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Home » Scienze e culture » Medicina di genere: uomini e donne sono diversi in salute e malattia. Giovannella Baggio: “La pandemia ci ha resi più consapevoli, necessario un approccio specifico”

Medicina di genere: uomini e donne sono diversi in salute e malattia. Giovannella Baggio: “La pandemia ci ha resi più consapevoli, necessario un approccio specifico”

Nel 2018 in Italia è stata approvata la prima legge al mondo sulla medicina di genere. Secondo Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale salute e medicina di genere, la pandemia ha permesso "di comprendere che i sintomi, gli effetti e le cure di una patologia sono diversi tra maschi e femmine. È stato fatto tanto, ma non è ancora abbastanza"

Valentina Bertuccio D'Angelo
24 Luglio 2021
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Fin dall’inizio della pandemia di Sars-CoV-2 è emerso in modo chiaro come il contagio fosse più pericoloso per gli uomini che per le donne. In Italia come nel resto del mondo le statistiche e gli studi hanno confermano che sono gli uomini a rischiare un decorso grave della malattia, fino al decesso. Le ragioni sono biochimiche, ma anche sociologiche. Per chi non è addetto ai lavori è stata questa, forse, la prima volta in cui si è sentito parlare di medicina di genere. O meglio, medicina genere-specifica. Con questa definizione si intende una medicina in cui “sono prese in considerazione le differenze tra uomo e donna (intesi sia come sesso biologico sia come genere) di fronte alla salute e alla malattia: differenze nei percorsi diagnostici, nelle necessità terapeutiche e nell’efficacia dei farmaci”. Così scrive la dottoressa Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale salute e medicina di genere di Padova – e prima docente a tenere una cattedra nel nostro Paese proprio all’Università di Padova -, nel libro “Dalla medicina di genere alla medicina di precisione” della Fondazione Onda, l’osservatorio che in Italia si occupa di monitorare la salute della donna e di genere. “Non si tratta di medicina della donna – spiega la professoressa Baggio -. Non è una specialità, ma una dimensione trasversale a tutte le specialità”. Un altro osservatorio, presso l’Istituto superiore di sanità, è stato istituto nel 2018 dal Governo con una legge pioneristica, la prima al mondo sulla Medicina di genere.

C’è bisogno di un osservatorio? Sì, perché la medicina genere-specifica non è (ancora) la normalità. Per secoli si è preso il corpo maschile come paradigma e oggetto di studio (salvo che per le questioni ginecologiche). E basti pensare che gli studi sul tema iniziarono solo negli anni Novanta in campo cardiologico, quando la direttrice dell’Istituto di Cardiologia dell’Istituto Nazionale della Salute degli Stati Uniti si accorse che la ricerca scientifica di quell’istituto era condotta solo su uomini. Ma attenzione, a fare le spese di una medicina che non tiene conto delle differenze, sono le donne ma anche gli uomini. Dagli anni ’90 molto è cambiato, ma la strada è lunga. Il Covid ha costretto a dare un’accelerata.

Il Covid e la medicina di genere

Come detto, fin dall’inizio della pandemia è emerso come la malattia sia più pericolosa per gli uomini che per le donne: secondo i dati pubblicati dall’Iss, dal febbraio 2020 al 28 aprile 2021, in Italia le donne morte di Covid erano il 43,6% del totale delle vittime, contro il 56,4% degli uomini a fronte di un maggior numero di donne contagiate (probabilmente per la maggiore presenze nei lavori di assistenza e cura). E l’unica fascia d’età dove a morire sono di più le donne (over90) è semplicemente quella in cui sono più numerose. “E questo è vero in tutto il mondo, almeno in quei Paesi dove sono stati raccolti dati disaggregati”, spiega la professoressa Baggio.

Le ragioni sono biochimiche (c’entrano gli estrogeni, il recettore Ace2 e il cromosoma X) e socio-comportamentali: tipicamente le donne sono più ligie al rispetto delle regole anti contagio e fumano e bevono di meno, riducendo quindi i fattori di rischio. “In generale le donne hanno un sistema immunitario più forte di fronte ai virus – prosegue la professoressa Baggio – anche se questo poi lo scontiamo con una maggiore propensione alle malattie autoimmuni”. Le differenze biochimiche e immunologiche tra uomo e donna, emerse anche in tempo di Covid “sono molto importanti e possono aiutarci a capire di più altre malattie”.
Insomma, la pandemia come “acceleratore” di un approccio più gender-specific nella medicina? Diciamo che qualche buona notizia c’è: “Nelle sperimentazioni effettuate sui vaccini la presenza di uomini e donne era bilanciata. Non si è vista nessuna differenza nell’efficacia, anche se noi sappiamo che le donne in genere reagiscono meglio ai vaccini”.
Nota dolente, però, sono le reazioni avverse: il 75% degli effetti collaterali meno gravi riguardano le donne. E anche quelli più gravi, come le trombosi, sembrano un problema femminile.

