Un secondo per gettarla, secoli per degradarsi: gli effetti della plastica in mare

Tra le onde, al giorno d'oggi, ce ne sono circa 150 milioni di tonnellate. E i residui galleggianti sono solo la punta dell'iceberg

di DOMENICO GUARINO -
13 agosto 2023
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Plastica, plastica e ancora plastica. Secondo la ricerca di Lourens JJ Meijer pubblicata su Visual Capitalist, ogni anno, 8 milioni di tonnellate ne finiscono in mare. Per un totale, al giorno d’oggi, di non meno di 150 milioni di tonnellate disperse tra le onde. Materiali che impiegheranno anche centinaia di anni per degradarsi e disgregarsi completamente nell’ambiente. Stiamo parlando di un peso annuo che è quasi 300 volte la torre Eiffel, l'equivalente di 500mila elefanti.
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Elefanti affamati cercano cibo in una discarica di plastica

Con una prospettiva assai poco confortante, se si pensa che - secondo i dati pubblicati sulla rivista Plos One, frutto di una ricerca che nasce dal lavoro di molti Paesi, guidati dall'università della California e dall'ente americano 5 Gyres Institute - la massa di detriti galleggianti è quintuplicata dal 2005 e si appresta a crescere di altre 2,6 volte da qui al 2040.

La montagna di plastica sempre più alta

Una montagna di robaccia che inquina, e disciogliendosi entra nelle nostre catene alimentari sotto forma di microplastiche. Generando un danno pesante alla salute, oltre che all’ambiente. Senza contare gli animali ed i pesci che li ingeriscono, morendone, o vi rimangono intrappolati, senza via di scampo. Una montagna, o meglio un iceberg: i rifiuti galleggianti, che vediamo in superficie, sono infatti solo una minima parte del tutto. La massima non appare rimane tra le onde ad una profondità variabile a seconda del peso, delle correnti e delle condizioni specifiche.

Un elemento marittimo che danneggia l'ecosistema

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La plastica è diventata a tutti gli effetti un elemento dell'ecosistema marittimo

La plastica insomma è diventata negli ultimi anni uno degli elementi marittimi per eccellenza. Tanto che, nel 2014, sorprendentemente, su una spiaggia delle Hawaii venne osservato per la prima volta un nuovo tipo di roccia, il "plastiglomerato", frutto della fusione fra plastica bruciata e massi. Mentre, qualche mese fa, un gruppo di biologi del Natural History Museum di Londra ha descritto una nuova malattia degli uccelli marini: la plasticosi. Ingerito dagli animali per periodi molto lunghi, questo materiale infiamma il loro tratto digerente, lacerando e deformando i tessuti fino a comprometterne la sopravvivenza. Secondo i dati del WWF sono 450 i milioni di tonnellate prodotte ogni anno. E sono 700 le specie interessate dai fenomeni negativi collegati alla dispersione delle plastiche in ambiente marino.

L'inquinamento

Questo tipo di inquinamento  è diventato uno dei problemi ambientali più urgenti da affrontare – fa sapere l'organizzazione – sia per la sua gravità, sia perché lo abbiamo ignorato per troppo tempo”. Anche perché "negli ultimi decenni la produzione e il consumo di oggetti di questo materiale ha visto una crescita esponenziale e ha prodotto fenomeni di inquinamento sulla terraferma e in mare soprattutto in molti paesi dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti”.
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Praticamente ogni attività umana ormai prevede l'utilizzo di questo materiale

Un problema enorme e non di facile risoluzione. Visto che non esiste praticamente settore dell’attività umana che non sia stato influenzato da oggetti in plastica: dalla medicina, alle automobili, aerei, dispositivi di ogni tipo che hanno reso più facile le nostre vite. “Alcuni prodotti sono stati costruiti per durare solo pochi minuti come ad esempio le buste di plastica per la spesa, ma sono destinati a durare nell’ambiente per centinaia di anni” sottolinea sempre il WWF. Che avverte “il prezzo che stiamo pagando per questo diffuso uso è l’inquinamento in tutti i mari del mondo e, scoperto solo negli anni recenti, gli effetti delle microplastiche nelle catene alimentari, fino all’uomo”. Che fare dunque? Ciascuno la sua parte. Come sempre. In attesa di politiche transnazionali che vadano ad impattare sulla produzione e sul consumo di materiali plastici, noi comuni mortali potremmo ad esempio cominciare ad adottare i stili di vita che prevedano il minor ricorso possibile ai materiali plastici. E poi riciclare e smaltirli correttamente, evitando disperderli nell’ambiente. Perché, in questo caso, tutte le strade non portano a Roma, ma al mare.