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Home » Scienze e culture » “Sono scampata al matrimonio combinato in Siria, ora incontro i ragazzi perché non accadano più tragedie come quella di Saman”

“Sono scampata al matrimonio combinato in Siria, ora incontro i ragazzi perché non accadano più tragedie come quella di Saman”

Amani El Nasif ha 31 anni ed è cittadina italiana. Adolescente, con uno stratagemma, la madre la portò in Siria per farle sposare un cugino. Lei si ribellò e lo racconta in un libro. E in Bangla Desh la cooperante Iole Valentina Lucchese combatte la cultura del matrimonio come contratto tra famiglie, fra sposi che non si conoscono

Rita Bartolomei
19 Giugno 2021
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Quel giorno partì in jeans e maglietta, i capelli freschi di parrucchiere, non portava il velo. Guardò con incanto la Siria, il suo Paese che vedeva per la prima volta, da adulta. Aveva 16 anni. In poche ore precipitò in un incubo. Che sarebbe durato 399 giorni. Prigioniera del progetto di sua madre, darla in sposa a un cugino che non aveva mai visto. Ma la storia di Amani El Nasif, cittadina italiana cresciuta a Bassano del Grappa (Vicenza), ha avuto un lieto fine.

Amani El Nasif

Oggi, a 31 anni, è una donna bella e indipendente, sguardo fiero e una cascata di capelli corvini luminosi. Parla con il cuore (e con calata veneta). I pensieri prendono vita come fossero le pagine di un libro. Mamma di Vittoria, 8 anni e mezzo, “il mio orgoglio“. Ha raccontato la sua storia in “Siria mon amour“ (Edizioni Piemme), che porta in giro nelle scuole d’Italia, i ragazzi la ascoltano senza fiatare. Fuggita da un matrimonio combinato grazie anche all’aiuto di un cugino del padre, professore all’università di Aleppo, ha un obiettivo: “Salvare quante più donne possibile da un futuro che non vogliono, che non si sono scelte. Dobbiamo partire dalla scuola, dalle medie. Dopo, è troppo tardi“.

 

Numeri da brivido

L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite calcola 650 milioni di spose bambine nel mondo. La metà vivono in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria. La pandemia, è la previsione drammatica, ha cancellato anni di progressi. Nel prossimo decennio, “fino a 10 milioni di ragazze in più“ correranno questo rischio. A pesare sono soprattutto la chiusura delle scuole e la crisi economica.
Sarebbe facile confinare queste violazioni dei diritti umani nei paesi più poveri del mondo, lontano da noi. Invece le scopriamo in casa, nelle aree più ricche e sviluppate del nostro Paese. Ce le mette davanti il coraggio di Saman Abbas, la 18enne pachistana sparita alla fine di aprile da Novellara (Reggio Emilia). Brillante a scuola, ma ci è andata solo un anno. Ribelle al matrimonio combinato dai suoi. Il fratellino ha testimoniato, “l’ha uccisa lo zio“ (che è in fuga, come i genitori). Punita dal clan familiare che si sentiva disonorato dal suo desiderio di libertà.

 

La storia di Amani El Nasif

Anche Amani un giorno ha pensato di morire. Ricorda tutto di quando è stata picchiata per la prima volta. “Mio cugino, il marito che avevano scelto per me, mi calpestava la testa con le scarpe, mi dava calci. Ho preso a perdere sangue da un orecchio. Ho pensato: mi ammazza. Mi ricordo come fosse oggi che ho afferrato il mio vestito e me lo sono squarciato, sul petto. Per me era impensabile che un perfetto sconosciuto mi picchiasse come stava facendo lui. Perché non aveva nessun diritto su di me. In quel momento ho detto, adesso basta“.