Sta emergendo poi un filone di studi che riguarda le conseguenze che i vaccini possono avere sul ciclo mestruale (perdite intermestruali, flusso abbondante o scarso, doloroso, mestruazione in ritardo o in anticipo). Conseguenze che sembrerebbe non siano state studiate ex ante. Al momento si stanno raccogliendo i dati e si cerca un nesso causale.

Medicina genere-specifica: tutte le specialità declinate con un’attenzione di genere

Donne e uomini, ormai è chiaro, sono soggetti a malattie in modo diverso, hanno sintomi diversi, rispondono alle cure in modo diverso. Guardiamo alle malattie cardiovascolari: nonostante l’immaginario collettivo dica il contrario, l’infarto è la prima causa di morte non degli uomini ma delle donne (48% contro 38%). Ma poiché nella donna i sintomi sono diversi rispetto all’uomo (sono rari i dolori al petto, si presentano piuttosto allo stomaco, alla mandibola, oppure ansia o stanchezza), spesso non vengono riconosciuti. “Ma non è solo una questione di donne – sottolinea Giovannella Baggio -. In psichiatria le donne soffrono di depressione molto più degli uomini, ma sono questi ultimi che si tolgono la vita più frequentemente. L’osteoporosi è considerata una questione femminile ma così non è: anche l’uomo la sviluppa, con dieci anni di ritardo. Ci sono alcuni tumori che hanno una mortalità più elevata negli uomini”. È evidente dunque, che un approccio genere-specifico in ogni disciplina è a beneficio di tutti, uomini e donne, che altrimenti rischiano di avere diagnosi sbagliate o tardive.

La situazione in Italia

Come detto, l’Italia si è dotata nel 2018 della prima legge al mondo sulla medicina di genere (legge Lorenzin), che prevede un Piano per la medicina di genere e l’Osservatorio presso l’Iss, che controlla l’applicazione del Piano stesso nei quattro ambiti in cui va sviluppato un approccio genere-specifico: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione e aggiornamento professionale; comunicazione e informazione. C’è da dire che di passi avanti ne sono stati fatti, grazie soprattutto alla rete che si è andata formando in questi anni tra ospedali, società scientifiche, enti di ricerca, società civile. Se c’è una conseguenza positiva della pandemia, è che “anche i medici che non ‘credono’ alla medicina di genere o non la conoscono, possono convincersi che è importante un approccio più specifico – conclude Baggio -. Mi auguro che il mondo scientifico si risvegli. Ho fiducia. Il Covid ha smosso molto, anche a livello politico, ma ancora non abbastanza“.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Fin dall'inizio della pandemia di Sars-CoV-2 è emerso in modo chiaro come il contagio fosse più pericoloso per gli uomini che per le donne. In Italia come nel resto del mondo le statistiche e gli studi hanno confermano che sono gli uomini a rischiare un decorso grave della malattia, fino al decesso. Le ragioni sono biochimiche, ma anche sociologiche. Per chi non è addetto ai lavori è stata questa, forse, la prima volta in cui si è sentito parlare di medicina di genere. O meglio, medicina genere-specifica. Con questa definizione si intende una medicina in cui "sono prese in considerazione le differenze tra uomo e donna (intesi sia come sesso biologico sia come genere) di fronte alla salute e alla malattia: differenze nei percorsi diagnostici, nelle necessità terapeutiche e nell’efficacia dei farmaci". Così scrive la dottoressa Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale salute e medicina di genere di Padova - e prima docente a tenere una cattedra nel nostro Paese proprio all'Università di Padova -, nel libro "Dalla medicina di genere alla medicina di precisione" della Fondazione Onda, l’osservatorio che in Italia si occupa di monitorare la salute della donna e di genere. "Non si tratta di medicina della donna - spiega la professoressa Baggio -. Non è una specialità, ma una dimensione trasversale a tutte le specialità". Un altro osservatorio, presso l’Istituto superiore di sanità, è stato istituto nel 2018 dal Governo con una legge pioneristica, la prima al mondo sulla Medicina di genere. C’è bisogno di un osservatorio? Sì, perché la medicina genere-specifica non è (ancora) la normalità. Per secoli si è preso il corpo maschile come paradigma e oggetto di studio (salvo che per le questioni ginecologiche). E basti pensare che gli studi sul tema iniziarono solo negli anni Novanta in campo cardiologico, quando la direttrice dell’Istituto di Cardiologia dell’Istituto Nazionale della Salute degli Stati Uniti si accorse che la ricerca scientifica di quell’istituto era condotta solo su uomini. Ma attenzione, a fare le spese di una medicina che non tiene conto delle differenze, sono le donne ma anche gli uomini. Dagli anni '90 molto è cambiato, ma la strada è lunga. Il Covid ha costretto a dare un'accelerata.

