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Home » Spettacolo » Anastasio non è più ‘Rosso di rabbia’: “Ho smesso di urlare come una volta, mi sono calmato”

Anastasio non è più ‘Rosso di rabbia’: “Ho smesso di urlare come una volta, mi sono calmato”

Il vincitore della dodicesima edizione di X Factor si racconta a Luce! e presenta il nuovo album 'Mielemedicina': "Amo sempre il rap ma mi piace sperimentare altri generi. Mi piacerebbe che una mia canzone fosse capita fra 100 anni"

Giovanni Ballerini
9 Aprile 2022
Marco Anastasio, noto come Anastasio, è un rapper italiano, vincitore della dodicesima edizione di X Factor

Marco Anastasio, noto come Anastasio, (24 anni) è un rapper italiano, vincitore della dodicesima edizione di X Factor

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Nel 2018 la vittoria alla dodicesima edizione di X Factor, quindi la partecipazione al Festival di Sanremo 2019 come invitato e poi in gara nel 2020 con ‘Rosso di rabbia‘, a cui fa seguito, dopo due Ep, l’album di debutto ‘Atto zero‘, Marco Anastasio, in arte solo Anastasio, classe 1997 di Meta, in Campania, torna alla ribalta con un nuovo disco ‘Mielemedicina‘ e in questi giorni con il relativo tour in cui proporrà un po’ tutta la sua produzione e un po’ di brani inediti di un repertorio che parte dal rap e dal suo immaginario per abbracciare il cantautorato e, in un riuscito pezzo con Stefano Bollani, persino il jazz rap. Il tutto per trattare con grinta e passione principi e temi del quotidiano, ma anche in un bel crescendo, sentimenti, poesia e arte. Uno sguardo sulla contemporaneità che evidenzia una maturità creativa ed espressiva che Anastasio vuole condividere con il suo pubblico in questi concerti, in cui si esibisce in trio con un batterista e un polistrumentista.

Anastasio come fa a conciliare le note taglienti del rap con la raffinatezza della poesia?

“Ho avuto la fortuna di essere stato folgorato dal poeta Massimo Ferretti, che mi ha aperto un mondo, grazie a lui, mi sono interessato al genere. Poi ho iniziato a leggere alla ricerca di qualcuno che mi folgorasse di nuovo. Bisogna andare a tentativi perché la poesia è un genere strano, molto personale. Di sicuro, senza la poesia non sarei mai riuscito a scrivere questo album. È un’arte che contribuisce a formare un’identità: a me ha fatto riflettere tanto sul contenuto e sulla forma musicale”.

Quali altri poeti l’hanno intrigata ultimamente?

“Pasolini, Baudelaire e Thomas Elliot, più di tutti”.

Eppure, spesso lei canta in maniera concitata…

“La musica è uno sfogo, un rifugio e, a seconda delle emozioni che provo, la faccio in maniera diversa. Il rap rabbioso è stata una parte del mio percorso che non credo abbandonerò, ma nei nuovi brani la rabbia urlata non c’è più come una volta. Ha lasciato spazio anche ad altro. Oggi credo di esprimermi con più maturità. In ogni caso la musica mi aiuta a evocare cose, sensazioni, sentimenti che non riuscirei a esprimere in altra maniera”.

Anastasio, 24 anni, ha vinto la dodicesima edizione di X Factor (Foto di Christian Kondic)

Come fa a esprimere così bene le angosce quotidiane?

“Non ho un metodo, ho iniziato a fare rap perché le angosce, la rabbia di tutti i giorni riuscivo a tirarla fuori solo così. Parlare di cose mie, di sentimenti, di fragilità mi veniva difficile a parole, ma mi riusciva in musica, così ho iniziato a dare spazio all’espressione rappata”.

Fra i suoi temi ricorrenti c’è la guerra. È un’esigenza figlia dei tempi che viviamo?