Saman Abbas, scomparsa da Novellara

Anche Saman, fiera e cocciuta, ha difeso il suo desiderio d’amore e di felicità. Possibile una storia così nel nord Italia 2021? Nell’Emilia Romagna, terra d’integrazione? “L’integrazione – pesa bene le parole Amani – qualche volta si ferma sulla porta di casa. Tra le mura domestiche, se hanno radici così forti, le persone non le cambi. La mentalità è diversa da quella che si mostra fuori“.
Li lodiamo come lavoratori instancabili, ma nei discorsi che facciamo le donne svaniscono, come fossero fantasmi. Come Saman, che prima di sparire ha vissuto da segregata in casa. Non avremmo dovuto cogliere prima i segnali? Amani sospira: “Io queste domande me le faccio. Anche quando incontro una ragazza con il velo e mi chiedo, chissà se lo vuole mettere davvero. Libertà per me è tutt’altro che dover accettare quello che ti impongono i genitori. Che tu sia minorenne o no”.

Oggi Amani ha superato il tradimento e l’inganno della mamma. La convinse a partire spiegandole che quel viaggio in Siria serviva per mettere a posto i documenti. “Già da molto tempo ho capito quello che ha fatto – confida Amani – Lasciata dal marito, sola in Italia a crescere sei figli. Non potrei più stare senza di lei. Credo che volesse scegliere il male minore. Magari diceva a se stessa: la porto in Siria, la faccio sposare, là non verrà mai abbandonata come è successo a me“.

Nei giorni dell’incubo, Amani provava disperatamente a ricordare com’era prima. Si rigirava tra le mani di nascosto gli scontrini della parrucchiera e del bar. “Leggevo la data, l’ora… Ricordo che mi chiedevo, ma veramente c’è stata una vita in Italia? Ero stata trasportata in un mondo talmente diverso…“. Da Bassano del Grappa a un villaggio rurale della Siria. “Ripetevo a me stessa, Amani è stata lì, si è fatta una piega perché voleva essere bella per il suo primo viaggio“. Anche a lei è capitato di pensare, Dio, perché mi hai fatto vivere questa vita, come si tormentava in uno dei suoi messaggi più disperati Saman. “Quelle parole mi hanno fatto venire la pelle d’oca. Sono tornata a quei giorni. A quando mi chiedevo, cos’avrò fatto di male per meritarmi tutto questo? Avevo iniziato a lavorare, mi pagavo da sola i libri di scuola, mi comportavo bene. Perché? Dall’Italia dicevo, la Siria è a tre ore di volo. Ma quando sei là e non riesci a tornare indietro, l’Italia ti sembra un altro pianeta“.

Nei villaggi del Bangladesh

Iole Valentina Lucchese durante la sua opera di cooperazione in Bangla Desh

E allora spostiamoci davvero in un altro pianeta, a settemila chilometri da qui. Andiamo nel Kurigram, tra i distretti più poveri del Bangladesh. Dove i matrimoni forzati vanno oltre le statistiche nazionali e arrivano a superare il 70%, come ci spiega Iole Valentina Lucchese, 39 anni, delegata di Terre des hommes Italia in quel paese. Al telefono prova a sintetizzare la complessità. “Il fenomeno è diffuso ovunque, nelle zone rurali ma anche urbane. Nonostante leggi chiare, a volte un po’ controverse ma chiare. Le ragazze non possono sposarsi prima dei 18 anni ma il matrimonio combinato è estremamente accettato dalle comunità. Le donne che vogliono fuggire fanno la fuga d’amore, anche per vivere un’adolescenza più libera. Perché la sessualità è tabù, è concepita solo all’interno del matrimonio. Chi non vuole sposarsi cerca aiuto, ma il numero è minimo. Davvero poche ragazze si mettono contro la famiglia“.

