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Home » HP Trio » “Caro papà, dopo 2000 giorni non smettiamo di lottare”: la lettera dei figli del medico iraniano Djalali

“Caro papà, dopo 2000 giorni non smettiamo di lottare”: la lettera dei figli del medico iraniano Djalali

Lo scienziato, ricercatore e medico iraniano (con passaporto anche svedese), è stato arrestato nel 2016 con l'accusa di spionaggio e condannato a morte nel 2018 da un "tribunale rivoluzionario" di Teheran. a più di 5 anni dalla reclusione i figli scrivono al papà una lettera di speranza e supporto

Marianna Grazi
23 Ottobre 2021
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“Caro papà, sono passati ormai duemila giorni dal tuo ingiusto arresto e in ognuno di questi giorni abbiamo desiderato il tuo ritorno”. Amitis e Ariou, 18 e 9 anni, non hanno dimenticato il loro papà, Ahmadreza Djalali, rinchiuso in una prigione iraniana dal 26 aprile 2016 e condannato a morte con l’accusa di spionaggio. Non lo hanno dimenticato e aspettano speranzosi di riabbracciarlo, un giorno.

Amitis e Ariou Djalali

Intanto però, a più di 5 anni dall’arresto, hanno deciso di fargli sentire la propria vicinanza e il proprio amore con una lettera. “Ogni compleanno, Natale e Capodanno, ci auguriamo che tu possa trascorrere il prossimo con noi. Il più piccolo di noi aveva solo quattro anni quando sei stato arrestato e ogni anno chiede a Babbo Natale di riportarti come suo regalo di Natale. Duemila giorni di sofferenza e ingiustizia“.

 

Una speranza, quella dei bambini, che non si spegne, nonostante il tempo trascorso lontani da quel padre che, come scrivono, Ariou ha avuto a malapena il tempo di conoscere. Lo scienziato con doppio passaporto iraniano e svedese, esperto in medicina d’urgenza, che ha lavorato nelle università della Svezia, del Belgio ed è stato anche ricercatore nell’ateneo del Piemonte orientale, è stato condannato alla pena capitale nel 2018, da un “tribunale rivoluzionario” di Teheran. Secondo la procura iraniana Djalali avrebbe avuto diversi incontri col Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, e avrebbe fornito informazioni sensibili su siti militari e nucleari italiani e su due scienziati iraniani che sono stati poi assassinati.

Durante il processo, che Amnesty International definisce “fortemente iniquo”, il medico ha sempre respinto le accuse, che secondo lui rappresentano una rappresaglia per il suo rifiuto a collaborare coi servizi del Paese per identificare e raccogliere informazioni sugli Stati dell’Unione europea. Anche se c’è stata una confessione televisiva che, ha spiegato in un video “mi è stata estorta”, Ahmadreza non si è mai arreso e ha continuato ad opporsi alla giustizia sommaria che lo ha condannato. “Sono uno scienziato, non una spia“, ha scritto infatti dal carcere nel 2017.

Manifestazione contro la pena di morte a Ahmadreza Djalali sotto il consiglio regionale del Piemonte. Ansa/Tino Romano

Tuttavia la lunga permanenza nella prigione di Evin, ha minato fortemente le sue condizione di salute, sempre più precarie. Da tempo, ormai, la sua esecuzione viene periodicamente annunciata e poi rimandata. In favore della scarcerazione di Djalali, hanno preso posizione 121 premi Nobel e l’organizzazione umanitaria Amnesty International, che ha lanciato un appello alle autorità iraniane firmato da oltre 220mila persone.

