Cosa vuol dire essere HIV positiva e vivere nella parte ‘sbagliata’ del mondo? Lottare con tutte le forze non solo per sopravvivere ma anche per raggiungere una terra che promette un futuro migliore ma che di solito invece ti isola e ti tratta come un qualcosa da scansare, di pericoloso addirittura?
“Ho conosciuto Italy Bares l’hanno scorso. Sono stata allo spettacolo precedente come oratore durante la matinée per le scuole, scuole che fanno percorsi con Anlaids Lombardia ETS di educazione sessuale e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili”. Elena Di Cioccio, attrice e conduttrice televisiva e radiofonica, è tra gli ospiti speciali dello spettacolo “Controcorrente”, che andrà in scena il 17 e 18 maggio al Teatro Repower di Milano.
Per il quinto anno del progetto, a favore e sostenuto da Anlaids Lombardia ETS, che da oltre 30 anni si impegna contro HIV, infezioni sessualmente trasmissibili e nuove infezioni virali, si pone l’ambizioso obiettivo di sensibilizzare il pubblico attraverso un incredibile show, promuovendo una cultura della prevenzione e combattendo ogni forma di stigmatizzazione.
“È un modo per raccogliere fondi, per informare, che loro fanno talmente bene da riuscire a portare 1600 studenti a vedere, come premio, uno spettacolo molto bello, giovane, pieno di nozioni e informazioni che passano attraverso la narrazione scenica – aggiunge Di Cioccio, che ha scelto di mettersi in gioco forte anche della sua esperienza di persona con HIV –. È una narrazione che arriva sempre al cuore, mai alla testa”.
Lo spettacolo Controcorrente
Un doppio appuntamento per un evento che dal 2019 è arrivato in Italia grazie al direttore artistico Giorgio Camandona, che lo ha fatto crescere di anno in anno, grazie al sostegno di artisti, professionisti del settore. La regia è firmata da Mauro Simone, con la regia associata di Alfonso Lambo, su libretto di Elisabetta Tulli e Guglielmo Scilla. In “Controcorrente” si alterneranno sul palco 185 performer guidati da 11 importanti coreografi e per la prima volta a Italy Bares entrerà l’eccellenza della danza classica con la presenza di dieci ballerini del Corpo di ballo del Teatro alla Scala. Nel ruolo della protagonista, invece, c'è la giovane attrice Cristina Parku e alla fine dello spettacolo ci sarà un momento per raccogliere le fila in cui saliranno sul palco due volti noti della tv italiana, Katia Follesa e Angelo Pisani, per chiudere la cornice della serata.
“Controcorrente” racconta la storia di Michele e Fatima, due persone destinate a sfiorarsi, sfidando gli ostacoli della vita. Il primo è un medico che ha appena iniziato a lavorare in consultorio e sogna di aiutare le persone in difficoltà. Un ragazzo buono e attento, che ogni giorno sfida il cinismo del padre, uomo ricco e potente. La seconda è una ragazza africana che è riuscita ad affrontare le correnti reali del Mediterraneo, diventando però una clandestina: invisibile per l’Italia eppure al centro degli interessi di Andrea, un giovane di buona famiglia che pensa solo a divertirsi. Le loro vite si intrecceranno in una storia colma di emozione, di ritmo, sensualità, violenza e dolcezza.
Un racconto intenso che apre una finestra sulle difficili condizioni in cui una persona HIV positiva si trova a vivere semplicemente sulla base del luogo geografico di nascita. Quello che da noi significa cura e vita, altrove è ancora sinonimo di disprezzo, sofferenza e in molti casi morte.
Una riflessione sul privilegio, troppo scontato, che abbiamo di vivere in un Paese che ci permette di accedere alle cure e alla salvezza e l’importanza di allargare i nostri orizzonti e saper guardare anche altrove.
