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Home » HP Blocco Grande » The Danish Girl, simbolo transgender dal cinema al carcere: l’identità tra le sbarre dell’autenticità

The Danish Girl, simbolo transgender dal cinema al carcere: l’identità tra le sbarre dell’autenticità

Nel film del 2015 Einar si scopre Lili e riesce a liberare il suo corpo dalle catene di un'identità di genere che sente diversa. Nella realtà, in California, 300 detenuti chiedono di poter scontare la pena nella sezione femminile, perché si sentono donne. Ma i rischi per le detenute non mancano, e scoprire le autentiche necessità diventa fondamentale

Guido Guidi Guerrera
21 Febbraio 2022
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Chi ha visto il film The Danish Girl, tratto dal romanzo La danese di David Ebershoff, non può essere rimasto indifferente di fronte alla bellezza stilistica della regia di Tom Hooper, alla magia di una fotografia impeccabile e soprattutto all’intensità commovente di una storia che non è frutto di fantasia, ma ispirata a un personaggio realmente esistito.

Eddie Redmayne nei panni di Lili Elbe nel film The Danish Girl

The Danish Girl

Siamo nella Danimarca dei primi del Novecento quando Einar Wegener e Gerda Gottileb, entrambi pittori di successo, si conoscono e innamorano. La loro felicità è assoluta e presto decidono di sposarsi: i due si amano moltissimo e sono complici nelle loro fantasie più nascoste, come accade per ogni coppia davvero affiatata. Un giorno Gerda suggerisce al marito di posare per lei in abiti femminili: un gioco nato per caso, solo perché l’abituale modella sua amica quel giorno non si è presentata. Einar, all’inizio, avverte tutto il comprensibile imbarazzo dell’inconsueta situazione, ma presto scopre di essere irresistibilmente attratto da quel sorprendente mutamento di cui si invaghisce così tanto da iniziare a pensare a sé stesso soltanto come donna. Si fa chiamare Lili e ogni giorno che passa comprende quanto la sua autentica personalità sia stata da sempre quella di una femmina, imprigionata solo per capriccio della natura nel corpo di un uomo.

 

Nel film Einar posa in abiti femminili per la moglie: quel gesto fa scattare in lui la molla che lo porterà alla transizione di genere

La cosa gli crea non pochi scompensi e turbamenti, viene trattato da pazzo e sottoposto a trattamenti crudeli. Ma Gerda è una donna intelligente e nonostante tutto continua ad essere innamorata di Einar/Lili. Con estrema lucidità è ben consapevole di essere stata in qualche misura catalizzatrice di quella metamorfosi, anzi colei che, sulla spinta sinergica di cause efficienti, aveva messo in luce la vera natura del marito. Un marito che non avrebbe mai più potuto essere tale, perché Lili decide di recarsi in Germania allo scopo di sottoporsi a un intervento chirurgico assolutamente audace per i tempi, quello del cambiamento di sesso. Quando nel 1931 Lili Elbe, in cui era stata individuata addirittura la presenza di un abbozzo di ovaie, viene finalmente operata per un trapianto di utero e la creazione della vagina, il suo cuore non regge e lei muore.

Lili Elbe, protagonista del film, è stata la seconda persona nella storia a essere identificata come transessuale e a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale

Le ragazze danesi nella realtà

La ragazza danese è il simbolo per eccellenza del dramma delle tante persone amaramente consapevoli di essere intrappolate in un involucro fisico che non riescono a sentire affatto loro, perché estraneo, e che anzi arrivano a vivere alla stregua di un ingombro fastidioso. Uomini che hanno la netta percezione di sentirsi donne e viceversa, drammi psicologici ed esistenziali che spesso non trovano soluzione ma portano impressi tutti i segni dell’esclusione, del peso di una vita difficile e senza sbocco se non nel nascondersi, nella vergogna o peggio nell’autoannientamento.

In The Danish Girl la moglie di Einar non lo abbandonerà quando questi diventerà Lili

Oltre le sbarre

È di pochi mesi fa la notizia di un numero rilevante di detenuti rinchiusi in una prigione della California che, invocando il proprio diritto all’identità di genere, chiedono il trasferimento nella sezione carceraria femminile. Le domande dello spostamento in questione sono quasi trecento e questo da quando è entrata in vigore, nel gennaio di due anni, fa una legge specifica tesa a regolamentare il diritto di poter scegliere la propria identità di genere percepita, indipendentemente dalla struttura anatomico-biologica. Purtroppo se da un lato questa norma è stato sancita proprio a difesa di transgender e intersessuali, dall’altro ci sono le donne prigioniere che, non a torto, temono una invasione nelle loro celle di uomini che potrebbero usare quale pretesto della percezione di genere esclusivamente al fine di ottenere un trasferimento. Che potrebbe essere potenzialmente pericoloso per le detenute.

