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Home » HP Trio » Un gancio al Parkinson: sacco e guantoni da box per mettere ‘Ko’ la malattia degenerativa

Un gancio al Parkinson: sacco e guantoni da box per mettere ‘Ko’ la malattia degenerativa

Nuove adesioni al progetto pilota decollato a Firenze. Il dottor Bertoni: "In questi mesi sono arrivate numerose richieste di affiliazione, per esportare il nostro modello anche in altri centri d’Italia"

Letizia Cini
21 Dicembre 2021
Un gancio al Parkinson: l’allenamento dei ’boxer’ speciali

Un gancio al Parkinson: l’allenamento dei ’boxer’ speciali

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Sembra strano, eppure uno sport “maschio“ come la boxe riesca a limitare i danni provocati da una malattia degenerativa subdola e invalidante, con la quale si trovano a fare i conti in Italia qualcosa come 300 mila persone: il Parkinson. Una patologia in crescita, che negli anni ha colpito personaggi famosi come Papa Giovanni Paolo II e l’ex campione dei pesi massimi, Muhammad Alì. “Oggi abbiamo un alleato in più per contrastare gli effetti del morbo responsabile di sintomi che vanno dal progressivo irrigidimento dei muscoli a perdita dell’equilibrio e tremori: gli allenamenti di pugilato”, spiega Maurizio Bertoni, ortopedico, fiorentino e presidente dell’associazione Un gancio al Parkinson (www.ungancioalparkinson.org) che opera all’interno del Training Lab di Firenze.

Guarda il video

 

Maurizio Bertoni, ortopedico, fiorentino e presidente dell’associazione ‘Un gancio al Parkinson’

Dottore, sacco e guantoni in un centro di riabilitazione?
“Esattamente, prendendo esempio da una palestra di New York, dove questa sinergia è utilizzata da tempo, abbiamo deciso di aprire il primo centro medico italiano nel quale si pratichi la boxe contro il Parkinson. Per questo, nel novembre 2018, è nata la nostra Associazione che conta sulla generosità di imprenditori privati”.

In cosa consiste l’allenamento dei vostri ‘boxer’ speciali?
“Esercizi di riscaldamento, colpi al sacco, salti con la corda. I pazienti sono seguiti gratuitamente, due volte a settimana da istruttori laureati in scienza motorie con il diploma di istruttore di pugilato”.

Uno strano abbinamento…
“La boxe è uno degli sport più completi, capace di sviluppare coordinazione dei movimenti, equilibrio, riflessi, ed elasticità dei muscoli. Allenare queste qualità, che si perdono in occasione di patologie neurodegenerative, migliora la qualità di vita dei pazienti, anche in fase avanzata della malattia”.

Qualche conferma?
“Molte. Avallate dai risultati di uno studio, il primo in Italia con questa metodica, basato su sui nostri pazienti e realizzato grazie al contributo del comitato scientifico dell’Associazione, composto da medici esperti del settore, italiani e statunitensi. I primi effetti positivi erano già ben visibili dopo i primi 3 mesi di allenamento. Dopo le ricerche e gli studi effettuati in collaborazione con il Musculoskeletal and Neurological Institute dell’Università dell’Ohio, ci stanno già chiedendo lumi da molti centri d’Italia”.

Fra gli effetti positivi?
“I test effettuati prima e al termine del periodo di trattamento, hanno evidenziato un miglioramento di equilibrio, stabilità, coordinazione, reattività occhio-mano. Un altro aspetto è importante: anche dal punto di vista dell’umore c’è stato un sensibile miglioramento. È cresciuta l’autostima e contemporaneamente si è attenuato l’atteggiamento depressivo che molti pazienti sviluppano proprio a causa della loro condizione”.

Alla luce dei risultati, cosa c’è oggi di nuovo?
“In questi mesi l’Associazione è cresciuta, arrivando ad ottenere un successo sorprendente – conferma il presidente dell’associazione ‘Un gancio al Parkinson’ . – Abbiamo iniziato l’attività al Training Lab di Firenze con pochi pazienti, poi piano piano siamo arrivati a seguirne 35 e adesso siamo a 80. Tuttavia, la cosa più importante è che in questi mesi sono arrivate numerose richieste di affiliazione, per esportare il nostro modello anche in altri centri d’Italia”.