Anche se “l’età sta aumentando, la percentuale dei matrimoni tra i 12 e i 15 anni era più alta, adesso si sta spostando tra i 15 e i 18. Perché? Sicuramente la società civile, tante ong, si battono molto affinché venga superata questa pratica, che è una violazione dei diritti umani”. Ma le resistenze sono ancora enormi. L’autorità religiosa, l’imam – il paese è fondamentalmente musulmano – “dovrebbe certificare allo Stato che il ragazzo e la ragazza sono nell’età giusta per sposarsi. Ma di solito, le carte sono false“.
Ancora una volta, in ogni latitudine del mondo, si conferma che le nozze combinate sono legate a filo doppio con l’abbandono della scuola. “Abbiamo centri per gli adolescenti, sono autogestiti dai ragazzi – racconta Valentina Lucchese –. Quando veniamo a sapere che si sta preparando un matrimonio forzato, cerchiamo di fermarlo. Ma la comunità è più avanti. Magari tu riesci a stopparlo e il giorno dopo loro se ne vanno in un’altra area fuori controllo, si sposano, poi riportano la ragazza a casa“. E allora “cerchiamo di mantenere queste giovanissime a scuola, anche da sposate, perché possano prendere almeno la licenza superiore. Andiamo a parlare con il marito, con la famiglia. Proviamo a convincerli. Qualcuna arriva anche all’università. Una di queste, che si è sposata prima dei 18 anni, lavora in un nostro progetto. Ma sono davvero poche le ragazze che in questo contesto di povertà riescono a scegliersi il marito. Lo sposo deve soddisfare certi criteri, economico, dell’educazione… Il matrimonio è un contratto tra due famiglie. Per i genitori una donna è un peso. Prima la sposano, prima si liberano di una bocca da sfamare”.

 

 

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  • Si sa, con l’età che avanza il rischio di ritrovarsi da soli aumenta, man mano che scompaiono anche le persone care con cui si sono costruiti affetti, legami. È un processo inevitabile, chiamato vita. Ma questa situazione rischia di aggravare la condizione di chi resta. 

Per questo anche un piccolo gesto, un’attività poco impegnativa ma costante e partecipata, può regalare gioie inaspettate. La fama in paese del signor Peter Davies, 100 anni, è dovuta a un hobby improbabile per la sua età: insegnare a leggere ai bambini.

Veterano della Seconda Guerra Mondiale, che è addirittura stato insignito della Medaglia dell’Impero Britannico (BEM) nell’ambito delle onorificenze del Re per il nuovo anno, Davies ha iniziato sei anni fa ad offrirsi volontario per dare una mano alla Dean Valley Community Primary School, scuola elementare di Macclesfield, Cheshire, in Inghilterra, dopo che l’amata moglie di 72 anni è venuta a mancare. 

Una vera e propria “fonte di ispirazione” per i cittadini, ma per l’arzillo centenario aiutare i bambini è un’attività che lo fa sentire nuovamente parte di una collettività. Peter racconta alla BBC che quando i piccoli alunni con cui legge lo chiamano per strada, riconoscendolo e salutandolo calorosamente, “si sente alto tre metri”. 

La stessa direttrice della scuola, Vicky McPherson, lo ha descritto come “ispiratore, generoso, premuroso e attento“. “Ha dedicato il suo tempo a così tanti bambini negli ultimi sei anni per instillare l’amore per la lettura che non potremo mai ringraziarlo abbastanza”, ha dichiarato la preside. Lui, invece, si sente semplicemente “una persona qualunque che fa qualcosa di utile per affrontare la settimana”.

Il signor Davies, che ha prestato servizio nell’Army Air Corps, ha spiegato che gli piaceva veder crescere la fiducia dei bambini nei suoi confronti, un po’ come un nonno acquisito che racconta ai più piccoli le sue avventure passate. “I bambini sono fantastici, sono come spugne“, ha detto. “Sono sicuro che ne traggo più beneficio io che loro. È una sensazione piacevole e calorosa [che] mi appartiene. Non sono un vecchio che vive per conto suo. Faccio parte della comunità, il che è fantastico”. 

#lucenews
  • Una testa di leone in passerella apre le sfilate dell’alta moda parigina con tanto di polemiche animaliste. La sfilata Couture di Schiaparelli non è passata inosservata visto che gli abiti erano accompagnati da teste di animali: il leopardo, il leone e la lupa. 

Le teste simboleggiavano tre dei setti peccati capitali (lussuria, orgoglio e avarizia), per una rilettura della “Divina Commedia” che rientra nella vena surrealista che storicamente caratterizza il brand, che porta il nome dell’eclettica Elsa Schiaparelli, stilista ma soprattutto intellettuale e artista a cavallo delle sue due guerre mondiali, e che l’attuale direttore creativo della maison, Daniel Roseberry sta proseguendo in chiave contemporanea.

