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Home » Scienze e culture » In Brasile Bolsonaro gioca la carta della guerra in Ucraina per sfruttare le terre indigene

In Brasile Bolsonaro gioca la carta della guerra in Ucraina per sfruttare le terre indigene

Con le restrizioni economiche imposte alla Russia l'importazione di fertilizzanti nel Paese del Sud America si è interrotta. Il presidente sta cercando di forzare l'approvazione di una riforma che consentirebbe l'estrazione di potassio dalle terre indigene

Marianna Grazi
25 Marzo 2022
Il presidente del Brasile Bolsonaro

Il presidente del Brasile Bolsonaro

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Come se la guerra non fosse già di per sé una catastrofe, c’è chi prova a sfruttarla per interessi che creano a loro volta terribili disastri. Stiamo parlando, ad esempio, di Jair Bolsonaro, il presidente del Brasile, che sta giocando la carta del conflitto in Ucraina come motivo per spingere lo sfruttamento minerario dell’Amazzonia. “Questa crisi è una buona opportunità per noi”, avrebbe detto, giocando la carta della sicurezza alimentare della popolazione per velocizzare l’approvazione di un disegno di legge che permette questa procedura ed è al vaglio della Camera dei Rappresentanti.
Nel corso degli anni il governo è già riuscito ad approvare numerosi progetti di estrazione mineraria, singoli singoli e su piccola scala, rappresentano solo una parte dell’erosione di cui la Foresta Amazzonica è vittima in nome di interessi economici poco sensibili alla tutela dell’ambiente e del Pianeta.

La guerra in Ucraina, secondo Bolsonaro, rappresenta “una buona opportunità per noi” per far approvare una legge che permetta al governo di sfruttare le terre indigene per l’estrazione mineraria

Il potassio per i fertilizzanti che (non) arriva dalla Russia

Bolsonaro vorrebbe eliminare i vincoli ambientali per sfruttare l’Amazzonia per interessi economici

Il Paese sudamericano è infatti il maggior esportatore di soia, caffè e zucchero nel mondo e il primo importatore di fertilizzanti (l’85% circa di quelli che consuma arriva dall’estero), molti dei quali comprati dalla Russia. Le sanzioni imposte al Paese a causa dell’invasione dell’Ucraina hanno portato ad una sospensione delle esportazioni di questi prodotti da parte del governo di Mosca. La soluzione allora, secondo il presidente Bolsonaro, è quella di sfruttare le terre indigene protette per il potassio, alla base dei prodotti indispensabili per il settore trainante dell’economia brasiliana. Secondo l’associazione nazionale per la diffusione dei fertilizzanti (Anda) le scorte di fertilizzanti sarebbero appena sufficienti per i prossimi tre mesi.

“Sicurezza alimentare a rischio”

“Con la guerra tra Russia e Ucraina, oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo – aveva scritto Bolsonaro su Twitter –. La nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza”, riferendosi appunto alla presenza di potassio nelle terre del Paese. Nel tweet il presidente ripubblica un video del 2016 in cui, durante un dibattito parlamentare, denunciava la “dipendenza dalla Russia” per queste sostanze, accusando il governo di ostacolare l’utilizzo di ingenti risorse nazionali a causa di vincoli ambientali e tutele per le riserve indigene.

-O POTÁSSIO e a nossa segurança alimentar.

-Em 2016, como deputado, discursei sobre nossa dependência do potássio da Rússia. Citei 3 problemas: ambiental, indígena e a quem pertencia o direito exploratório na foz do Rio Madeira (existem jazidas também em outras regiões do país). pic.twitter.com/4LJV8N26oo

— Jair M. Bolsonaro (@jairbolsonaro) March 2, 2022

Una sorta di giustificazione ai ripetuti tentativi di far approvare, ora più che mai, la contestata riforma che permetterebbe appunto lo sfruttamento massivo dei territori dei nativi per estrarre una sostanza – a suo dire – indispensabile per la sicurezza alimentare dell’intero Brasile. Tuttavia, come ha spiegato al Washington Post un ricercatore della catena di produzione in Amazzonia, Raoni Rajão, solo l’11% delle riserve di potassio in Amazzonia si trovano su terreni indigeni, mentre gran parte di esso si trova in realtà fuori dalla foresta. Bolsonaro e i suoi sostenitori, quindi, starebbero “proponendo una falsa soluzione a un problema reale”.