Qualche esempio, dottore?
“La prima che abbiamo fatto è stata con l’Upmc di Chianciano Terme, in provincia di Siena, e nei prossimi due mesi speriamo di poterne inaugurare un’altra presso l’ospedale di proprietà dell’Università di Pittsburgh, Salvator Mundi di Roma, che ci ha chiesto di poter aprire un centro per il trattamento del Parkinson all’interno della struttura”.

E in futuro?
“Altre richieste sono al momento in fase di valutazione e confidiamo di poter estendere il nostro approccio scientifico anche ad altre realtà. Questo aspetto ci rende particolarmente orgogliosi, perché testimonia quanto è efficace la pratica del pugilato sulle persone affette da morbo di Parkinson. A Firenze stiamo anche introducendo nuovi strumenti tecnologici, che aiuteranno i pazienti negli allenamenti”.

Ci spieghi meglio.
“Si tratta di speciali visori Oculus Quest 2 a realtà virtuale che simulano un incontro di boxe, nel quale il paziente deve schivare e parare i colpi, oppure rispondere con un gancio o un dritto, esattamente come se fosse sul ring. Determinati movimenti e un allenamento mirato riescono a migliorare le capacità cognitive e reattive del paziente. Il tutto amplificato dalla voglia di dare ’un gancio al Parkinson’. Anche in questo caso sarà fatto uno studio, sponsorizzato dalla Fondazione CR Firenze, per valutare l’efficacia di questa strumentazione sul miglioramento di alcune capacità fisiche e visiomotorie dei pazienti”.

Ma cos’è il Parkinson?
Uno studio su questa patologia neurodegenerativa, la più frequente nell’età adulta dopo la malattia di Alzheimer pubblicato sulla rivista ‘Nature Partner Journal – Parkinson’s Disease’, nato dalla collaborazione tra l’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’ospedale universitario di Würzburg in Germania, svela come la mancanza di coordinazione nei movimenti dipenda dall’incapacità di un’area del cervello (i gangli della base) di regolare le varie fasi del movimento a causa della perdita di un neurotrasmettitore, la dopamina.

Il Parkinson ha colpito personaggi famosi come Papa Giovanni Paolo II

La patologia in cifre

La malattia di Parkinson, descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817, è un disturbo neurodegenerativo che colpisce oggi 5 milioni di persone nel mondo, di cui oltre 300.000 solo in Italia, e che si manifesta in media intorno ai 60 anni di età. Si stima che questo numero sia destinato ad aumentare nel nostro Paese e che nei prossimi 15 anni saranno 6.000 i nuovi casi ogni anno, di cui la metà colpiti in età lavorativa. La diagnosi della malattia è essenzialmente clinica e si basa sui sintomi. Gli esami strumentali come la risonanza magnetica encefalo e gli esami ematochimici possono contribuire a escludere quelle malattie che hanno sintomi analoghi al Parkinson. La conferma della diagnosi può arrivare da esami specifici come Spect e Pet.

