. L’indipendenza a cui fa riferimento la diffida non dovrebbe andare a braccetto con la repressione, ma con la capacità di ascolto e riconoscimento reciproco. Abolire il Concordato del 1929 che fece diventare l'insegnamento religioso obbligatorio nella scuola di Stato potrebbe essere una soluzione attraverso la quale evitare cortocircuiti. Se la religione deve stare fuori dai luoghi dell’apprendimento, deve valere per tutte le fedi. In caso contrario, le porte dovrebbero essere aperte a tutte le religioni, senza paura, con coerenza e onestà intellettuale. Tutto il resto è indottrinamento.