Già in passato Bolsonaro ha provato a far abolire le tutele che, anche in costituzione, sono previste per le terre indigene

La riforma

La PL191, nome ufficiale della contestata riforma redatta dai ministeri delle Miniere e dell’Energia e della Giustizia, è già stata giudicata come incostituzionale dalla magistratura brasiliana. L’obiettivo della legge, sostenuta apertamente e anzi spinta proprio da Bolsonaro, è la cancellazione delle politiche di tutela del territorio. Se venisse approvata, infatti, sbloccherebbe l’attività mineraria nelle riserve delle tribù indigene, senza che queste possano più opporvisi (sarebbe infatti rimosso il loro diritto di veto previsto dalla Costituzione). Inoltre darebbe il via alla costruzione di centrali idroelettriche e rimuoverebbe qualsiasi ostacolo alle attività zootecniche, alle colture transgeniche e all’estrazione di petrolio e gas in queste terre, promuovendovi persino il turismo, in aree già fortemente minacciate dalla deforestazione incontrollata e dai cambiamenti climatici conseguenti. Per il momento la procura federale ha trovato “vizi insanabili” per la sua approvazione, in quanto “La presentazione del PL 191/2020 e le manifestazioni di sostegno all’attività mineraria emanate da alcune autorità spiegano, almeno in parte, la crescita di questa attività illegale sulle terre indigene, che minaccia le comunità indigene vicino alle zone minerarie”.

La legge del “Limite temporale”

alla Camera dei rappresentanti del Brasile sono in discussione due leggi che andrebbero a cancellare tutte le misure di protezione per l’Amazzonia e i suoi popoli attualmente previste

Oltre al PL 191/2020 c’è anche un altra legge ancora in discussione, benché di gran lunga precedente. Si tratta della 490/2007, nota come legge del “marco temporal” (il limite temporale), in base alla quale i popoli indigeni che, alla data di promulgazione della Costituzione brasiliana (5 ottobre 1988), non possono provare che abitavano fisicamente sulle loro terre, non potranno vantare più alcun diritto su di esse. La norma è stata proposta e sostenuta in particolare dal settore dell’agribusiness, che vede in essa uno spiraglio di apertura verso nuove zone da sfruttare. In questo caso è stato l’Onu stesso a intervenire in opposizione alla proposta: secondo le Nazioni Unite il disegno di legge “si colloca nel contesto di un’agenda parlamentare anti-indigena” e insiste “sulla forma più coloniale di sfruttamento, essendo un evidente tentativo di neutralizzare l’articolo 231 della Costituzione, sui diritti dei popoli indigeni”. Insomma si tratterebbe di un attacco frontale alle tribù che, da secoli, abitano il polmone verde del mondo, proteggendolo e preservando l’enorme ricchezza che contiene al suo interno.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo

Come se la guerra non fosse già di per sé una catastrofe, c'è chi prova a sfruttarla per interessi che creano a loro volta terribili disastri. Stiamo parlando, ad esempio, di Jair Bolsonaro, il presidente del Brasile, che sta giocando la carta del conflitto in Ucraina come motivo per spingere lo sfruttamento minerario dell'Amazzonia. "Questa crisi è una buona opportunità per noi", avrebbe detto, giocando la carta della sicurezza alimentare della popolazione per velocizzare l'approvazione di un disegno di legge che permette questa procedura ed è al vaglio della Camera dei Rappresentanti. Nel corso degli anni il governo è già riuscito ad approvare numerosi progetti di estrazione mineraria, singoli singoli e su piccola scala, rappresentano solo una parte dell’erosione di cui la Foresta Amazzonica è vittima in nome di interessi economici poco sensibili alla tutela dell’ambiente e del Pianeta.

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Il Paese sudamericano è infatti il maggior esportatore di soia, caffè e zucchero nel mondo e il primo importatore di fertilizzanti (l'85% circa di quelli che consuma arriva dall'estero), molti dei quali comprati dalla Russia. Le sanzioni imposte al Paese a causa dell'invasione dell'Ucraina hanno portato ad una sospensione delle esportazioni di questi prodotti da parte del governo di Mosca. La soluzione allora, secondo il presidente Bolsonaro, è quella di sfruttare le terre indigene protette per il potassio, alla base dei prodotti indispensabili per il settore trainante dell'economia brasiliana. Secondo l'associazione nazionale per la diffusione dei fertilizzanti (Anda) le scorte di fertilizzanti sarebbero appena sufficienti per i prossimi tre mesi.

