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Tra piramidi e faraoni Valentina Santini svela il fascino dell'antico Egitto. "Mi ispiro all'egittologa Edda Bresciani"

Scrittrice e archeologa in un mondo per molto tempo pensato al maschile: "Trovare occupazione in questo campo è davvero complicato: servono forza di volontà e passione"

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
24 settembre 2022
L'archeologa e scrittrice Valentina Santini

L'archeologa e scrittrice Valentina Santini

Sognare di diventare archeologi e magari egittologi. E così la mente vola lontano in epoche passate, nel mondo magico di faraoni e regine, di scribi e sapienti che possedevano i codici di segreti occulti trasfusi nella maestosità arcana delle piramidi o nel mistero mai sciolto della Sfinge. Quell’universo incantato che Howard Carter, con la scoperta della tomba di Tutankhamon, ha fatto sognare tanti suoi emuli, tutti giovani ricchi di immaginazione e talento ben lieti di affrontare studi impegnativi e missioni esplorative eccitanti ma soprattutto mai prive di disagi e di qualche delusione. Un lavoro che per lungo tempo è stato pensato al maschile finché non si sono messe in luce donne diventate celebri per le loro scoperte come Amelia Edwards, Margaret Benson o la nostra italiana Edda Bresciani. Ancora oggi intraprendere la professione di egittologa non è del tutto agevole: non mancano le prevenzioni, gli ostacoli e le mille forme di discriminazione che anche in un campo simile una donna è costretta ad affrontare. Innanzi tutto gli studi sono molto faticosi mentre le possibilità di impiego appaiono incerte. Le famiglie o i partner sono sovente i primi a cercare di dissuadere, di spegnere ogni passione togliendo certezze e rendendo ancora più problematica la scelta. In effetti spesso l’illusione di vivere esperienze da cinematografo in climi da Indiana Jones si infrange con una realtà piuttosto arcigna e non sempre ricompensata dalla scoperta di auree maschere funerarie o di fantastiche necropoli. Il più delle volte la neo-egittologa deve vedersela con tediosi scavi alla ricerca di reperti da portare alla luce e catalogare con pazienza certosina: uno sforzo che non è sempre motivo di esultanza perché tutto si svolge nella routine monotona di ogni giorno.
Valentina Santini, dottoranda in Egittologia presso l'Università di Birmingham

Valentina Santini, dottoranda in Egittologia presso l'Università di Birmingham

Valentina Santini queste cose le sa bene, le ha messe in conto e con grande forza di volontà, con identica ostinazione delle grandi figure femminili da cui trae ispirazione si è affermata come giovane stella emergente dell’archeologia. Valentina, figlia del noto attore Bruno, è una giovane egittologa che ama decisamente la comunicazione, che immagina di far conoscere i misteri dell’antico Egitto con la medesima verve di un Piero o di un Alberto Angela in gonnella. Nata a Fiesole (Firenze) il 27 giugno 1991, ha una laurea in “Storia e Tutela dei Beni Archeologici” presso l'Università degli Studi di Firenze e titolo magistrale in “Orientalistica” presso l'Università di Pisa. Attualmente dottoranda in Egittologia presso l'Università di Birmingham. Dopo aver lavorato dal 2016 al 2018 al Museo Egizio di Torino, svolge adesso a Firenze la duplice funzione di egittologa e addetta alla comunicazione.  Ha scritto vari articoli scientifici e si è affacciata al mondo della scrittura pubblicando libri per il vasto pubblico, tra cui il recente "Butehamon. A scuola di scrittura nell'antico Egitto" (Sillabe), con il quale si rivolge al pubblico dei più piccoli intrattenendoli in storie affascinanti tra rigore scientifico e leggerezza fantastica. E’ in uscita "I segreti di Tutankhamon. Storia di un faraone tra mito e realtà" (Longanesi). Valentina è una giovane donna che ha la tempra della vincente e per volere di un fato benevolo possiede tutti i segni delle donne che l’hanno preceduta e hanno fatto grande la memoria di un’epoca lontana eppure ricca di irresistibile fascino.
Valentina Santini ha recentemente pubblicato il libro "Butehamon. A scuola di scrittura nell'antico Egitto"

