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Persona o essere umano? In italiano si dice uomo. Donne comprese. "Le parole esistono, usiamole"

di MARIANNA GRAZI -
31 gennaio 2022
FemminileMaschileNeutro

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"Le parole esistono, vanno utilizzate". Se di discriminazione si parla sempre di più, purtroppo o per fortuna, bisogna anche chiedersi quanto di questo fenomeno sia influenzato dalla cultura di ogni persona. E di conseguenza dal pensiero e sì, anche dalla lingua che parla. "La nostra visione del mondo, il nostro pensiero, la mappa che abbiamo delle persone, viene dalle parole che ascoltiamo, che leggiamo. Le parole sono tutto". A dirlo è Maria Tiziana Lemme, giornalista e fondatrice insieme a Amalia Signorelli dell’associazione culturale Femminile Maschile Neutro, della quale è presidente. "Le parole hanno significati profondi. In opposizione al sostantivo ‘uomo’ usato a significare ‘essere umano’, noi vogliamo che si adotti, nei codici e nelle leggi, il sostantivo ‘persona’, il cui significato è universale. Siamo tutte persone, ma in Italia le donne sono sempre chiamate uomini. Nelle leggi una virgola ti può cambiare il significato totale di una frase e quelle italiane sono tutte declinate al maschile - sostiene la presidente -. Tutto ciò che non si dice non esiste. Tutto ciò che non si scrive non viene considerato".

Maria Tiziana Lemme, presidente dell'associazione "Femminile Maschile Neutro"

Un retaggio culturale che ci portiamo dietro da sempre, per cui i diritti umani diventano diritti 'dell'uomo' (ad esempio nell'errata ratifica,  nel 1954, della Convention for the protection of human rights and fundamental freedoms) o all’articolo 575 del codice penale, che riguarda l’omicidio – etimologicamente 'uccisione di un uomo' – che recita: "Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con…". Quindi se anche le donne possono essere vittime di uccisione (si dovrebbe quindi far riferimento ad assassinio) è per bontà dei giudici e dell'interpretazione estensiva di un codice rigido. "Nessun Paese, nemmeno la Siria, definisce l'essere umano uomo, in merito a questo reato", continua Maria Tiziana. Nella 2017 lei e Amalia Signorelli, "un’antropologa ma soprattutto una miniera di conoscenze (scomparsa lo stesso anno, ndr)" hanno fondato Femminile Maschile Neutro, con l'obiettivo di cambiare proprio questo status quo, partendo da quelle piccole cose di cui non ci accorgiamo e che soprattutto tanto piccole non sono. "Tanto il femminile è nascosto nella nostra lingua quanto il maschile viene assolutamente occultato quando si parla di ‘violenza sulle donne’. Si usa infatti la locuzione, poco chiara, 'violenza di genere' per cui l’agente, il maschio che fa violenza, non viene mai citato se non con termini neutri quale ‘ex’ o ‘partner’. Con Valeria Fedeli prima e con Titti di Salvo poi, nel 2017, abbiamo lavorato ad una proposta di legge da depositare in Parlamento (decreto 4643/17) che prevede l’introduzione dell’aggettivo ‘maschile’ nella normativa inerente alla violenza sulle donne". Una proposta che le cronache ci insegnano è ancora lontana dall'essere approvata e adottata, ma qualcosa si muove: "Sono felice che un mese fa il ministero per le pari opportunità abbia varato il 'Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne'. È la prima volta che questo aggettivo entra in un atto ufficiale".

