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Home » Attualità » Fugge in Qatar la giornalista che intervistò il leader talebano: “Non ci accettano come esseri umani”

Fugge in Qatar la giornalista che intervistò il leader talebano: “Non ci accettano come esseri umani”

Reporters Sans Frontières e la sua organizzazione partner, il Centro per la protezione delle giornaliste afghane (Cpawj) rilevano che la maggior parte del personale femminile nelle organizzazioni dei media, comprese le giornaliste, ha smesso di lavorare

Sofia Francioni
3 Settembre 2021
Afghanistan, protesta delle donne

Afghanistan, protesta delle donne

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Beheshta Arghand durante l’intervista al leader talebano

Le immagini di Beheshta Arghand, la prima giornalista afghana ad aver intervistato un alto esponente talebano, hanno fatto il giro del mondo. Ma la stessa anchorwoman di ToloNews oggi è costretta a lasciare il suo Paese per fuggire in Qatar. “I talebani non accettano le donne come esseri umani, hanno iniziato a prenderci di mira subito dopo la conquista”, racconta al Guardian. Mentre ammette alla Cnn: “Ho lasciato il Paese perché, come milioni di persone, li temo”. La storia di Beheshta è emblematica della situazione che le professioniste dell’informazione vivono in queste ore in Afghanistan. Da quando i talebani ne hanno preso il controllo, il 15 agosto, un sondaggio di Reporters Sans Frontières e della sua organizzazione partner, il Centro per la protezione delle giornaliste afghane (Cpawj), ha infatti rilevato che la maggior parte del personale femminile nelle organizzazioni dei media, comprese le giornaliste, ha smesso di lavorare: 100 su 700 giornaliste (leggi l’articolo) . A Kabul, nel 2020, i 108 gruppi editoriali che operano nel territorio hanno impiegato 4.940 dipendenti, tra cui 700 giornaliste e di queste soltanto 1 su 7 continua a lavorare in queste ore. Mentre, sempre secondo il rapporto Rsf, delle 510 donne che lavoravano per otto delle più grandi aziende editoriali private, solo 76, di cui 39 giornaliste, sono ancora al lavoro. E non va meglio nelle province, dove quasi tutti i media di proprietà privata hanno smesso di operare con l’avanzata dei talebani. In particolare, capillare era in fenomeno della diffusione radiofonica dell’informazione, settore in cui la maggior parte delle voci erano femminili (leggi l’articolo)

 

Beheshta Arghand

“Una manciata di queste giornaliste riesce ancora più o meno a lavorare da casa, ma non c’è paragone con il 2020, quando un sondaggio di Rsf e Cpawj ha stabilito che più di 1.700 donne lavoravano per i media in tre province (Kabul, Herat e Balkh) nell’est, nell’ovest e nel nord del Paese”, dichiara il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire. “Il rispetto dei talebani per il diritto fondamentale delle donne, comprese le giornaliste, di lavorare e esercitare la loro professione è una questione chiave”. Un aspetto su cui il 24 agosto già insisteva l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet: “Una linea rossa fondamentale sarà il trattamento riservato dai Talebani a donne e ragazze e al rispetto del loro diritto alla libertà di movimento, all’istruzione, all’espressione personale e al lavoro, secondo le norme internazionali sui diritti umani”.

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Instagram

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"Ve lo risparmio ragazzi, non è proprio il mio forte" ha risposto l
  • Aumentano, purtroppo, gli episodi di bullismo e cyberbullismo. 

I minori vittime di prepotenze nella vita reale, o che le abbiano subite qualche volta sono il 54%, contro il 44% del 2020. Un incremento significativo, di ben 10 punti, che deve spingerci a riflettere. 

Per quanto riguarda il cyber bullismo, il 31% dei minori ne è stato vittima almeno una volta, contro il 23% del 2020. Il fenomeno sembra interessare più i ragazzi delle ragazze sia nella vita reale (il 57% dei maschi è stato vittima di prepotenze, contro il 50% delle femmine) sia in quella virtuale (32% contro 29%). Nel 42% si tratta di offese verbali, ma sono frequenti anche violenze fisiche (26%) e psicologiche (26%).

Il 52% è pienamente consapevole dei reati che commette se intraprende un’azione di bullismo usando internet o lo smartphone, il 14% lo è abbastanza, ma questo non sembra un deterrente. Un 26%, invece, dichiara di non saperne nulla della gravità del reato. Intervistati, con risposte multiple, sui motivi che spingono ad avere comportamenti di prepotenza o di bullismo nei confronti degli altri, il 54% indica il body shaming. 

Mentre tra i motivi che spingono i bulli ad agire in questo modo, il 50% afferma che così dimostra di essere più forte degli altri, il 47% si diverte a mettere in ridicolo gli altri, per il 37% il bullo si comporta in questo modo perché gli piace che gli altri lo temano.

Ma come si comportano se assistono a episodi di bullismo? Alla domanda su come si comportano i compagni quando assistono a queste situazioni, solo il 34% risponde “aiutano la vittima”, un dato che nel 2020 era il 44%. 