Il Covid e la medicina di genere

Come detto, fin dall’inizio della pandemia è emerso come la malattia sia più pericolosa per gli uomini che per le donne: secondo i dati pubblicati dall’Iss, dal febbraio 2020 al 28 aprile 2021, in Italia le donne morte di Covid erano il 43,6% del totale delle vittime, contro il 56,4% degli uomini a fronte di un maggior numero di donne contagiate (probabilmente per la maggiore presenze nei lavori di assistenza e cura). E l’unica fascia d’età dove a morire sono di più le donne (over90) è semplicemente quella in cui sono più numerose. “E questo è vero in tutto il mondo, almeno in quei Paesi dove sono stati raccolti dati disaggregati", spiega la professoressa Baggio. Le ragioni sono biochimiche (c'entrano gli estrogeni, il recettore Ace2 e il cromosoma X) e socio-comportamentali: tipicamente le donne sono più ligie al rispetto delle regole anti contagio e fumano e bevono di meno, riducendo quindi i fattori di rischio. "In generale le donne hanno un sistema immunitario più forte di fronte ai virus - prosegue la professoressa Baggio - anche se questo poi lo scontiamo con una maggiore propensione alle malattie autoimmuni". Le differenze biochimiche e immunologiche tra uomo e donna, emerse anche in tempo di Covid "sono molto importanti e possono aiutarci a capire di più altre malattie". Insomma, la pandemia come "acceleratore" di un approccio più gender-specific nella medicina? Diciamo che qualche buona notizia c'è: "Nelle sperimentazioni effettuate sui vaccini la presenza di uomini e donne era bilanciata. Non si è vista nessuna differenza nell’efficacia, anche se noi sappiamo che le donne in genere reagiscono meglio ai vaccini". Nota dolente, però, sono le reazioni avverse: il 75% degli effetti collaterali meno gravi riguardano le donne. E anche quelli più gravi, come le trombosi, sembrano un problema femminile. Sta emergendo poi un filone di studi che riguarda le conseguenze che i vaccini possono avere sul ciclo mestruale (perdite intermestruali, flusso abbondante o scarso, doloroso, mestruazione in ritardo o in anticipo). Conseguenze che sembrerebbe non siano state studiate ex ante. Al momento si stanno raccogliendo i dati e si cerca un nesso causale.

Medicina genere-specifica: tutte le specialità declinate con un’attenzione di genere

Donne e uomini, ormai è chiaro, sono soggetti a malattie in modo diverso, hanno sintomi diversi, rispondono alle cure in modo diverso. Guardiamo alle malattie cardiovascolari: nonostante l’immaginario collettivo dica il contrario, l’infarto è la prima causa di morte non degli uomini ma delle donne (48% contro 38%). Ma poiché nella donna i sintomi sono diversi rispetto all’uomo (sono rari i dolori al petto, si presentano piuttosto allo stomaco, alla mandibola, oppure ansia o stanchezza), spesso non vengono riconosciuti. "Ma non è solo una questione di donne - sottolinea Giovannella Baggio -. In psichiatria le donne soffrono di depressione molto più degli uomini, ma sono questi ultimi che si tolgono la vita più frequentemente. L'osteoporosi è considerata una questione femminile ma così non è: anche l’uomo la sviluppa, con dieci anni di ritardo. Ci sono alcuni tumori che hanno una mortalità più elevata negli uomini". È evidente dunque, che un approccio genere-specifico in ogni disciplina è a beneficio di tutti, uomini e donne, che altrimenti rischiano di avere diagnosi sbagliate o tardive.

La situazione in Italia

Come detto, l’Italia si è dotata nel 2018 della prima legge al mondo sulla medicina di genere (legge Lorenzin), che prevede un Piano per la medicina di genere e l’Osservatorio presso l’Iss, che controlla l’applicazione del Piano stesso nei quattro ambiti in cui va sviluppato un approccio genere-specifico: percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; ricerca e innovazione; formazione e aggiornamento professionale; comunicazione e informazione. C’è da dire che di passi avanti ne sono stati fatti, grazie soprattutto alla rete che si è andata formando in questi anni tra ospedali, società scientifiche, enti di ricerca, società civile. Se c’è una conseguenza positiva della pandemia, è che "anche i medici che non 'credono' alla medicina di genere o non la conoscono, possono convincersi che è importante un approccio più specifico - conclude Baggio -. Mi auguro che il mondo scientifico si risvegli. Ho fiducia. Il Covid ha smosso molto, anche a livello politico, ma ancora non abbastanza".
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