"Stasera va in scena
l’Amleto 'diverso'". È arrivato anche Europa il tour della produzione peruviana del
Teatro La Plaza di Lima, che da quattro anni in patria mette in scena un’opera tratta dal capolavoro di Shakespeare e interpretata da
otto attori disabili, in maggior parte con la sindrome di Down.
Uno di loro,
Jaime Cruz, lavorava nel teatro come maschera. Quando una volta la regista Chela de Ferrari, gli chiese che cosa volesse fare da grande, lui non ebbe dubbi: "Sono un attore". E così è nata questa esperienza che ha varcato per la prima volta l’Oceano ed è stata rappresentata con successo al Teatro Nacional São João, a Porto – ne ha palato a lungo il maggiore sito portoghese, quello del giornale Publico.
Un Amleto diverso
Un Amleto che, pur non rinunciando al teschio e alla posa fatale - come Laurence Olivier -, non è e
non vuole essere "come il resto". E che ogni volta gli otto attori 'neurodiversi', interpretano "come se fosse la prima volta".
Otto attori disabili portano in scena, per la prima volta oltre Ocenao, il capolavoro di Shakespeare che non è "come il resto"
"Non so come spiegarlo: abbiamo già fatto centinaia di rappresentazioni e loro hanno la capacità di ripetere ogni volta
le emozioni e la freschezza dell’interpretazione - dice la de Ferrari a Publico -. Non so se è tipico della condizione di questi attori, ma è la cosa più bella che possiamo imparare da loro. Sono sempre nuovi sul palco. Vengono sempre con la stessa impazienza di comunicare ogni parola”.
Gli attori e la regista
Con Jaime ci sono Octavio Bernaza, Lucas Demarchi, Manuel García, Diana Gutierrez, Cristina León Barandiarán, Ximena Rodríguez e Álvaro Toledo. Come se riecheggiasse l'irrisolvibile
dilemma dell'esistenza del testo originale, l'intricato "essere o non essere" trasformato in "io sono un attore" è diventato rapidamente il fattore scatenante per la regista. "Quando ho visto Jaime presentarsi non come assistente di scena ma come attore, l'ho invitato a prendere un caffè, un caffè lungo dove ho scoperto tante cose, compresi
i miei stessi pregiudizi, e che ha suscitato una voglia enorme di continuare a incontrare questa persona con cui, fino a quel momento, mi ero imbattuta solo di sfuggita, per allacciare un rapporto".
La compagnia nasce dall'incontro della regista Chela de Ferrari con uno degli interpreti, Jaime Cruz, che ha la sindrome di Down
Chela racconta poi la sua reazione quando si è messa dalla parte del pubblico: "L'esperienza di assistere a questo spettacolo è, da un lato, quella di vedere messa a nudo la nostra totale ignoranza e, allo stesso tempo, quello di assistere al risveglio, da zero, di un profondo desiderio di scambio".
Il diritto all'autodeterminazione
Fra gli otto di Amleto e il pubblico c’è grande interazione. Come il personaggio shakespeariano, rivendicano il
diritto all'autodeterminazione, come cittadini e come attori. Per questo chiedono agli spettatori di mantenere la calma se impiegano
più tempo del 'normale' a dire il testo, se balbettano, se non pronunciano bene le parole, se perdono il segno. E hanno voluto parlare via Skype a uno dei più noti Amleto della storia, Ian McKellen (Gandalf ne "Il signore degli anelli" fra l’altro, pluripremiato al cinema e in teatro), per sapere se, come loro, gli veniva da piangere alla prima o di andare in bagno nel bel mezzo dello spettacolo. La messa in scena di Chela de Ferrari si affida a questi ragazzi per sondare gli abissi esistenziali fra il pubblico definito “normale” e questi otto “diversi” sulla scena.
Il teatro: un processo collettivo per diventare altre persone insieme
Con Jaime Cruz a comporre il gruppo che porta in scena l'Amleto ci sono Octavio Bernaza, Lucas Demarchi, Manuel García, Diana Gutierrez, Cristina León Barandiarán, Ximena Rodríguez e Álvaro Toledo
Dopo tanti anni di lavoro assieme, Chela può esprimere un giudizio più compiuto su questo esperimento. "All'inizio del processo - ha dichiarato a Publico - non capivo che cosa cercassero nel teatro. Ora comprendo che mi stavano dicendo di voler essere, che vogliono
essere presenti. Io sono cambiata, loro sono cambiati. Oggi concepiscono il teatro come un processo molto più collettivo che individuale: il processo per diventare altre persone, con altre persone. Anche se può essere profondamente inquietante. E c'erano situazioni inquietanti. Un giorno, dopo otto mesi di lavoro, Ximena si è messa a piangere perché non sapeva più chi fosse: a volte si sentiva una persona con la sindrome di Down e altre no". Ma Rodríguez non ha ritrovato solo se stessa, ma anche l’amore: lei e Octavio sono una coppia. Il teatro è davvero
vita reale.