"Sicurezza alimentare a rischio"

"Con la guerra tra Russia e Ucraina, oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo – aveva scritto Bolsonaro su Twitter –. La nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza", riferendosi appunto alla presenza di potassio nelle terre del Paese. Nel tweet il presidente ripubblica un video del 2016 in cui, durante un dibattito parlamentare, denunciava la "dipendenza dalla Russia" per queste sostanze, accusando il governo di ostacolare l'utilizzo di ingenti risorse nazionali a causa di vincoli ambientali e tutele per le riserve indigene.

-O POTÁSSIO e a nossa segurança alimentar.

-Em 2016, como deputado, discursei sobre nossa dependência do potássio da Rússia. Citei 3 problemas: ambiental, indígena e a quem pertencia o direito exploratório na foz do Rio Madeira (existem jazidas também em outras regiões do país). pic.twitter.com/4LJV8N26oo — Jair M. Bolsonaro (@jairbolsonaro) March 2, 2022

Una sorta di giustificazione ai ripetuti tentativi di far approvare, ora più che mai, la contestata riforma che permetterebbe appunto lo sfruttamento massivo dei territori dei nativi per estrarre una sostanza – a suo dire – indispensabile per la sicurezza alimentare dell'intero Brasile. Tuttavia, come ha spiegato al Washington Post un ricercatore della catena di produzione in Amazzonia, Raoni Rajão, solo l'11% delle riserve di potassio in Amazzonia si trovano su terreni indigeni, mentre gran parte di esso si trova in realtà fuori dalla foresta. Bolsonaro e i suoi sostenitori, quindi, starebbero "proponendo una falsa soluzione a un problema reale".

Già in passato Bolsonaro ha provato a far abolire le tutele che, anche in costituzione, sono previste per le terre indigene

La riforma

La PL191, nome ufficiale della contestata riforma redatta dai ministeri delle Miniere e dell’Energia e della Giustizia, è già stata giudicata come incostituzionale dalla magistratura brasiliana. L'obiettivo della legge, sostenuta apertamente e anzi spinta proprio da Bolsonaro, è la cancellazione delle politiche di tutela del territorio. Se venisse approvata, infatti, sbloccherebbe l'attività mineraria nelle riserve delle tribù indigene, senza che queste possano più opporvisi (sarebbe infatti rimosso il loro diritto di veto previsto dalla Costituzione). Inoltre darebbe il via alla costruzione di centrali idroelettriche e rimuoverebbe qualsiasi ostacolo alle attività zootecniche, alle colture transgeniche e all'estrazione di petrolio e gas in queste terre, promuovendovi persino il turismo, in aree già fortemente minacciate dalla deforestazione incontrollata e dai cambiamenti climatici conseguenti. Per il momento la procura federale ha trovato "vizi insanabili" per la sua approvazione, in quanto "La presentazione del PL 191/2020 e le manifestazioni di sostegno all'attività mineraria emanate da alcune autorità spiegano, almeno in parte, la crescita di questa attività illegale sulle terre indigene, che minaccia le comunità indigene vicino alle zone minerarie".

La legge del "Limite temporale"

alla Camera dei rappresentanti del Brasile sono in discussione due leggi che andrebbero a cancellare tutte le misure di protezione per l'Amazzonia e i suoi popoli attualmente previste
Oltre al PL 191/2020 c'è anche un altra legge ancora in discussione, benché di gran lunga precedente. Si tratta della 490/2007, nota come legge del "marco temporal" (il limite temporale), in base alla quale i popoli indigeni che, alla data di promulgazione della Costituzione brasiliana (5 ottobre 1988), non possono provare che abitavano fisicamente sulle loro terre, non potranno vantare più alcun diritto su di esse. La norma è stata proposta e sostenuta in particolare dal settore dell'agribusiness, che vede in essa uno spiraglio di apertura verso nuove zone da sfruttare. In questo caso è stato l'Onu stesso a intervenire in opposizione alla proposta: secondo le Nazioni Unite il disegno di legge "si colloca nel contesto di un’agenda parlamentare anti-indigena" e insiste "sulla forma più coloniale di sfruttamento, essendo un evidente tentativo di neutralizzare l’articolo 231 della Costituzione, sui diritti dei popoli indigeni". Insomma si tratterebbe di un attacco frontale alle tribù che, da secoli, abitano il polmone verde del mondo, proteggendolo e preservando l'enorme ricchezza che contiene al suo interno.
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