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Home » Scienze e culture » Il gatto fra scienza e storia, il Dna parla chiaro: “È stato addomesticato 10mila anni fa”

Il gatto fra scienza e storia, il Dna parla chiaro: “È stato addomesticato 10mila anni fa”

La genetista Leslie A. Lyons dell’Università del Missouri ha messo a confronto 200 marcatori genetici: "Animali speciali, se li lasciassimo liberi continuerebbero a cacciare e sarebbero in grado di sopravvivere"

Domenico Guarino
10 Gennaio 2023
Inizialmente i gatti erano utilizzati per il controllo dei parassiti negli insediamenti

Inizialmente i gatti erano utilizzati per il controllo dei parassiti negli insediamenti

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Indipendenti, sornioni, misteriosi, felini: i gatti rappresentano ben più di un ‘animale domestico’. Affascinanti e regali nelle movenze, hanno ispirato generazioni di artisti, passando attraverso la divinizzazione e la dannazione. C’è chi li ha considerati alla stregua di semidei e chi invece delle creature diaboliche, chi ne ha cantato le movenze eleganti e chi li ha detestati al punto da chiederne l’estinzione.

L’unica cosa certa è che il gatto accompagna l’uomo praticamente da sempre. La conferma arriva da uno studio dell’Università del Missouri, secondo cui i gatti sono stati addomesticati dalle civiltà che per prime modificarono il loro stile di vita da nomade/cacciatore a sedentario/agricoltore circa 12mila anni fa. Quindi 8mila anni prima degli antichi Egizi, che li veneravano, considerandoli animali sacri in quanto incarnazione di Bastet, dea della maternità. Secondo lo studio, pubblicato su Nature, lo schema migratorio dei gatti è infatti uguale a quello degli antichi uomini.

Quando è iniziata la ‘domesticazione’ del gatto?

Gergely Homonnay e la sua gatta Erzsi
Inizialmente i gatti erano utilizzati per il controllo dei parassiti negli insediamenti

Inizialmente i gatti erano utilizzati per il controllo dei parassiti negli insediamenti. Poi, man mano che l’uomo ha iniziato a viaggiare e a portarli con sé, Il legame si è evoluto, fino al momento ella sendentarizzazione, quando l’evoluzione delle piccole comunità antropiche ne ha determinato la prima domesticazione.

I ricercatori hanno raccolto campioni di guance di gatti provenienti da strutture di sterilizzazione ed hanno messo a confronto quasi 200 marcatori genetici, riuscendo a ricostruire la loro storia evolutiva e dimostrando che la loro origine va ricercata nel bacino orientale del Mediterraneo, dal quale, in seguito, questi gatti domestici si sono diffusi nelle isole vicine e viaggiato verso sud attraverso la costa levantina fino alla Valle del Nilo. A differenza di altre specie animali come cavalli e bovini che hanno avuto diversi eventi di addomesticamento, i gatti sembrano essere infatti gli unici provenire da un unico evento e luogo: la Mezzaluna Fertile, ovvero dai territori in cui oggi sono compresi Iraq, Siria, Libano, Israele, Palestina e Giordania, l’area settentrionale del Kuwait, la parte sudorientale della Turchia e la parte occidentale dell’Iran. Quando dalla Mezzaluna Fertile l’uomo ha “esportato” sviluppo agricolo e commercio, anche i gatti hanno migrato verso l’Europa e da questa si sono successivamente imbarcati sulle navi che viaggiavano verso le Americhe.

Gli studi

Finora si pensava che i primi esemplari di gatti domestici fosse quelli studiati dagli scienziati guidati dal dottor Yaowu Hu della Chinese Academy of Sciences , che grazie ad analisi effettuate sui resti ossei appartenenti ad almeno due gatti, rinvenuti nei pressi di Quanhucun, nella Cina, avevano datato concluso che si trattasse di esemplari vissuti circa 5300 anni fa. A testimoniare sulla loro donesticazione sarebbe stato il quel caso l’alimentazione: uno dei due esemplari studiati infatti avrebbe mangiato più alimenti a base di miglio che carne, a quanto pare, e, secondo i ricercatori cinesi, a darglieli fu proprio qualche agricoltore.
Lo studio dell’Università del Missouri, è stato pubblicato sulla rivista Heredity da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla genetista Leslie A. Lyons. La storia evolutiva dei gatti è stata ricostruita mettendo a confronto quasi 200 marcatori genetici.

I marcatori

La genetista Leslie A. Lyons dell’Università del Missouri
La genetista Leslie A. Lyons dell’Università del Missouri

“Uno dei principali marcatori che abbiamo studiato sono i microsatelliti, che mutano molto rapidamente e ci danno indizi sulle popolazioni di gatti e sugli incroci degli ultimi secoli”, spiega Lyons. “Un altro marcatore chiave che abbiamo esaminato sono i polimorfismi a singolo nucleotide, che invece ci danno indizi sulla loro storia antica di diverse migliaia di anni fa”. Dallo studio è così emerso che i gatti sarebbero andati incontro a un unico evento di domesticazione nella Mezzaluna Fertile (a differenza di cavalli e bovini che sono stati addomesticati in momenti diversi in varie parti del mondo) e da lì si sarebbero poi diffusi in tutto il mondo, portati dalle ondate migratorie degli umani.