Dottoressa Lemme, la discriminazione parte dalla parola? "È il pensiero che si forma. Il linguaggio forma il nostro pensiero e come non potrebbe essere altrimenti? Tutta questa situazione linguistica e discriminante si ripercuote nella condizione sociale ed economica delle donne (il gender gap italiano è il più alto fra i paesi industrializzati al 19,8%). Quando si parla di parole nelle leggi soprattutto una virgola ti può cambiare il significato totale di una frase e già le leggi italiane sono tutte declinate al maschile. Tutto ciò che non si dice non esiste. Tutto ciò che non si scrive non viene considerato".  Tutta questa negazione del femminile dalla nostra lingua si nota fin dalle basi. Ci fa qualche esempio? "A scuola viene insegnato a declinare i verbi al maschile. I pronomi personali femminili non vengono mai utilizzati, sembrano quasi un'eccezione. Poi, gravissima, la negazione del femminile sulla carta di identità: nel nostro principale documento, attestazione della nostra identità personale, noi donne su quella cartacea abbiamo "nato il", la firma è "del titolare", si è "donatore di organi" e anche sulla carta elettronica la firma è "del titolare". E ancora i sinonimi di donna, in Treccani, fino a pochi mesi fa erano insulti: si parlava di 'cagna, troia, vacca, zoccola, puttana e via dicendo'. Ci fu quella lettera aperta, a firma di alcune linguiste e anche della vice direttrice della banca d'Italia e i termini 'cagna' e 'vacca' sono stati tolti, ma alla prima voce è rimasto il rimando alla donna e soprattutto tra i sinonimi di donna c'è ancora prostituta e donna di strada. Il linguaggio è androcentrico ma gli insulti sono ginocentrici".

Nella lingua italiana corrente così come nei testi dei codici, delle leggi, amministrativi o scolastici il femminile è inglobato nel maschile

Quindi la donna è oggetto 'di piacere' o di desiderio dell'uomo ma non soggetto? "Guardiamo alla definizione del sostantivo donna. Sempre su Treccani, 'nella specie umana' è considerata donna 'l'individuo di sesso femminile soprattutto al raggiungimento della maturità anatomica e dunque dell'età adulta. Si contrappone a uomo in espressioni come 'scarpe, borse, orologi da donna'. Una definizione scritta nella prima metà degli anni '50. Si deve notare intanto che viene utilizzato il sostantivo individuo, che si usa anche per gli animali; e poi il fatto che siamo considerate adulte, quindi individui riconosciuti, solo dopo lo sviluppo, quando possiamo procreare (la nostra maturità anatomica). Le definizioni di uomo non contemplano nulla di tutto ciò: "è dotato di morale, di etica, capacità di distinguere il bene dal male", tutte caratteristiche della persona che alla donna, nella definizione, non vengono riconosciute. Insomma la donna è colei che deve fare figli. Alla stregua di un animale". Tutte queste cose di cui stiamo parlando si riversano nel linguaggio corrente? “Certo, nel linguaggio dei giornali e dei testi, nella considerazione filosofica e antropologica, persino nella medicina si riscontra la mancata considerazione della donna. Ci sono dei dati incredibili di donne morte per infarto, non avendo mai studiato il corpo femminile. Io non dimenticherò mai quando il presidente della Farmindustria disse ‘Ci siamo accorti che le donne non sono uomini con le gonne’. Adesso hanno capito che il corpo della donna non è uguale a quello dell’uomo, che i sintomi dell’infarto, ad esempio, sono differenti da quelli dell’uomo. Ma si chiama 'medicina di genere'. Noi siamo come i panda, ma nemmeno protette”. Sembra quasi che le donne non siano mai esistite e di conseguenza non siano mai state studiate per farne dei modelli di studio “Perché noi serviamo per mettere al mondo figli punto. Per tutto l’ambito ginecologico dobbiamo ringraziare Trotula de Ruggeri, che è stata la prima ginecologa, la prima ‘medichessa’ come si definiva. I maschi hanno iniziato a occuparsi della materia non per salvaguardare la nostra salute, bensì la specie, per far sì che noi mettessimo al mondo figli, guerrieri. Quando si dice ‘prima le donne e i bambini’ è per questo, non per altro”. Se c’è questa discriminazione nella sostanza è impossibile che si superi quella nella forma, e vengano quindi accattati termini come avvocata, chirurga, sindaca? “Ma anche per i nomi neutri come presidente, in cui a definire il genere è l’articolo che precede. La lingua italiana offre tutte le soluzioni, non c’è nulla da inventare, basta non scrivere sempre ‘i cittadini’ ma si parlasse della ‘cittadinanza’. Che poi ti dà anche il senso della massa, il senso comune, la forza. Quando si parla il 25 novembre o 8 marzo, di violenza, di giornata internazionale della donna, e si dice ‘si deve cambiare la cultura’, si devono abbattere gli stereotipi culturali… E come si fa? Io non ho sentito un progetto”.