L’emozione veicolo di informazione
Ne parliamo con chi, quella condizione di HIV positiva e allo stesso tempo di privilegio, la vive ogni giorno. Per Elena Di Cioccio lo show “È una scommessa che tutti gli anni Italy Bares vince, perché riesce a mettere in piedi qualcosa di straordinario. Quest’anno il tema è ampio ma non c’è mai un momento di didattica all’interno dello spettacolo, vengono trasmesse le cose in una narrazione di quotidianità, che è quello che serve a noi: trasformare una comunicazione che può essere dallo sbagliato al meramente scientifico, a una comunicazione quotidiana. Raccontare un pezzo di vita di qualcuno, vedendolo sul palco, fa assorbire le informazioni senza che nessuno dica come funziona. Informarsi non è semplice, le persone hanno tante cose da fare, tanti pregiudizi, livelli culturali diversi, esigenze diverse. Ma il palcoscenico racconta con modalità differenti la stessa cosa e prende tutti. L’emozione è un grande veicolo, come un filo di rame che va dritto dalla testa al cuore”.
Anlaids lavora molto all’interno delle scuole, ma offre così, con il progetto Italy Bares, con “Controcorrente” e i precedenti spettacoli, un tipo di informazione in modo non didascalico, ma altrettanto efficace. “Lavora on solo nei licei e istituti superiori, ma anche nelle scuole di danza, di canto, di musical, perché l’informazione la devi fare dove sono i ragazzi, dove coltivano le passioni i più giovani. Perché sono loro i più esposti, non hanno confidenza con tantissime cose, possono formare le loro opinioni ma devono essere informati”.
Fare informazione significa infatti rendere questi giovani liberi di sapere pro e contro delle loro azioni di qualsiasi tipo, di rassicurarli, di renderli esseri umani autonomi con la capacità di gestione alta. “È bellissimo parlare con loro - continua l’attrice - hanno un milione di domande a cui però nessuno risponde perché parlare di sesso è sempre complicato. E devi sempre metterti in condizione di sapere esattamente quello che vogliono sapere loro, essere sempre disponibile ad ascoltare le loro richieste qualunque siano, coi loro mezzi”.
Anlaids prova a fare proprio questo, operando in tutta Italia: ci sono gli incontri, le presentazioni, i test, i test rapidi, i consultori, il sito… Per fare questo servono fondi, per continuare a fare quello che è necessario: “Per questo noi facciamo Italy Bares, per consegnare un booster economico a un’associazione che fa davvero delle cose e per fare informazione”.
Una storia di integrazione e privilegio, contro lo stigma
Perché la comunicazione, ancora, intorno al tema Hiv, al tema Aids (ricordiamo che non sono la stessa cosa!) è difficile, è fumosa, è vaga, non si sa come parlarne con le persone. “Quindi noi andiamo a raccontare, ci spogliamo dello stigma e, attraverso una storia di integrazione, questa volta siamo andati a trattare il concetto, il tema fondamentale che io sono fortunata perché nata nella parte fortunata del mondo. Se fossi nata in Africa e avessi contratto l’Hiv, sarei già morta – ammette Di Cioccio –. Ti assicuro che quando ci penso, e sono stata in Africa e quando ti porti a casa gli occhi di persone che sanno che moriranno, ne sono consapevoli e terrorizzate, mi dico che sono nata dalla parte ‘giusta’ del mondo”.
A questo giro il musical ha voluto raccontare storie di persone che sono ancora più in difficoltà di noi, mettendole insieme, perché la difficoltà è la medesima. Provando così ad abbattere lo stigma che circonda l’Hiv, parlandone in modo corretto e comprensibile, alla portata di tutti grazie al linguaggio dell’arte. “È un’occasione per raccontare storie che esistono. Di qualunque colore politico tu sia, di qualunque credo tu possa essere, non sto a sindacare, ma questo mondo esiste e va riconosciuto: un mondo di persone, di clandestini, che sono più fragili rispetto a noi e quando arrivano in mezzo a noi l’intersezione li rende ancora più fragili – spiega –. E allora c’è qualcosa che non va. In ‘Controcorrente’ raccontiamo questo e ci tengo a sottolineare la presenza dei giovani nel cast, scelti per portare avanti una storia difficile, bella, emozionante, e lo stanno facendo gratuitamente. Io a 50 anni mi posso permettere 4 settimane di spettacolo senza compenso, ho già lavorato tanto; ma un attore o performer agli esordi, che fa questo, testimonia quanta forza hanno i giovani veramente. Loro sono quelli da guardare col microscopio, vedere quanti artisti abbiamo bravi, che nessuno conosce, e sarebbe il caso anche di cominciare a accendere la luce anche su cosa c’è dietro lo o la starlet televisiva (che sono uno o due), su un mondo di bellezza”.