Sintomi e prospettive

Sebbene le cause della malattia non siano ancora del tutto chiare, è accettata l’ipotesi di un’origine multifattoriale in cui interagiscono componenti ambientali e genetiche. Circa 300.000 le persone colpite, contando che a ogni paziente è associato almeno un caregiver (persona che se ne occupa) è chiaro che il fenomeno coinvolga più di mezzo milione di persone. La malattia può essere controllata con vari trattamenti farmacologici e non; tuttavia, chi ne soffre può sviluppare una progressiva disabilità con peggioramento della qualità di vita che riguarda anche i caregiver. I numerosi sintomi motori (bradicinesia, tremore, rigidità) e non motori (disturbi del sonno, dolore, disturbi dell’apparato gastro-enterico, del sistema cardiovascolare e genito-urinario) influenzano molto la qualità della vita. La complessità dell’assistenza socio-sanitaria richiede pertanto un approccio multisciplinare, una proficua interazione ospedale-territorio e una stretta collaborazione con le famiglie delle persone affette. “Fondamentale il ruolo della ricerca scientifica – assicurano gli addetti ai lavori – ; migliorare sempre di più le terapie sintomatiche disponibili, soprattutto, sviluppare terapie che possano agire sulle cause e sulla progressione della malattia rappresenta la vera sfida del prossimo futuro”.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Sembra strano, eppure uno sport “maschio“ come la boxe riesca a limitare i danni provocati da una malattia degenerativa subdola e invalidante, con la quale si trovano a fare i conti in Italia qualcosa come 300 mila persone: il Parkinson. Una patologia in crescita, che negli anni ha colpito personaggi famosi come Papa Giovanni Paolo II e l’ex campione dei pesi massimi, Muhammad Alì. "Oggi abbiamo un alleato in più per contrastare gli effetti del morbo responsabile di sintomi che vanno dal progressivo irrigidimento dei muscoli a perdita dell’equilibrio e tremori: gli allenamenti di pugilato", spiega Maurizio Bertoni, ortopedico, fiorentino e presidente dell’associazione Un gancio al Parkinson (www.ungancioalparkinson.org) che opera all’interno del Training Lab di Firenze.

Guarda il video

 
Maurizio Bertoni, ortopedico, fiorentino e presidente dell’associazione 'Un gancio al Parkinson'
Dottore, sacco e guantoni in un centro di riabilitazione? “Esattamente, prendendo esempio da una palestra di New York, dove questa sinergia è utilizzata da tempo, abbiamo deciso di aprire il primo centro medico italiano nel quale si pratichi la boxe contro il Parkinson. Per questo, nel novembre 2018, è nata la nostra Associazione che conta sulla generosità di imprenditori privati". In cosa consiste l’allenamento dei vostri 'boxer’ speciali? “Esercizi di riscaldamento, colpi al sacco, salti con la corda. I pazienti sono seguiti gratuitamente, due volte a settimana da istruttori laureati in scienza motorie con il diploma di istruttore di pugilato". Uno strano abbinamento... “La boxe è uno degli sport più completi, capace di sviluppare coordinazione dei movimenti, equilibrio, riflessi, ed elasticità dei muscoli. Allenare queste qualità, che si perdono in occasione di patologie neurodegenerative, migliora la qualità di vita dei pazienti, anche in fase avanzata della malattia". Qualche conferma? “Molte. Avallate dai risultati di uno studio, il primo in Italia con questa metodica, basato su sui nostri pazienti e realizzato grazie al contributo del comitato scientifico dell’Associazione, composto da medici esperti del settore, italiani e statunitensi. I primi effetti positivi erano già ben visibili dopo i primi 3 mesi di allenamento. Dopo le ricerche e gli studi effettuati in collaborazione con il Musculoskeletal and Neurological Institute dell’Università dell’Ohio, ci stanno già chiedendo lumi da molti centri d’Italia". Fra gli effetti positivi? “I test effettuati prima e al termine del periodo di trattamento, hanno evidenziato un miglioramento di equilibrio, stabilità, coordinazione, reattività occhio-mano. Un altro aspetto è importante: anche dal punto di vista dell’umore c’è stato un sensibile miglioramento. È cresciuta l’autostima e contemporaneamente si è attenuato l’atteggiamento depressivo che molti pazienti sviluppano proprio a causa della loro condizione". Alla luce dei risultati, cosa c’è oggi di nuovo? “In questi mesi l’Associazione è cresciuta, arrivando ad ottenere un successo sorprendente - conferma il presidente dell’associazione ‘Un gancio al Parkinson’ . - Abbiamo iniziato l’attività al Training Lab di Firenze con pochi pazienti, poi piano piano siamo arrivati a seguirne 35 e adesso siamo a 80. Tuttavia, la cosa più importante è che in questi mesi sono arrivate numerose richieste di affiliazione, per esportare il nostro modello anche in altri centri d’Italia". Qualche esempio, dottore? “La prima che abbiamo fatto è stata con l’Upmc di Chianciano Terme, in provincia di Siena, e nei prossimi due mesi speriamo di poterne inaugurare un’altra presso l’ospedale di proprietà dell’Università di Pittsburgh, Salvator Mundi di Roma, che ci ha chiesto di poter aprire un centro per il trattamento del Parkinson all’interno della struttura". E in futuro? “Altre richieste sono al momento in fase di valutazione e confidiamo di poter estendere il nostro approccio scientifico anche ad altre realtà. Questo aspetto ci rende particolarmente orgogliosi, perché testimonia quanto è efficace la pratica del pugilato sulle persone affette da morbo di Parkinson. A Firenze stiamo anche introducendo nuovi strumenti tecnologici, che aiuteranno i pazienti negli allenamenti". Ci spieghi meglio. “Si tratta di speciali visori Oculus Quest 2 a realtà virtuale che simulano un incontro di boxe, nel quale il paziente deve schivare e parare i colpi, oppure rispondere con un gancio o un dritto, esattamente come se fosse sul ring. Determinati movimenti e un allenamento mirato riescono a migliorare le capacità cognitive e reattive del paziente. Il tutto amplificato dalla voglia di dare ’un gancio al Parkinson’. Anche in questo caso sarà fatto uno studio, sponsorizzato dalla Fondazione CR Firenze, per valutare l’efficacia di questa strumentazione sul miglioramento di alcune capacità fisiche e visiomotorie dei pazienti". Ma cos’è il Parkinson? Uno studio su questa patologia neurodegenerativa, la più frequente nell’età adulta dopo la malattia di Alzheimer pubblicato sulla rivista ‘Nature Partner Journal - Parkinson’s Disease’, nato dalla collaborazione tra l’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’ospedale universitario di Würzburg in Germania, svela come la mancanza di coordinazione nei movimenti dipenda dall’incapacità di un’area del cervello (i gangli della base) di regolare le varie fasi del movimento a causa della perdita di un neurotrasmettitore, la dopamina.
Il Parkinson ha colpito personaggi famosi come Papa Giovanni Paolo II