La discriminazione verso le donne parte dalla lingua, che forma il pensiero

Da dove bisognerebbe partire, secondo lei? “Cominciamo dalle parole. Cambiare il sostantivo uomo con persona, sostituire il reato di omicidio con il reato di assassinio, non costa niente e non grava sul bilancio dello stato. Ma un segno, simbolicamente, fortissimo, importante. E può essere il primo passo per cambiare il modo di vedere e non considerare le donne”. Un cambiamento che poi coinvolgerebbe anche il resto del sapere “Necessariamente le altre branche, l’antropologia, la filosofia, dovranno cambiare il passo. Se quest’ultima è incentrata esclusivamente sul pensiero dell’uomo, del maschio - per non parlare delle arti - l’antropologia è ferma a Lévi-Strauss che dice che la donna ha la sua significazione solamente in quanto ‘produttrice dei desideri e dei bisogni dell’uomo’. Non abbiamo una nostra significazione”. Lo si fa con una legge? “Sul percorso legislativo siamo al momento ferme perché stiamo cercando di lasciare un segno, perlomeno in questa legislatura, utilizzando qualche strumento previsto dai regolamenti di camera e senato, l’argomento assegnato, in modo da poter investire una commissione del problema perché ormai i tempi sono stretti". E poi? “Ad esempio sto prendendo contatti con le Commissioni Pari opportunità dell’ordine degli avvocati. Parte del nostro progetto è un po' una provocazione per sollevare il problema, perciò mi piacerebbe fare una citazione o una denuncia, al ministero degli Interni, per violazione del diritto all’identità personale. Che è, dal punto di vista della giurisprudenza, fortemente schematizzata, esiste. Tu mi devi rappresentare esattamente per la persona che io sono: se nella carta di identità mi scrivi ‘nato il’ tu presupponi persona che io non sono. In violazione dell’articolo 3 della Costituzione ma anche dell’articolo 2, che garantisce i diritti inviolabili della persona, dell’individuo. Stiamo cercando la formula giusta”.

Il cambiamento culturale deve partire dalle parole: usciamo persona o essere umano invece di uomo

Ci racconta una delle ultime 'battaglie' dell'associazione? "Ultimamente ci siamo occupate della pubblicità della Chicco diffusa per Natale 2021. Abbiamo scritto alla società Artsana una lettera, per far loro "notare che il messaggio che veicola Chicco Italia contiene tutti quegli stereotipi che caratterizzano e mortificano, in Italia, la rappresentazione e quindi la considerazione delle donne[...]". In essa, infatti, "la Mamma è rappresentata e descritta in maniera riduttiva e subdola: oltre a saper fare solo pacchetti (sic!), inganna spacciando come suo un dolce invece acquistato. Il Papà è la figura positiva: è disponibile, alleato, si rende utile, stupisce risolve e 'si prende cura di tu* figli* quando tu non ci sei'". Artsana ci ha risposto in questi giorni dicendo:"...noi per primi riconosciamo, in totale onestà, che il testo possa suggerire, a chi non conosca l'azienda e il marchio, una visione dei generi e dei ruoli non allineata al nostro tempoCi tengo a rassicurarvi con fermezza su questo: le marche di Artsana, ciascuna con il proprio tono di voce, sono impegnate proprio nel promuovere il rifiuto degli stereotipi di genere". Perlomeno è stato riconosciuto l’errore". La carne al fuoco è tanta. Come si sostiene e si promuove l’associazione? “Abbiamo avuto il sostegno della Fondazione del Monte, di Bologna e Ravenna, una fondazione bancaria, che ci ha dato 25mila euro e grazie a quelli ho potuto cominciare, dando in carico a una società di comunicazione, la comunicazione appunto su Instagram e Facebook dell’associazione. Grazie a questo finanziamento ho preso contatto anche con l’istituto Demopolis, per fare un sondaggio anche sul percepito della discriminazione nel linguaggio nella popolazione. I dati sono incontestabili. Questo delle discriminazioni linguistiche è un problema serissimo ma che non viene percepito come tale. Per questo servono fondi, servono donazioni perché il nostro lavoro possa portare a risultati concreti. Una grande mano ce la dà BBS-Lombard, la prima società italiana tra commercialisti a diventare Società Benefit e tra le Benefit una delle primissime ad adottare uno scopo di interesse culturale. Noi non abbiamo una struttura vera e propria, servirebbero tanti soldi, ma è tosta”.