A sfoggiare un vestito monospalla in velluto nero sul quale troneggiava – in stile trofeo – una grossa testa di leone è stata la top model russa Irina Shayk. Ma in precedenza a spoilerare l’abito ci aveva pensato Kylie Jenner, la più giovane del clan Kardashian diffondendo alcuni scatti sui social. Durante la sfilata, inoltre, Naomi Campbell ha indossato un cappotto di pelliccia con testa di un lupo e Shalom Harlow, tornata di recente a calcare le catwalk, ha sfilato con un tubino maculato con una testa di un leopardo.

Tutti gli animali ovviamente erano finti e sono stati proposti da Roseberry in opere sorprendenti in finta tassidermia, costruite interamente a mano con schiuma, resina e altri materiali. Ovviamente sui social la polemica è scoppiata. Nonostante si tratti di faux fur, il web non ha apprezzato. In molti, forse non conoscendo il tema della sfilata ovvero le “tre fiere” di dantesca memoria, ci hanno visto un richiamo di cattivo gusto alla caccia, agli animali abbattuti come trofei e rimandi all’epoca coloniale.

L’imprenditrice digitale e influencer Chiara Ferragni, presente alla sfilata, si è fatta un selfie insieme a Kylie Jenner e al vestito “incriminato”. Nonostante abbia scritto che la testa del leone era finta, ha incassato più di una critica. Insomma, ai leoni da tastiera l’idea dello stilista non è piaciuta. 

#lucenews #parisfashionweek  #elsaschiaparelli #trefiere #divinacommedia #pfw2023
  • “È fortemente raccomandato, nei primi giorni, mettere il neonato in culla subito dopo l’allattamento”. Così @ostetrica_alessandra_bellasio, l
  • Lo scontro tra i fan di Harry Potter e la creatrice della saga, JK Rowling, a causa delle affermazioni omotransfobiche dell’autrice, conosce un nuovo capitolo. 

A Toronto, in Canada, un giovane creatore di libri d’arte, Laur Flom, sta realizzando libri di Harry Potter nei quali il nome della Rowling non compare in copertina, né all’interno dei volumi, dove usualmente sono riportate le indicazioni del copyright, con il nome dell’autore. 

Lo scopo, dice, è di “aiutare le persone che sono fan di Harry Potter ma hanno un problema morale con la Rowling e la sua transfobia”. Quando si dice cancel culture: qui si cancella proprio materialmente. 

JK Rowling è stata accusata di transfobia dopo aver postato nel 2020 alcuni messaggi su Twitter nei quali obiettava contro l’uso della parola “persona” al posto della parola “donna” per “descrivere chi ha le mestruazioni”. In seguito, ha negato di essere transfobica, ma è stata ugualmente investita dalle critiche sui social. Ma se queste restano non condivisibili, anche l’impulso alla cancellazione del suo nome desta più di una perplessità. E a molti appare profondamente autoritario.

Laur Flom, artista canadese di origine ebraica, fa parte della comunità transgender. Parte degli incassi per le vendite dei libri sarà devoluta in beneficenza ad associazioni di trans. Flom, che ha 23 anni, ha postato su Tik Tok un video nel quale spiega come trasforma i libri della Rowling: il video è subito divenuto virale. 

“Non avevo un vero e proprio progetto. Ho iniziato per dispetto. Ho poco più di vent’anni: quando sono cresciuto, era quasi scontato leggere ‘Harry Potter’. Ma quando sono venute fuori le opinioni che la Rowling ha verso persone come me, mi è rimasto l’amaro in bocca. Poi tutto è cresciuto grazie alla piattaforma, e all’interesse delle persone nei libri”. 

A Flom occorrono dodici ore per modificare copertina e interno del libro. Ogni copia viene messa in vendita a 170 dollari. Ma l’artista propone anche ai possessori di libri di Harry Potter di inviargli le loro copie personali, per renderle “de-Rowlingizzate”.

Ma è davvero questa la strategia migliore?