La patologia in cifre

La malattia di Parkinson, descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817, è un disturbo neurodegenerativo che colpisce oggi 5 milioni di persone nel mondo, di cui oltre 300.000 solo in Italia, e che si manifesta in media intorno ai 60 anni di età. Si stima che questo numero sia destinato ad aumentare nel nostro Paese e che nei prossimi 15 anni saranno 6.000 i nuovi casi ogni anno, di cui la metà colpiti in età lavorativa. La diagnosi della malattia è essenzialmente clinica e si basa sui sintomi. Gli esami strumentali come la risonanza magnetica encefalo e gli esami ematochimici possono contribuire a escludere quelle malattie che hanno sintomi analoghi al Parkinson. La conferma della diagnosi può arrivare da esami specifici come Spect e Pet.

Sintomi e prospettive

Sebbene le cause della malattia non siano ancora del tutto chiare, è accettata l’ipotesi di un’origine multifattoriale in cui interagiscono componenti ambientali e genetiche. Circa 300.000 le persone colpite, contando che a ogni paziente è associato almeno un caregiver (persona che se ne occupa) è chiaro che il fenomeno coinvolga più di mezzo milione di persone. La malattia può essere controllata con vari trattamenti farmacologici e non; tuttavia, chi ne soffre può sviluppare una progressiva disabilità con peggioramento della qualità di vita che riguarda anche i caregiver. I numerosi sintomi motori (bradicinesia, tremore, rigidità) e non motori (disturbi del sonno, dolore, disturbi dell’apparato gastro-enterico, del sistema cardiovascolare e genito-urinario) influenzano molto la qualità della vita. La complessità dell’assistenza socio-sanitaria richiede pertanto un approccio multisciplinare, una proficua interazione ospedale-territorio e una stretta collaborazione con le famiglie delle persone affette. "Fondamentale il ruolo della ricerca scientifica - assicurano gli addetti ai lavori - ; migliorare sempre di più le terapie sintomatiche disponibili, soprattutto, sviluppare terapie che possano agire sulle cause e sulla progressione della malattia rappresenta la vera sfida del prossimo futuro".
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