Per Elena Di Cioccio questo spettacolo “è quasi un regalo”. Lei ha rivelato di avere l’HIV con un libro autobiografico, Cattivo sangue (Einaudi, 2023) – anticipato da un’intervista a Le Iene –, e nel volume “c’è un capitolo in cui racconto delle parti di me di quando sono piccola in cui non ho avuto l’opportunità di fare le cose che avrei voluto. Il mio sogno era di fare musical ma c’era una sorta di catena che tirava in verso contrario. E mi trovo, da attrice, ad avere a che fare con persone che mi dicono ‘ah come sei fortunata a fare questo lavoro, ti invidio’. Ma io lo capisco questo avere dentro qualcosa di grande che non riesci a esprimere e quindi quando mi è stato chiesto di partecipare a questo musical è stato come se si avverasse un sogno per la bambina che sono stata e come professionista oggi sono contenta di offrire quello che so fare per una causa che mi corrisponde”.
Sul palco con lei non ci sono solo persone sieropositive, ma nella moltitudine ci sono quelle positive e quelle non, chi l’ha manifestato e chi invece no. Ma l’idea di raccontare l’esperienza di vita col virus attraverso l’arte è straordinaria, è un musical costruito apposta per questo. Tutte le maestranze che ci lavorano lo fanno per vederlo nascere e morire in due repliche, mentre di solito tutto questo lavoro si fa per spettacoli che durano anni.
Alla fine a Elena chiediamo come si abbatte oggi lo stigma che ancora circonda, come lei stessa ha detto, l’HIV. “Per me abbattere lo stigma è qualcosa che mi fa pensare che è qualcosa che c’è, di rigido e duro. Allora cosa posso fare io? Non mi piace il gesto di distruggere qualcosa, a me interessa normalizzare le cose. Io non abbatto lo stigma, in nessun modo: io ti presento la mia normalità, poi sta a te decidere”.
Rappresentando la sua normalità qualunque altra persona si può riconoscere in quei gesti quotidiani. Di Cioccio crede infatti nel dare l’esempio, non negli slogan, spiega, e lei lo fa nel modo più naturale possibile, con quello in cui crede, facendo le cose che fa. “E non è semplicissimo, perché ogni giorno sui social – che sono una vetrina – o nel luogo dove lavoro sento ‘è però ora parla solo di questo da un anno a questa parte’. Al che mi chiedo se debba sempre girare col curriculum delle cose fatte quest’anno per giustificare l’essere me stessa… Non può succedere, in generale. Certo che parlo di questo perché sono questo!
Io ogni giorno prendo la pastiglia, vado a fare gli esami, ogni mese frequento l’ospedale. E ne parlo sempre perché per riuscire a compensare 21 anni di silenzio me ne devo fare 21 di chiacchiera continua. Basta trattare queste cose come una notizia, come un vestito da cambiare: le cose stanno così e io quindi continuo a parlare di normalità. Ma è chiaro che umanamente quando senti queste cose, che qualcuno ti chiede ‘a ma quindi non hanno ancora trovato una cura?’, capisci che qualcuno è lì a dirti che quello che stai facendo non va bene, è lì per rompere il tuo equilibrio. Quindi quando mi dicono ‘è parli solo di questo’ replico ‘Sì. Potrò essere me stessa?’”.