#lucenews #harrypotter #jkrowling
Quel giorno partì in jeans e maglietta, i capelli freschi di parrucchiere, non portava il velo. Guardò con incanto la Siria, il suo Paese che vedeva per la prima volta, da adulta. Aveva 16 anni. In poche ore precipitò in un incubo. Che sarebbe durato 399 giorni. Prigioniera del progetto di sua madre, darla in sposa a un cugino che non aveva mai visto. Ma la storia di Amani El Nasif, cittadina italiana cresciuta a Bassano del Grappa (Vicenza), ha avuto un lieto fine.
Amani El Nasif
Oggi, a 31 anni, è una donna bella e indipendente, sguardo fiero e una cascata di capelli corvini luminosi. Parla con il cuore (e con calata veneta). I pensieri prendono vita come fossero le pagine di un libro. Mamma di Vittoria, 8 anni e mezzo, “il mio orgoglio“. Ha raccontato la sua storia in “Siria mon amour“ (Edizioni Piemme), che porta in giro nelle scuole d’Italia, i ragazzi la ascoltano senza fiatare. Fuggita da un matrimonio combinato grazie anche all’aiuto di un cugino del padre, professore all’università di Aleppo, ha un obiettivo: “Salvare quante più donne possibile da un futuro che non vogliono, che non si sono scelte. Dobbiamo partire dalla scuola, dalle medie. Dopo, è troppo tardi“.  

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L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite calcola 650 milioni di spose bambine nel mondo. La metà vivono in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria. La pandemia, è la previsione drammatica, ha cancellato anni di progressi. Nel prossimo decennio, “fino a 10 milioni di ragazze in più“ correranno questo rischio. A pesare sono soprattutto la chiusura delle scuole e la crisi economica. Sarebbe facile confinare queste violazioni dei diritti umani nei paesi più poveri del mondo, lontano da noi. Invece le scopriamo in casa, nelle aree più ricche e sviluppate del nostro Paese. Ce le mette davanti il coraggio di Saman Abbas, la 18enne pachistana sparita alla fine di aprile da Novellara (Reggio Emilia). Brillante a scuola, ma ci è andata solo un anno. Ribelle al matrimonio combinato dai suoi. Il fratellino ha testimoniato, “l’ha uccisa lo zio“ (che è in fuga, come i genitori). Punita dal clan familiare che si sentiva disonorato dal suo desiderio di libertà.  

La storia di Amani El Nasif

Anche Amani un giorno ha pensato di morire. Ricorda tutto di quando è stata picchiata per la prima volta. “Mio cugino, il marito che avevano scelto per me, mi calpestava la testa con le scarpe, mi dava calci. Ho preso a perdere sangue da un orecchio. Ho pensato: mi ammazza. Mi ricordo come fosse oggi che ho afferrato il mio vestito e me lo sono squarciato, sul petto. Per me era impensabile che un perfetto sconosciuto mi picchiasse come stava facendo lui. Perché non aveva nessun diritto su di me. In quel momento ho detto, adesso basta“.
Saman Abbas, scomparsa da Novellara
Anche Saman, fiera e cocciuta, ha difeso il suo desiderio d’amore e di felicità. Possibile una storia così nel nord Italia 2021? Nell’Emilia Romagna, terra d’integrazione? “L’integrazione – pesa bene le parole Amani – qualche volta si ferma sulla porta di casa. Tra le mura domestiche, se hanno radici così forti, le persone non le cambi. La mentalità è diversa da quella che si mostra fuori“. Li lodiamo come lavoratori instancabili, ma nei discorsi che facciamo le donne svaniscono, come fossero fantasmi. Come Saman, che prima di sparire ha vissuto da segregata in casa. Non avremmo dovuto cogliere prima i segnali? Amani sospira: “Io queste domande me le faccio. Anche quando incontro una ragazza con il velo e mi chiedo, chissà se lo vuole mettere davvero. Libertà per me è tutt’altro che dover accettare quello che ti impongono i genitori. Che tu sia minorenne o no”. Oggi Amani ha superato il tradimento e l’inganno della mamma. La convinse a partire spiegandole che quel viaggio in Siria serviva per mettere a posto i documenti. “Già da molto tempo ho capito quello che ha fatto - confida Amani - Lasciata dal marito, sola in Italia a crescere sei figli. Non potrei più stare senza di lei. Credo che volesse scegliere il male minore. Magari diceva a se stessa: la porto in Siria, la faccio sposare, là non verrà mai abbandonata come è successo a me“. Nei giorni dell’incubo, Amani provava disperatamente a ricordare com’era prima. Si rigirava tra le mani di nascosto gli scontrini della parrucchiera e del bar. “Leggevo la data, l’ora... Ricordo che mi chiedevo, ma veramente c’è stata una vita in Italia? Ero stata trasportata in un mondo talmente diverso...“. Da Bassano del Grappa a un villaggio rurale della Siria. “Ripetevo a me stessa, Amani è stata lì, si è fatta una piega perché voleva essere bella per il suo primo viaggio“. Anche a lei è capitato di pensare, Dio, perché mi hai fatto vivere questa vita, come si tormentava in uno dei suoi messaggi più disperati Saman. “Quelle parole mi hanno fatto venire la pelle d’oca. Sono tornata a quei giorni. A quando mi chiedevo, cos’avrò fatto di male per meritarmi tutto questo? Avevo iniziato a lavorare, mi pagavo da sola i libri di scuola, mi comportavo bene. Perché? Dall’Italia dicevo, la Siria è a tre ore di volo. Ma quando sei là e non riesci a tornare indietro, l’Italia ti sembra un altro pianeta“.