Per questo i moderni gatti dell’Europa occidentale hanno un Dna molto diverso da quelli del sud-est asiatico, per effetto di un fenomeno noto come ‘isolamento per distanza’. “A dire il vero possiamo riferirci ai gatti come semi-addomesticati – sottolinea Lyons – perché se li lasciassimo liberi in natura, probabilmente continuerebbero a cacciare gli animali infestanti e sarebbero in grado di sopravvivere e accoppiarsi da soli grazie ai loro comportamenti naturali. A differenza dei cani e di altri animali domestici, non abbiamo cambiato molto il comportamento dei gatti durante il processo di addomesticamento, quindi i gatti dimostrano ancora una volta di essere animali speciali”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Indipendenti, sornioni, misteriosi, felini: i gatti rappresentano ben più di un ‘animale domestico’. Affascinanti e regali nelle movenze, hanno ispirato generazioni di artisti, passando attraverso la divinizzazione e la dannazione. C’è chi li ha considerati alla stregua di semidei e chi invece delle creature diaboliche, chi ne ha cantato le movenze eleganti e chi li ha detestati al punto da chiederne l’estinzione. L’unica cosa certa è che il gatto accompagna l’uomo praticamente da sempre. La conferma arriva da uno studio dell’Università del Missouri, secondo cui i gatti sono stati addomesticati dalle civiltà che per prime modificarono il loro stile di vita da nomade/cacciatore a sedentario/agricoltore circa 12mila anni fa. Quindi 8mila anni prima degli antichi Egizi, che li veneravano, considerandoli animali sacri in quanto incarnazione di Bastet, dea della maternità. Secondo lo studio, pubblicato su Nature, lo schema migratorio dei gatti è infatti uguale a quello degli antichi uomini.

Quando è iniziata la 'domesticazione' del gatto?

Gergely Homonnay e la sua gatta Erzsi
Inizialmente i gatti erano utilizzati per il controllo dei parassiti negli insediamenti
Inizialmente i gatti erano utilizzati per il controllo dei parassiti negli insediamenti. Poi, man mano che l’uomo ha iniziato a viaggiare e a portarli con sé, Il legame si è evoluto, fino al momento ella sendentarizzazione, quando l’evoluzione delle piccole comunità antropiche ne ha determinato la prima domesticazione. I ricercatori hanno raccolto campioni di guance di gatti provenienti da strutture di sterilizzazione ed hanno messo a confronto quasi 200 marcatori genetici, riuscendo a ricostruire la loro storia evolutiva e dimostrando che la loro origine va ricercata nel bacino orientale del Mediterraneo, dal quale, in seguito, questi gatti domestici si sono diffusi nelle isole vicine e viaggiato verso sud attraverso la costa levantina fino alla Valle del Nilo. A differenza di altre specie animali come cavalli e bovini che hanno avuto diversi eventi di addomesticamento, i gatti sembrano essere infatti gli unici provenire da un unico evento e luogo: la Mezzaluna Fertile, ovvero dai territori in cui oggi sono compresi Iraq, Siria, Libano, Israele, Palestina e Giordania, l’area settentrionale del Kuwait, la parte sudorientale della Turchia e la parte occidentale dell’Iran. Quando dalla Mezzaluna Fertile l’uomo ha “esportato” sviluppo agricolo e commercio, anche i gatti hanno migrato verso l’Europa e da questa si sono successivamente imbarcati sulle navi che viaggiavano verso le Americhe.

Gli studi

Finora si pensava che i primi esemplari di gatti domestici fosse quelli studiati dagli scienziati guidati dal dottor Yaowu Hu della Chinese Academy of Sciences , che grazie ad analisi effettuate sui resti ossei appartenenti ad almeno due gatti, rinvenuti nei pressi di Quanhucun, nella Cina, avevano datato concluso che si trattasse di esemplari vissuti circa 5300 anni fa. A testimoniare sulla loro donesticazione sarebbe stato il quel caso l’alimentazione: uno dei due esemplari studiati infatti avrebbe mangiato più alimenti a base di miglio che carne, a quanto pare, e, secondo i ricercatori cinesi, a darglieli fu proprio qualche agricoltore. Lo studio dell’Università del Missouri, è stato pubblicato sulla rivista Heredity da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla genetista Leslie A. Lyons. La storia evolutiva dei gatti è stata ricostruita mettendo a confronto quasi 200 marcatori genetici.

I marcatori

La genetista Leslie A. Lyons dell’Università del Missouri
La genetista Leslie A. Lyons dell’Università del Missouri
“Uno dei principali marcatori che abbiamo studiato sono i microsatelliti, che mutano molto rapidamente e ci danno indizi sulle popolazioni di gatti e sugli incroci degli ultimi secoli”, spiega Lyons. “Un altro marcatore chiave che abbiamo esaminato sono i polimorfismi a singolo nucleotide, che invece ci danno indizi sulla loro storia antica di diverse migliaia di anni fa”. Dallo studio è così emerso che i gatti sarebbero andati incontro a un unico evento di domesticazione nella Mezzaluna Fertile (a differenza di cavalli e bovini che sono stati addomesticati in momenti diversi in varie parti del mondo) e da lì si sarebbero poi diffusi in tutto il mondo, portati dalle ondate migratorie degli umani. Per questo i moderni gatti dell’Europa occidentale hanno un Dna molto diverso da quelli del sud-est asiatico, per effetto di un fenomeno noto come ‘isolamento per distanza’. “A dire il vero possiamo riferirci ai gatti come semi-addomesticati - sottolinea Lyons - perché se li lasciassimo liberi in natura, probabilmente continuerebbero a cacciare gli animali infestanti e sarebbero in grado di sopravvivere e accoppiarsi da soli grazie ai loro comportamenti naturali. A differenza dei cani e di altri animali domestici, non abbiamo cambiato molto il comportamento dei gatti durante il processo di addomesticamento, quindi i gatti dimostrano ancora una volta di essere animali speciali”.
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