Valentina Santini ha recentemente pubblicato il libro "Butehamon. A scuola di scrittura nell'antico Egitto"

Cosa significa essere egittologhe in un mondo come il nostro accelerato e proteso verso il futuro? “Spesso la figura dell'egittologo, così come quella dell'archeologo, è associata all'idea di antichità. L'egittologia è una scienza che non può permettersi di pensare soltanto al passato, ma piuttosto guardare anche al futuro: occorre che si aggiorni continuamente e produca ricerche sempre più attuali. Questo perché ogni nuovo studio e ogni nuova analisi hanno l'immenso valore di aggiungere informazioni alla conoscenza di un passato altrimenti perduto per sempre". A quale figura femminile del passato le piacerebbe somigliare? “Ci sono molte donne del passato che ammiro profondamente. Non posso evitare di pensare a personaggi come Amelia Edwards, che fu tra i fondatori dell'Egypt Exploration Fund (una delle maggiori società egittologiche, attiva ancora oggi con il nome di Egypt Exploration Society) o Margaret Benson, la prima donna a ottenere una concessione di scavo in Egitto. Mi piacerebbe molto avere la stessa caparbietà e l'energia di questi personaggi femminili: donne che in un mondo di uomini sono riuscite a fare molta strada e a raggiungere risultati che purtroppo erano all’epoca appannaggio del solo genere maschile. L'egittologia deve tanto anche a donne di un tempo molto più recente, tra queste mi sembra doveroso menzionare la professoressa Edda Bresciani, medaglia d'oro di benemerenza per scienza e cultura, che tanto ha fatto per l'Università di Pisa e l'egittologia mondiale”. Ci sono pregiudizi per chi come lei ha scelto questa specializzazione? “Il più grande pregiudizio che grava su coloro che scelgono di studiare egittologia riguarda le incognite legate al lavoro. Un grave handicap per un giovane agli esordi perché trovare occupazione in questo campo è davvero complicato. Solo insistendo non è del tutto impossibile: servono però tanta forza di volontà, tanta passione e spesso, perché no, una buona dose di fortuna. Per questo, consiglio sempre a chi studia archeologia di cercare di sfruttare per tempo ogni opportunità. E’ essenziale partecipare a lezioni, seminari e convegni dove potersi far conoscere e intessere relazioni. Approfittando degli scavi e dei tirocini si può entrare in contatto con il mondo dei musei o delle istituzioni già durante gli anni di studio, senza mai farsi scoraggiare. Chi sceglie questa professione sarà spesso 'vittima' dei commenti di quanti non credono che l'archeologia possa essere un vero lavoro. Ovviamente non basta avere un sogno per vederlo realizzato e non è sufficiente neppure vedere la linea del traguardo. Bisogna correre e tagliare il nastro per arrivare a fine gara. La passione deve essere accompagnata dallo studio costante, dalla voglia di reinventarsi e mettersi sempre in gioco". Con quali ostacoli si è dovuta confrontare? “Sono una persona molto fortunata, mi sono permessa il lusso di poter lavorare nel mio settore, anche durante i momenti peggiori della pandemia. Sono stati anni duri, molto difficili per chiunque lavorasse nel mio campo, anni da cui ancora non ci siamo completamente ripresi. La battuta d'arresto data dal virus è stata sicuramente l'ostacolo maggiore incontrato nel corso della mia carriera. C'è da aggiungere che questa 'frenata' improvvisa ci ha anche costretto a guardare il nostro lavoro da nuove angolazioni permettendoci di trovare nuovi mezzi per continuare a fare cultura".
L'egittologa Valentina Santini