Nei villaggi del Bangladesh

Iole Valentina Lucchese durante la sua opera di cooperazione in Bangla Desh
E allora spostiamoci davvero in un altro pianeta, a settemila chilometri da qui. Andiamo nel Kurigram, tra i distretti più poveri del Bangladesh. Dove i matrimoni forzati vanno oltre le statistiche nazionali e arrivano a superare il 70%, come ci spiega Iole Valentina Lucchese, 39 anni, delegata di Terre des hommes Italia in quel paese. Al telefono prova a sintetizzare la complessità. “Il fenomeno è diffuso ovunque, nelle zone rurali ma anche urbane. Nonostante leggi chiare, a volte un po’ controverse ma chiare. Le ragazze non possono sposarsi prima dei 18 anni ma il matrimonio combinato è estremamente accettato dalle comunità. Le donne che vogliono fuggire fanno la fuga d’amore, anche per vivere un’adolescenza più libera. Perché la sessualità è tabù, è concepita solo all’interno del matrimonio. Chi non vuole sposarsi cerca aiuto, ma il numero è minimo. Davvero poche ragazze si mettono contro la famiglia“. Anche se “l’età sta aumentando, la percentuale dei matrimoni tra i 12 e i 15 anni era più alta, adesso si sta spostando tra i 15 e i 18. Perché? Sicuramente la società civile, tante ong, si battono molto affinché venga superata questa pratica, che è una violazione dei diritti umani”. Ma le resistenze sono ancora enormi. L’autorità religiosa, l’imam - il paese è fondamentalmente musulmano - “dovrebbe certificare allo Stato che il ragazzo e la ragazza sono nell’età giusta per sposarsi. Ma di solito, le carte sono false“. Ancora una volta, in ogni latitudine del mondo, si conferma che le nozze combinate sono legate a filo doppio con l’abbandono della scuola. “Abbiamo centri per gli adolescenti, sono autogestiti dai ragazzi – racconta Valentina Lucchese –. Quando veniamo a sapere che si sta preparando un matrimonio forzato, cerchiamo di fermarlo. Ma la comunità è più avanti. Magari tu riesci a stopparlo e il giorno dopo loro se ne vanno in un’altra area fuori controllo, si sposano, poi riportano la ragazza a casa“. E allora “cerchiamo di mantenere queste giovanissime a scuola, anche da sposate, perché possano prendere almeno la licenza superiore. Andiamo a parlare con il marito, con la famiglia. Proviamo a convincerli. Qualcuna arriva anche all’università. Una di queste, che si è sposata prima dei 18 anni, lavora in un nostro progetto. Ma sono davvero poche le ragazze che in questo contesto di povertà riescono a scegliersi il marito. Lo sposo deve soddisfare certi criteri, economico, dell’educazione... Il matrimonio è un contratto tra due famiglie. Per i genitori una donna è un peso. Prima la sposano, prima si liberano di una bocca da sfamare”.    
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