Ad aggravare la sua situazione, nell’ultimo anno, si è aggiunta l’impossibilità di parlare con la sua famiglia: gli è stato infatti impedito di contattare telefonicamente la moglie Vida e i figli, che vivono in Svezia. Ma il 17 ottobre, in occasione del triste anniversario del duemillesimo giorno senza l’uomo, sono stati proprio i bambini a ‘parlare’ simbolicamente con lui, con la loro struggente lettera che sperano, in qualche modo, possa arrivargli e dargli conforto. “Non è passato giorno in cui tu non sia stato nei nostri pensieri. Ci chiediamo perché un destino così ingiusto debba essere destinato a te, che non hai sbagliato e che per noi sei sempre stato un modello – scrivono Amitis e Ariou -. Ma restiamo fiduciosi. Ammiriamo come hai sopportato un inferno simile per così tanto tempo. Non smetteremo di lottare per la tua liberazione, per farti sentire ancora una volta una sensazione di libertà. Continuiamo a chiedere alle persone di unirsi alla nostra lotta per il tuo rilascio, per fare giustizia. Non ci fermeremo finché non tornerai a casa – concludono – con noi, con la tua famiglia e i tuoi amici, e di nuovo nella comunità scientifica, dove potrai continuare ad aiutare gli altri attraverso il tuo lavoro e la tua ricerca”.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
"Caro papà, sono passati ormai duemila giorni dal tuo ingiusto arresto e in ognuno di questi giorni abbiamo desiderato il tuo ritorno". Amitis e Ariou, 18 e 9 anni, non hanno dimenticato il loro papà, Ahmadreza Djalali, rinchiuso in una prigione iraniana dal 26 aprile 2016 e condannato a morte con l'accusa di spionaggio. Non lo hanno dimenticato e aspettano speranzosi di riabbracciarlo, un giorno.
Amitis e Ariou Djalali
Intanto però, a più di 5 anni dall'arresto, hanno deciso di fargli sentire la propria vicinanza e il proprio amore con una lettera. "Ogni compleanno, Natale e Capodanno, ci auguriamo che tu possa trascorrere il prossimo con noi. Il più piccolo di noi aveva solo quattro anni quando sei stato arrestato e ogni anno chiede a Babbo Natale di riportarti come suo regalo di Natale. Duemila giorni di sofferenza e ingiustizia".   Una speranza, quella dei bambini, che non si spegne, nonostante il tempo trascorso lontani da quel padre che, come scrivono, Ariou ha avuto a malapena il tempo di conoscere. Lo scienziato con doppio passaporto iraniano e svedese, esperto in medicina d'urgenza, che ha lavorato nelle università della Svezia, del Belgio ed è stato anche ricercatore nell'ateneo del Piemonte orientale, è stato condannato alla pena capitale nel 2018, da un "tribunale rivoluzionario" di Teheran. Secondo la procura iraniana Djalali avrebbe avuto diversi incontri col Mossad, l'agenzia di intelligence israeliana, e avrebbe fornito informazioni sensibili su siti militari e nucleari italiani e su due scienziati iraniani che sono stati poi assassinati. Durante il processo, che Amnesty International definisce "fortemente iniquo", il medico ha sempre respinto le accuse, che secondo lui rappresentano una rappresaglia per il suo rifiuto a collaborare coi servizi del Paese per identificare e raccogliere informazioni sugli Stati dell'Unione europea. Anche se c'è stata una confessione televisiva che, ha spiegato in un video "mi è stata estorta", Ahmadreza non si è mai arreso e ha continuato ad opporsi alla giustizia sommaria che lo ha condannato. "Sono uno scienziato, non una spia", ha scritto infatti dal carcere nel 2017.
Manifestazione contro la pena di morte a Ahmadreza Djalali sotto il consiglio regionale del Piemonte. Ansa/Tino Romano
Tuttavia la lunga permanenza nella prigione di Evin, ha minato fortemente le sue condizione di salute, sempre più precarie. Da tempo, ormai, la sua esecuzione viene periodicamente annunciata e poi rimandata. In favore della scarcerazione di Djalali, hanno preso posizione 121 premi Nobel e l'organizzazione umanitaria Amnesty International, che ha lanciato un appello alle autorità iraniane firmato da oltre 220mila persone. Ad aggravare la sua situazione, nell'ultimo anno, si è aggiunta l'impossibilità di parlare con la sua famiglia: gli è stato infatti impedito di contattare telefonicamente la moglie Vida e i figli, che vivono in Svezia. Ma il 17 ottobre, in occasione del triste anniversario del duemillesimo giorno senza l'uomo, sono stati proprio i bambini a 'parlare' simbolicamente con lui, con la loro struggente lettera che sperano, in qualche modo, possa arrivargli e dargli conforto. "Non è passato giorno in cui tu non sia stato nei nostri pensieri. Ci chiediamo perché un destino così ingiusto debba essere destinato a te, che non hai sbagliato e che per noi sei sempre stato un modello - scrivono Amitis e Ariou -. Ma restiamo fiduciosi. Ammiriamo come hai sopportato un inferno simile per così tanto tempo. Non smetteremo di lottare per la tua liberazione, per farti sentire ancora una volta una sensazione di libertà. Continuiamo a chiedere alle persone di unirsi alla nostra lotta per il tuo rilascio, per fare giustizia. Non ci fermeremo finché non tornerai a casa - concludono - con noi, con la tua famiglia e i tuoi amici, e di nuovo nella comunità scientifica, dove potrai continuare ad aiutare gli altri attraverso il tuo lavoro e la tua ricerca".
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