L'egittologa Valentina Santini

Quale era la posizione della donna nell’antico Egitto? “A differenza di quanto solitamente viene da pensare, la donna nell'antico Egitto godeva di diversi diritti. Non sempre la sua posizione era esattamente paritetica rispetto a quella dell’uomo ma aveva la possibilità di ereditare, di divorziare e, per quanto non fosse prassi comune, perfino di diventare faraone. Poteva possedere beni privati e addirittura ripudiare il proprio marito. Anche di fronte alla legge godeva degli stessi diritti e degli stessi doveri dell'uomo. Il ruolo della donna era strettamente legato a quello di madre, ma non si limitava solo a questo: per esempio era fondamentale la sua presenza in ambito religioso. Infatti molte immagini ritraggono figure femminili mentre danzano e suonano in occasione di rituali e cerimonie". Chi sono le donne egiziane che l’hanno maggiormente impressionata e perché? “Tra le donne dell'antico Egitto che più mi colpiscono c'è sicuramente la regina-faraone Hatshepsut. Una volta salita al trono ha voluto essere raffigurata con i simboli del potere tipici dei faraoni uomini, compresa la barba posticcia. Ci sono anche Tiye, Grande Sposa Reale di Amenhotep III, esperta di politica estera, e ancora Nefertiti, celebre per il bellissimo busto che la ritrae e oggi conservato a Berlino. La regina Nefertiti era così importante a corte che veniva raffigurata al fianco del marito, il faraone Akhenaton. I sovrani egizi erano considerati un'incarnazione divina e per questo erano sempre ritratti di dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi. Nelle raffigurazioni di Nefertiti e Akhenaton spesso vediamo come i due coniugi siano ritratti della stessa altezza, segno che la regina era considerata in tutto e per tutto alla pari del faraone, espressione della divinità in terra".
L'egittologa fiorentina Valentina Santini

L'egittologa fiorentina Valentina Santini

Esistono parallelismi di natura sociale tra quel mondo e il nostro? “È sempre rischioso fare parallelismi tra una cultura antica come quella egizia e l'epoca contemporanea, perché si tratta di mettere a paragone contesti diversi, con credenze, politiche e usanze derivate da condizioni sociali anche molto distanti tra loro. Se, però, si riescono a mantenere queste realtà ben distinte nella nostra mente, possiamo identificare diverse analogie tra l'antico Egitto e l'epoca contemporanea. Dalla necessità di organizzare riti pubblici in occasione della morte di una persona (come ancora adesso facciamo noi con i funerali), al bisogno di indire uno sciopero se le condizioni di lavoro stavano diventando insostenibili. Risale proprio all'antico Egitto, infatti, il primo sciopero di cui si abbia notizia. Gli operai del villaggio di Deir el-Medina che non venivano più pagati da diversi giorni si rifiutarono di continuare a lavorare e scioperarono. Un'azione così forte riuscì a dare seppur solo parzialmente i suoi frutti, perché gli operai ripresero gli attrezzi in mano solo quando ottennero la metà di quello che sarebbe spettato loro". Qual era il loro concetto di solidarietà? “È piuttosto difficile rispondere con sicurezza a questa domanda, anche perché il nostro concetto di solidarietà è probabilmente diverso da quello dell'antico Egitto. Mi viene a proposito in mente l'episodio in cui uno studente chiese all'antropologa Margaret Mead quale fosse secondo lei il segno dell'inizio della civiltà in una cultura antica, ricevendo questa risposa: 'Un femore rotto e poi guarito'. Effettivamente la guarigione di una frattura indica che qualcuno si è preso cura del malato, che lo ha accudito e gli ha permesso di prendersi del tempo, prima di poter tornare ad essere 'produttivo' nella società. Ecco, da questo punto di vista, anche in epoca faraonica senza dubbio esisteva il senso della solidarietà. Ci sono infatti papiri che attestano procedure mediche atte a guarire diversi tipi di mali tra cui proprio le fratture". Ci vuole parlare del rispetto che gli egiziani nutrivano per gli anziani e il loro culto per i defunti? “L'aspettativa di vita in epoca faraonica non era molto alta, considerate la mortalità infantile e le malattie. Per dare un'idea, nel Nuovo Regno (il periodo in cui visse Tutankhamon), si aggirava intorno ai 40-50 anni, ma, ovviamente, c'erano delle eccezioni. Il faraone Ramesse II, ad esempio, visse oltre novant'anni. Abbiamo alcune immagini in cui gli anziani sono raffigurati con i capelli bianchi anche se il loro fisico è idealizzato e ritratto in maniera molto simile a quella di un giovane. L'anzianità era vista in maniera negativa, in quanto non più 'utili' in senso pratico per la società, ma anche in modo molto positivo perché l'avanzare dell'età era considerato sinonimo di saggezza".
La cover del libro per bambini "Butehamon. A scuola di scrittura nell'antico Egitto"

