In un pionieristico studio, gli scienziati affermano di aver trovato per la prima volta un legame tra le emissioni di gas serra provocate dall'uomo e i tassi di riproduzione e sopravvivenza degli orsi polari. Un passo avanti importantissimo per superare gli ostacoli riguardo la protezione della specie. Secondo l'organizzazione per la conservazione degli animali Polar Bears International, gli orsi polari vivono in 19 gruppi sparsi in tutto l'Artico, che vanno dal Canada agli Stati Uniti, dalla Russia alla Groenlandia e alla Norvegia.
La dipendenza dal ghiaccio
Steven Amstrup, scienziato capo emerito di PBI e coautore dello studio, spiega che queste popolazioni vivono in condizioni diverse, ma dipendono tutte dalla calotta polare per nutrirsi, per trovare le loro prede principali, due specie di foche. Quando il ghiaccio si scioglie, gli orsi polari sono costretti a spostarsi sulla terraferma, dove si trovano a fare i conti con l'assenza di cibo e devono sopravvivere grazie alle riserve di grasso accumulate in precedenza. I cambiamenti climatici causati dall'attività umana stanno accelerando la perdita di ghiaccio marino, dando agli esemplari di orso polare meno tempo per nutrirsi e accumulare le riserve di grasso, costringendoli al contempo a rimanere un numero maggiore di giorni senza cibo. Questo porta, in ultima analisi, a un drastico calo della loro popolazione.Il legame tra inquinamento e tasso di sopravvivenza
Ricercatori di Polar Bears International, dell'Università di Washington e dell'Università del Wyoming hanno accertato il legame tra il numero di giorni che una popolazione di orsi polari deve sopportare senza mangiare e la quantità di inquinamento che provoca il surriscaldamento globale. Inoltre, secondo lo studio pubblicato giovedì sulla rivista Science, hanno anche scoperto quanto questo influisca sui tassi di sopravvivenza della specie in alcune popolazioni.Orsi polari: una specie minacciata
Nel 2008 gli orsi polari sono stati inseriti nella lista degli animali "minacciati" a causa del riscaldamento climatico provocato dall'attività dell'uomo, ai sensi della legge statunitense sulle specie a rischio di estinzione (ESA). All'epoca, però, il Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti aveva dichiarato che, non essendo la minaccia per una particolare popolazione di animali direttamente collegata a una specifica fonte di gas serra, le agenzie federali non erano tenute a considerare il fattore inquinamento quando approvavano i progetti. Secondo gli scienziati, invece, la nuova ricerca fornisce la prova di questo effettivo legame diretto.L'impatto delle emissioni
I ricercatori hanno esaminato le sottopopolazioni che hanno vissuto almeno 10 anni in cui si sono verificate stagioni prive di ghiaccio, dal 1979 - quando sono state rese disponibili per la prima volta le immagini satellitari del ghiaccio marino - al 2020. In questo modo hanno scoperto che il numero di giorni in cui gli orsi polari sono stati costretti a rimanere senza cibo è aumentato con l'aumentare delle emissioni di gas serra. Ad esempio, nel 1979 gli orsi polari del Mar Chukchi, nell'Oceano Artico, sono stati costretti a rimanere senza cibo per circa 12 giorni. Nel 2020 il numero di giorni di digiuno è salito a 137. Le comunità nelle aree in cui le calotte glaciali si sciolgono completamente durante l'estate - come la Baia di Hudson - hanno registrato un aumento più lento dei giorni di assenza di nutrimento, rispetto ai gruppi che vivono nelle aree in cui le calotte glaciali permangono nei mesi estivi, come nel Mare di Beaufort meridionale.Uno studio del 2020, a cui ha partecipato Steven Amstrup, ha rilevato che il numero di giorni in cui un orso può sopravvivere senza cibo varia a seconda della regione e delle condizioni dell'animale, ma più sono lunghi i periodi senza ghiaccio, più ripido è il declino nella riproduzione e nella sopravvivenza. "Quando il memorandum (del Dipartimento degli Interni) è stato scritto nel 2008, non potevamo dire come le emissioni di gas serra corrispondessero a un declino delle popolazioni di orsi polari. Ma nel giro di pochi anni siamo riusciti a metterle in relazione diretta con il riscaldamento del Pianeta e successivamente anche con la perdita di ghiaccio marino artico", ha concluso Cecilia Bitz, coautrice dello studio e docente di scienze atmosferiche presso l'Università di Washington nella nota stampa.Visualizza questo post su Instagram