Un calo drastico, che forse potrebbe essere spiegato con una minore empatia sociale dovuta al distanziamento sociale e al lockdown, che ha impedito ai minori di intessere relazioni profonde. Migliora, invece, la percentuale degli insegnanti che, rendendosi conto di quanto accaduto, intervengono prontamente (46% contro il 40% del 2020). Un 7%, però, dichiara che i docenti, sebbene si rendano conto di quanto succede, non fanno nulla per fermare le prepotenze.

I giovanissimi sono sempre più iperconessi, ma sono ancora in grado di legarsi?

#lucenews #giornatacontroilbullismo
  • “Non sono giorni facilissimi, il dolore va e viene: è molto difficile non pensare a qualcosa che ti fa male”. Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, una delle influencer più amate del web si mette ancora una volta a nudo raccontando le sue insicurezze e fragilità. In un post su Instagram parla della tricodinia. 

“Se fosse tutto ok, per questa tricodinia rimarrebbe solo lo stress come unica causa e allora dovrò modificare qualcosa nella mia vita. Forse il mio corpo mi sta parlando e devo dargli ascolto."

La tricodinia è una sensazione dolorosa al cuoio capelluto, accompagnata da un bruciore o prurito profondo che, in termini medici, si chiama disestesia. Può essere transitoria o diventare cronica, a volte perfino un gesto quotidiano come pettinarsi o toccarsi i capelli può diventare molto doloroso. Molte persone – due pazienti su tre sono donne – lamentano formicolii avvertiti alla radice, tra i follicoli e il cuoio capelluto. Tra le complicazioni, la tricodinia può portare al diradamento e perfino alla caduta dei capelli. 

#lucenews #lucelanazione #camihawke #tricodinia
  • Dai record alle prime volte all’attualità, la 65esima edizione dei Grammy Awards non delude quanto a sorprese. 

Domenica 5 febbraio, in una serata sfavillante a Los Angeles, la cerimonia dell’Oscare della musica della Recording Academy ha fatto entusiasmare sia per i big presenti sia per i riconoscimenti assegnati. 

Intanto ad essere simbolicamente premiate sono state le donne e i manifestanti contro la dittatura della Repubblica Islamica: “Baraye“, l’inno delle proteste in Iran, ha vinto infatti il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo dal palco è stata nientemeno che  la first lady americana Jill Biden.

L’autore, il 25enne Shervin Hajipour, era praticamente sconosciuto quando è stato eliminato dalla versione iraniana di American Idol, ma la sua canzone è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran evocando sentimenti di dolore, rabbia, speranza e desiderio di cambiamento. Hajipour vive nel Paese in rivolta ed è stato arrestato dopo che proprio questo brano, a settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

#lucenews #grammyawards2023 #shervinhajipour #iran
Beheshta Arghand durante l'intervista al leader talebano

Le immagini di Beheshta Arghand, la prima giornalista afghana ad aver intervistato un alto esponente talebano, hanno fatto il giro del mondo. Ma la stessa anchorwoman di ToloNews oggi è costretta a lasciare il suo Paese per fuggire in Qatar. “I talebani non accettano le donne come esseri umani, hanno iniziato a prenderci di mira subito dopo la conquista”, racconta al Guardian. Mentre ammette alla Cnn: “Ho lasciato il Paese perché, come milioni di persone, li temo”. La storia di Beheshta è emblematica della situazione che le professioniste dell’informazione vivono in queste ore in Afghanistan. Da quando i talebani ne hanno preso il controllo, il 15 agosto, un sondaggio di Reporters Sans Frontières e della sua organizzazione partner, il Centro per la protezione delle giornaliste afghane (Cpawj), ha infatti rilevato che la maggior parte del personale femminile nelle organizzazioni dei media, comprese le giornaliste, ha smesso di lavorare: 100 su 700 giornaliste (leggi l'articolo) . A Kabul, nel 2020, i 108 gruppi editoriali che operano nel territorio hanno impiegato 4.940 dipendenti, tra cui 700 giornaliste e di queste soltanto 1 su 7 continua a lavorare in queste ore. Mentre, sempre secondo il rapporto Rsf, delle 510 donne che lavoravano per otto delle più grandi aziende editoriali private, solo 76, di cui 39 giornaliste, sono ancora al lavoro. E non va meglio nelle province, dove quasi tutti i media di proprietà privata hanno smesso di operare con l’avanzata dei talebani. In particolare, capillare era in fenomeno della diffusione radiofonica dell'informazione, settore in cui la maggior parte delle voci erano femminili (leggi l'articolo)

 
Beheshta Arghand
“Una manciata di queste giornaliste riesce ancora più o meno a lavorare da casa, ma non c’è paragone con il 2020, quando un sondaggio di Rsf e Cpawj ha stabilito che più di 1.700 donne lavoravano per i media in tre province (Kabul, Herat e Balkh) nell’est, nell’ovest e nel nord del Paese”, dichiara il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire. “Il rispetto dei talebani per il diritto fondamentale delle donne, comprese le giornaliste, di lavorare e esercitare la loro professione è una questione chiave”. Un aspetto su cui il 24 agosto già insisteva l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet: “Una linea rossa fondamentale sarà il trattamento riservato dai Talebani a donne e ragazze e al rispetto del loro diritto alla libertà di movimento, all'istruzione, all'espressione personale e al lavoro, secondo le norme internazionali sui diritti umani”.
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