La cover del libro per bambini "Butehamon. A scuola di scrittura nell'antico Egitto"

Con un suo libro si rivolge ai bambini, Quale messaggio intende trasmettere? “Butehamon è un bambino che ha il grande desiderio di diventare uno scriba, ma che si rende ben presto conto di non sapere disegnare. È un racconto che parla di sogni e determinazione, ma anche dell'importanza del supporto della famiglia e degli amici nei momenti difficili della vita. Spero che Butehamon possa servire da ispirazione per tutti coloro che hanno un sogno nel cassetto: se realizzarlo è così importante, per quanto difficile possa essere, bisogna sempre cercare di non lasciarsi abbattere dai problemi e dalle complicazioni che possono sorgere. Mi auguro che il giovane Butehamon riesca a trasmettere ai bambini e ai ragazzi questo messaggio di fiducia e speranza". Pensa che uno scolaro di oggi possa ambire a diventare scriba, quindi tradotto in termini contemporanei, un amante della scrittura e delle lettere? “Certamente! È indubbio che le nuove generazioni, in quanto native digitali, abbiano un rapporto molto stretto con la tecnologia, ma questo non esclude la nascita di 'novelli scribi'. Sono certa che persone amanti della scrittura, dei libri, delle lettere esisteranno sempre. L'odore della carta, il rumore della penna sul foglio, il contatto tra la mano e la pagina quando si sfoglia un libro sono tutte sensazioni che non hanno età, né epoca. Il presente è sempre più tecnologico, ma chissà quanti Butehamon ci sono nelle nostre scuole".
Valentina Santini al Museo Egizio di Torino

Valentina Santini al Museo Egizio di Torino

In che modo i bambini hanno accolto questa sua opera? L’Egitto fa ancora sognare? “Sono molto contenta del modo in cui i bambini reagiscono di fronte alla lettura di questo libro: fanno il tifo per Butehamon e pensano a mille soluzioni per aiutarlo, si cimentano nella scrittura geroglifica e guardano ammirati le bellissime illustrazioni di Saimon Toncelli. L'antico Egitto affascina da sempre: è una cultura straordinaria, che ancora oggi influenza la nostra contemporaneità. Questo senso di ammirazione nei confronti dell'epoca faraonica lo ritrovo tanto nei bambini, quanto negli adulti. Ricordo ancora perfettamente il senso di stupore che provai la prima volta che mia madre mi accompagnò al Museo Archeologico Nazionale di Firenze: avevo otto anni e, circondata dalla bellezza di tutti quei reperti, capii che da grande non avrei potuto fare altro che l'archeologa. I bambini sono profondamente affascinati dall'antichità, soprattutto dall'epoca faraonica". Scrittrice e archeologa. Due mondi che si incontrano. La sua massima aspirazione? "Avere la possibilità di imparare sempre. Ho avuto la fortuna di lavorare a Torino, al Museo Egizio, dove i colleghi e l'ambiente mi hanno permesso di crescere come egittologa e come persona. Ho, poi, avuto altrettanta fortuna quando ho trovato Camnes, il centro di studi archeologici per cui lavoro adesso, che mi sta dando la possibilità di portare avanti tanti bei progetti e continuare a studiare per il dottorato di ricerca. Le case editrici Sillabe e Longanesi hanno creduto in me fin dal primo momento pubblicando due libri per cui mi sono a lungo documentata e grazie ai quali ho imparato tante cose nuove. Continuare su questa strada è la mia massima aspirazione al fine di mantenere vivo il connubio tra scrittura e archeologia e trasmettere al vasto pubblico la ricchezza delle culture del passato, arrivando ad apprendere così sempre qualcosa in più".