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Home » HP Trio » Valentina, mamma non biologica, lotta per rivedere le sue figlie: “Non voglio che mi dimentichino”

Valentina, mamma non biologica, lotta per rivedere le sue figlie: “Non voglio che mi dimentichino”

In Italia non esiste una legge che tuteli i genitori non biologici dei figli di coppie omosessuali. La donna si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell'uomo per essere riconosciuta come madre intenzionale e sociale

Camilla Prato
4 Giugno 2021
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Una mamma che affronta la battaglia più importante della sua vita. Quella quella per ottenere il diritto di vedere le sue figlie. Valentina Bortolato, 52 anni, operatrice in una casa di riposo di Padova, dopo sei anni e mezzo di amore incondizionato nei panni di co-madre nel 2018 è stata messa alla porta dalla ex compagna, madre biologica delle gemelline, nate dalla fecondazione eterologa. Da quel momento è cominciato il suo esilio genitoriale.

“In due anni e mezzo sono riuscita a vederle meno di cinque ore e non viene intrapreso alcunché per porvi rimedio. Il Tribunale per i minorenni e la Procura tacciono da oltre un anno. Temo che si stia andando verso l’ennesima condanna della giustizia minorile italiana per incapacità di assicurare effettività a diritti riconosciuti solo sulla carta. E intanto – si sfoga Valentina – il tempo passa e le mie bambine non mi possono vedere né abbracciare”. La donna si è rivolta al Tribunale di Padova, che aveva inviato il caso alla Corte costituzionale. Questa ha effettivamente certificato che la legge italiana riserva ai figli nati dall’amore di due donne una “condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo”, affermando chiaramente che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore”. Da qui il ricorso alla Corte europea per i diritti umani, per essere riconosciuta come “madre intenzionale e sociale”.

Il 5 maggio scorso la stessa Corte di Strasburgo ha richiamato l’Italia, chiedendo giustificazioni in merito alle plurime violazioni. “Mi aspetto che vengano finalmente riconosciuti i miei diritti e che il Governo mi veda come un genitore a prescindere dal mio orientamento sessuale – dichiara la donna – Purtroppo la strada per veder riconosciuti i diritti civili è ancora molto lunga. Amo, amo come tutte le altre persone, al di là delle etichette. Credevo nella famiglia e ci credo ancora. Io e la mia compagna dovevamo sposarci per dare concretezza al nostro rapporto ma è andata così. I sogni sfumano ma quando sono nate quelle bambine la responsabilità l’ho presa e non intendo rinunciarvi”.

La fecondazione eterologa, ovvero la tecnica di fecondazione in vitro di un ovulo di una donatrice, è concessa dalla legge italiana solo alle coppie eterosessuali. Questo rappresenta l’ostacolo più grande nella battaglia di Valentina per essere riconosciuta come madre. “Essere genitori non può dipendere dall’essere uomo o donna o eterosessuale. Le separazioni ci sono anche nelle coppie eterosessuali. Quanti vivono lontani dai figli? Solo che in quei casi la legge tutela entrambi i genitori – afferma – Per me la regola non può essere la stepchild adoption, per adottare le figlie che ho fatto nascere. C’ero anche io lì, durante quel percorso. Se io fossi un maschio non avrei avuto questo problema. È giustizia questa? Tutti hanno diritto di poter ambire a un progetto di vita come quello di avere dei figli”.

E conclude, poi, lasciando trasparire l‘amarezza e l’irreprimibile paura di diventare solo un vago ricordo per le bambine: “È come se fossi stata cancellata dai loro pensieri, a favore di mamma Chiara”. In attesa di sapere se per Valentina ci sarà un lieto fine, con la decisione della Corte Europea, la sua vicenda fa riflettere sulla mancanza, nel nostro Paese, di una legge che assicuri, prima di tutto, la stabilità dei figli nel caso della separazione di una coppia omosessuale.

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  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Una mamma che affronta la battaglia più importante della sua vita. Quella quella per ottenere il diritto di vedere le sue figlie. Valentina Bortolato, 52 anni, operatrice in una casa di riposo di Padova, dopo sei anni e mezzo di amore incondizionato nei panni di co-madre nel 2018 è stata messa alla porta dalla ex compagna, madre biologica delle gemelline, nate dalla fecondazione eterologa. Da quel momento è cominciato il suo esilio genitoriale. "In due anni e mezzo sono riuscita a vederle meno di cinque ore e non viene intrapreso alcunché per porvi rimedio. Il Tribunale per i minorenni e la Procura tacciono da oltre un anno. Temo che si stia andando verso l’ennesima condanna della giustizia minorile italiana per incapacità di assicurare effettività a diritti riconosciuti solo sulla carta. E intanto - si sfoga Valentina - il tempo passa e le mie bambine non mi possono vedere né abbracciare". La donna si è rivolta al Tribunale di Padova, che aveva inviato il caso alla Corte costituzionale. Questa ha effettivamente certificato che la legge italiana riserva ai figli nati dall’amore di due donne una "condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo", affermando chiaramente che "non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore". Da qui il ricorso alla Corte europea per i diritti umani, per essere riconosciuta come "madre intenzionale e sociale". Il 5 maggio scorso la stessa Corte di Strasburgo ha richiamato l'Italia, chiedendo giustificazioni in merito alle plurime violazioni. "Mi aspetto che vengano finalmente riconosciuti i miei diritti e che il Governo mi veda come un genitore a prescindere dal mio orientamento sessuale - dichiara la donna - Purtroppo la strada per veder riconosciuti i diritti civili è ancora molto lunga. Amo, amo come tutte le altre persone, al di là delle etichette. Credevo nella famiglia e ci credo ancora. Io e la mia compagna dovevamo sposarci per dare concretezza al nostro rapporto ma è andata così. I sogni sfumano ma quando sono nate quelle bambine la responsabilità l'ho presa e non intendo rinunciarvi". La fecondazione eterologa, ovvero la tecnica di fecondazione in vitro di un ovulo di una donatrice, è concessa dalla legge italiana solo alle coppie eterosessuali. Questo rappresenta l'ostacolo più grande nella battaglia di Valentina per essere riconosciuta come madre. "Essere genitori non può dipendere dall'essere uomo o donna o eterosessuale. Le separazioni ci sono anche nelle coppie eterosessuali. Quanti vivono lontani dai figli? Solo che in quei casi la legge tutela entrambi i genitori - afferma - Per me la regola non può essere la stepchild adoption, per adottare le figlie che ho fatto nascere. C'ero anche io lì, durante quel percorso. Se io fossi un maschio non avrei avuto questo problema. È giustizia questa? Tutti hanno diritto di poter ambire a un progetto di vita come quello di avere dei figli". E conclude, poi, lasciando trasparire l'amarezza e l'irreprimibile paura di diventare solo un vago ricordo per le bambine: "È come se fossi stata cancellata dai loro pensieri, a favore di mamma Chiara". In attesa di sapere se per Valentina ci sarà un lieto fine, con la decisione della Corte Europea, la sua vicenda fa riflettere sulla mancanza, nel nostro Paese, di una legge che assicuri, prima di tutto, la stabilità dei figli nel caso della separazione di una coppia omosessuale.
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