Circa 300 detenuti di un carcere della California chiedono il trasferimento nella sezione carceraria femminile invocando il proprio diritto all’identità di genere

Diritto o pretesto?

I tentativi di stupro e le gravidanze che si sono verificati negli istituti di pena canadesi, dove una simile normativa transgender è da tempo in atto, hanno creato allarme e pongono i presupposti per un nodo gordiano, sul piano etico e legale, difficile da sciogliere. Alle donne va garantita tutta la incolumità possibile, ma allo stesso tempo non possono essere ignorate le esigenze di uomini che si sentono in tutto e per tutto realmente appartenenti al sesso femminile. Una donna transgender ha raccontato l’inferno della sua vita quotidiana all’interno di una cella riservata ai maschi, dove solo andare in giro in reggiseno e mutandine per lavarsi significava essere oggetto di abusi di ogni tipo. Kelly, questo il nome della detenuta, è diventata donna dopo vent’anni di terapia ormonale e spera di terminare presto nella sezione femminile la propria reclusione: “Non ne posso più: quando ho reagito di fronte all’ennesima richiesta di prestazioni di sesso orale, per tutta risposta sono stata pesantemente redarguita dallo stesso personale della prigione. Non mi piace affatto condividere gli spazi con gente convinta che noi trans siamo soltanto oggetti fatti apposta per il loro divertimento. Io esigo il massimo rispetto per me e per tutte quelle come me.”

Il problema per le carceri Usa è distinguere le autentiche necessità delle persone transgender da fale autocertificazioni che portano ad abusi e violenze sulle detenute

Intanto le detenute di sesso biologicamente femminile sono in allarme e tra di loro ricorre questa domanda dalla difficile risposta: quanti sono gli autentici transgender e quanti invece quelli che ‘se la ridono’ presentando false autocertificazioni in cui si dichiara in modo fraudolento una diversa identità di genere solo per commettere soprusi e violenza? Per legge, da ben sette anni, i detenuti transgender californiani possono decidere di affermare il loro orientamento sessuale in modo radicale mediante la richiesta di un intervento chirurgico pagato dallo stato. Da allora i casi di cambiamento di sesso sono stati una settantina. A riguardo, l’avvocato statunitense che difende i diritti dei detenuti transgender sottolinea, dal canto suo, come la strada appena tracciata sia, nei fatti, ancora molto lunga e tortuosa perché la maggior parte di loro difficilmente potrà concretamente avere accesso alla terapia ormonale o a quella chirurgica. E non fa mistero sulla situazione esplosiva in atto: esibire tratti intrinsecamente femminili in un carcere maschile comporta rischi incalcolabili e nel contempo inibisce il diritto di sentirsi donna fino in fondo. Di vivere la propria vita, costi quel che costi. Di avere la gioia di amare e magari, un giorno, sentirsi così completamente donna da voler essere madre. Esattamente come la mitica Danish Girl, come tutte le Lili, le ragazze danesi del mondo.

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  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
  • Paese che vai inquinamento che trovi. O, se volete, un mal comune che non diventa affatto un mezzo gaudio. Secondo uno studio pubblicato su “The Lancet Planetary Health”, primo autore il professore Yuming Guo, sono infatti a appena 8 milioni le persone che possono dire di respirare aria pulita: lo 0,001% della popolazione mondiale, che vive su una percentuale irrisoria del globo terraqueo, lo 0,18%.

Per i rimanenti 7 miliardi e passa la situazione è grama, se non critica, con la concentrazione annuale di polveri sottili che è costantemente al di sopra della soglia di sicurezza indicata dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità (PM2.5 inferiori a 5 µg/m3), un limite oltre il quale il rischio per la salute diventa considerevole. E come se non bastasse la concentrazione media giornaliera globale è di 32,8 µg/m3, più del doppio della soglia Oms.

Lo studio pubblicato su “Lancet” è il primo al mondo ad aver ricostruito i valori giornalieri di polveri sottili, ovvero smog, su tutto il Pianeta, attraverso un metodo complesso e multifattoriale che ha permesso di ottenere dei valori anche nelle regioni non monitorate, grazie a un mix fatto di osservazioni tradizionali di monitoraggio della qualità dell’aria, rilevatori meteorologici e di inquinamento atmosferico via satellite, metodi statistici e di apprendimento automatico (machine learning).

Dati allarmanti, dunque. Per quanto qualche segnale di miglioramento comincia a intravvedersi, con il totale dei giorni con concentrazioni eccessive che sta diminuendo nel complesso. I dati degli ultimi 20 anni rivelano delle tendenze positive in Europa e Nord America, dove l’inquinamento da PM2.5 è sceso, ma non in Asia meridionale, Australia e Nuova Zelanda, America Latina e Caraibi, dove il trend è invece di crescita. Le concentrazioni più elevate di PM2.5 sono state rilevate nelle regioni dell’Asia orientale (50 µg/m3) e meridionale (37,2 µg/m3), seguite dall’Africa settentrionale (30,1 µg/m3). Poco da gioire, dunque e molto da lavorare.

#lucenews #inquinamento
  • L’arrivo della bella stagione ha il sapore del gelato 🍦

Golosi ma di qualità. È il rapporto degli italiani con il gelato artigianale secondo un’indagine di Glovo. Piattaforma di consegne, e Gusto17, brand gourmet, in vista del Gelato Day del prossimo 24 marzo.

Nel 2022 solo sull’app di Glovo gli italiani hanno ordinato più di 2 milioni di gelati, il 16% in più rispetto al 2021, con una media di 5.500 gelati al giorno, principalmente dalle gelaterie di quartiere, facendo aumentare le vendite del 138% per i piccoli esercenti. In particolare, il picco di ordini si registra alle 21.

Tra i gusti più amati dagli italiani ci sono: crema, pistacchio, nocciola e Nutella. Questa la Top 10 delle città più golose di gelato: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Firenze, Catania, Bologna, Bari e Verona.

🍨E voi, amanti del gelato, qual è il vostro gusto preferito? 

📸 Credits: @netflixit 

#lucenews #lucelanazione #gelatoday
  • 🗣«Persi undici chili in poco tempo. Per cercare di rialzarmi iniziai un percorso con uno psicologo, ma ho capito presto qual era il motivo per cui ero caduta dentro quel tunnel. E ho iniziato presto a lavorare su di me, da sola.

Nel 2014 avevo ripreso ad allenarmi da pochissimo tempo, quando ho incontrato una donna, Luana Angeletti. Ho scoperto dopo che era la mamma di un amico, ma la cosa importante è quello che lei mi disse quella volta.

Che avevo una struttura fisica adatta a competere nella categoria bikini, nel body-building. Mi è scattato dentro qualcosa, ho iniziato a lavorare perché volevo migliorare e finalmente farmi vedere dagli altri, dopo che per otto anni non ero andata neanche al mare perché mi vergognavo del mio fisico e della mia scoliosi. Grazie a Luana sono passata dal nascondermi allo stare su un palco guardata da tante persone. È stata decisiva.

Imparate a volervi bene, e se non ci riuscite con le vostre forze, non abbiate paura di farvi aiutare e seguire da altri. È importantissimo».

Dai disturbi alimentari al body building, l
Chi ha visto il film The Danish Girl, tratto dal romanzo La danese di David Ebershoff, non può essere rimasto indifferente di fronte alla bellezza stilistica della regia di Tom Hooper, alla magia di una fotografia impeccabile e soprattutto all'intensità commovente di una storia che non è frutto di fantasia, ma ispirata a un personaggio realmente esistito.
Eddie Redmayne nei panni di Lili Elbe nel film The Danish Girl

The Danish Girl

Siamo nella Danimarca dei primi del Novecento quando Einar Wegener e Gerda Gottileb, entrambi pittori di successo, si conoscono e innamorano. La loro felicità è assoluta e presto decidono di sposarsi: i due si amano moltissimo e sono complici nelle loro fantasie più nascoste, come accade per ogni coppia davvero affiatata. Un giorno Gerda suggerisce al marito di posare per lei in abiti femminili: un gioco nato per caso, solo perché l'abituale modella sua amica quel giorno non si è presentata. Einar, all'inizio, avverte tutto il comprensibile imbarazzo dell'inconsueta situazione, ma presto scopre di essere irresistibilmente attratto da quel sorprendente mutamento di cui si invaghisce così tanto da iniziare a pensare a sé stesso soltanto come donna. Si fa chiamare Lili e ogni giorno che passa comprende quanto la sua autentica personalità sia stata da sempre quella di una femmina, imprigionata solo per capriccio della natura nel corpo di un uomo.  
Nel film Einar posa in abiti femminili per la moglie: quel gesto fa scattare in lui la molla che lo porterà alla transizione di genere
La cosa gli crea non pochi scompensi e turbamenti, viene trattato da pazzo e sottoposto a trattamenti crudeli. Ma Gerda è una donna intelligente e nonostante tutto continua ad essere innamorata di Einar/Lili. Con estrema lucidità è ben consapevole di essere stata in qualche misura catalizzatrice di quella metamorfosi, anzi colei che, sulla spinta sinergica di cause efficienti, aveva messo in luce la vera natura del marito. Un marito che non avrebbe mai più potuto essere tale, perché Lili decide di recarsi in Germania allo scopo di sottoporsi a un intervento chirurgico assolutamente audace per i tempi, quello del cambiamento di sesso. Quando nel 1931 Lili Elbe, in cui era stata individuata addirittura la presenza di un abbozzo di ovaie, viene finalmente operata per un trapianto di utero e la creazione della vagina, il suo cuore non regge e lei muore.
Lili Elbe, protagonista del film, è stata la seconda persona nella storia a essere identificata come transessuale e a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale

Le ragazze danesi nella realtà

La ragazza danese è il simbolo per eccellenza del dramma delle tante persone amaramente consapevoli di essere intrappolate in un involucro fisico che non riescono a sentire affatto loro, perché estraneo, e che anzi arrivano a vivere alla stregua di un ingombro fastidioso. Uomini che hanno la netta percezione di sentirsi donne e viceversa, drammi psicologici ed esistenziali che spesso non trovano soluzione ma portano impressi tutti i segni dell'esclusione, del peso di una vita difficile e senza sbocco se non nel nascondersi, nella vergogna o peggio nell'autoannientamento.
In The Danish Girl la moglie di Einar non lo abbandonerà quando questi diventerà Lili

Oltre le sbarre

È di pochi mesi fa la notizia di un numero rilevante di detenuti rinchiusi in una prigione della California che, invocando il proprio diritto all'identità di genere, chiedono il trasferimento nella sezione carceraria femminile. Le domande dello spostamento in questione sono quasi trecento e questo da quando è entrata in vigore, nel gennaio di due anni, fa una legge specifica tesa a regolamentare il diritto di poter scegliere la propria identità di genere percepita, indipendentemente dalla struttura anatomico-biologica. Purtroppo se da un lato questa norma è stato sancita proprio a difesa di transgender e intersessuali, dall'altro ci sono le donne prigioniere che, non a torto, temono una invasione nelle loro celle di uomini che potrebbero usare quale pretesto della percezione di genere esclusivamente al fine di ottenere un trasferimento. Che potrebbe essere potenzialmente pericoloso per le detenute.
Circa 300 detenuti di un carcere della California chiedono il trasferimento nella sezione carceraria femminile invocando il proprio diritto all'identità di genere

Diritto o pretesto?

I tentativi di stupro e le gravidanze che si sono verificati negli istituti di pena canadesi, dove una simile normativa transgender è da tempo in atto, hanno creato allarme e pongono i presupposti per un nodo gordiano, sul piano etico e legale, difficile da sciogliere. Alle donne va garantita tutta la incolumità possibile, ma allo stesso tempo non possono essere ignorate le esigenze di uomini che si sentono in tutto e per tutto realmente appartenenti al sesso femminile. Una donna transgender ha raccontato l'inferno della sua vita quotidiana all'interno di una cella riservata ai maschi, dove solo andare in giro in reggiseno e mutandine per lavarsi significava essere oggetto di abusi di ogni tipo. Kelly, questo il nome della detenuta, è diventata donna dopo vent'anni di terapia ormonale e spera di terminare presto nella sezione femminile la propria reclusione: "Non ne posso più: quando ho reagito di fronte all'ennesima richiesta di prestazioni di sesso orale, per tutta risposta sono stata pesantemente redarguita dallo stesso personale della prigione. Non mi piace affatto condividere gli spazi con gente convinta che noi trans siamo soltanto oggetti fatti apposta per il loro divertimento. Io esigo il massimo rispetto per me e per tutte quelle come me."
Il problema per le carceri Usa è distinguere le autentiche necessità delle persone transgender da fale autocertificazioni che portano ad abusi e violenze sulle detenute
Intanto le detenute di sesso biologicamente femminile sono in allarme e tra di loro ricorre questa domanda dalla difficile risposta: quanti sono gli autentici transgender e quanti invece quelli che 'se la ridono' presentando false autocertificazioni in cui si dichiara in modo fraudolento una diversa identità di genere solo per commettere soprusi e violenza? Per legge, da ben sette anni, i detenuti transgender californiani possono decidere di affermare il loro orientamento sessuale in modo radicale mediante la richiesta di un intervento chirurgico pagato dallo stato. Da allora i casi di cambiamento di sesso sono stati una settantina. A riguardo, l'avvocato statunitense che difende i diritti dei detenuti transgender sottolinea, dal canto suo, come la strada appena tracciata sia, nei fatti, ancora molto lunga e tortuosa perché la maggior parte di loro difficilmente potrà concretamente avere accesso alla terapia ormonale o a quella chirurgica. E non fa mistero sulla situazione esplosiva in atto: esibire tratti intrinsecamente femminili in un carcere maschile comporta rischi incalcolabili e nel contempo inibisce il diritto di sentirsi donna fino in fondo. Di vivere la propria vita, costi quel che costi. Di avere la gioia di amare e magari, un giorno, sentirsi così completamente donna da voler essere madre. Esattamente come la mitica Danish Girl, come tutte le Lili, le ragazze danesi del mondo.
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