“Non solo. Anche in passato ho citato l’amore, la guerra, lo scontro, il conflitto. Nella musica c’è bisogno di parlare di grandi temi, sono pochi quelli che cantano le frivolezze. Anche quello è un dono. L’amore unisce, mentre il conflitto separa, anche nei miei moti interiori, nei miei temi. Poi è importante che un artista metta al primo posto la ricerca, sia nei temi, che nei ritmi”.

Il risultato sono pezzi molto immaginifici?

“Sono contento se i miei brani comunicano immagini, azioni che si possono vedere. Mi lusinga che le mie canzoni vengano considerate cinematografiche, io provo a portare delle scene, delle immagini, anche astratte, che in qualche modo puoi vedere. Non solo giocando con i video in cui spesso delineo storie parallele, grottesche e colorate. Talvolta divertenti”.

Nel suo ultimo album ‘Mielemedicina’ Anastasio ha abbandonato i suoni duri e aspri dei tempi di ‘Rosso di rabbia’: “Oggi credo di esprimermi con più maturità” (Foto di Valerio Nico)

Il risultato è un cantautorato di oggi?

“Mi piacerebbe essere classico e moderno insieme. Il classico è eterno in qualche maniera: la sfida dell’arte è essere universale. E a me piacerebbe che una mia canzone fosse capita fra cento anni. Il linguaggio del cantautorato è invecchiato come invecchia il vino, è bello tutt’oggi, ma non si possono riproporre le stesse canzoni con gli stessi suoni. A me comunque non piace guardare molto all’esterno, cerco di fare quello che mi viene spontaneo”.

Avrà comunque avuto dei maestri, dei riferimenti?

“I dischi di De André me li sono consumati da ragazzino, poi ho ascoltato tanto rap della mia generazione, da Fabri Fibra a Marracash, a Mondo Marcio. Ho assorbito anche il mainstream di quegli anni e apprezzato anche chi, come Caparezza, ha cambiato l’immaginario del rap”.

Allora ha deciso di diventare rapper anche lei?

“Non ho mai deciso: è successo perché mi divertivo. Scrivevo pezzi per me non per diventare famoso”.

Anastasio rivela: “Non ho mai deciso di diventare rapper. È successo perché mi divertivo. Scrivevo pezzi per me, non per diventare famoso” (Foto di Valerio Nico)

Oggi cosa la fa diventare rosso di rabbia?

“Mi sono calmato, anche se il brano in questione la rabbia la sfotteva, che parlava della posa della rabbia, della spettacolarizzazione, di andare su un palco e arrabbiarsi. Il brano ‘La fine del mondo’ era molto più arrabbiato”.

Nel quotidiano c’è qualcosa che butta nelle sue canzoni per digerirla meglio?

“Niente in particolare, ma in qualche maniera ogni delusione l’ho esorcizzata attraverso la musica”.

Anastasio, il Tour 2022 Mielemedicina. Ecco tutte le date

  • Mercoledì 06 aprile 2022 all’Estragon di Bologna
  • Giovedì 07 aprile al Viper di Firenze
  • Giovedì 14 aprile al Fabrique di Milano
  • Venerdì 15 aprile all’Hiroshima Mon Amour di Torino
  • Giovedì 21 aprile al New Age di Roncade (TV)
  • Sabato 23 aprile al Sanbapolis di Trento
  • Giovedì 28 aprile al Duel di Napoli
  • Venerdì 29 aprile all’Orion di Ciampino (RM)

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Nel 2018 la vittoria alla dodicesima edizione di X Factor, quindi la partecipazione al Festival di Sanremo 2019 come invitato e poi in gara nel 2020 con 'Rosso di rabbia', a cui fa seguito, dopo due Ep, l’album di debutto 'Atto zero', Marco Anastasio, in arte solo Anastasio, classe 1997 di Meta, in Campania, torna alla ribalta con un nuovo disco 'Mielemedicina' e in questi giorni con il relativo tour in cui proporrà un po’ tutta la sua produzione e un po’ di brani inediti di un repertorio che parte dal rap e dal suo immaginario per abbracciare il cantautorato e, in un riuscito pezzo con Stefano Bollani, persino il jazz rap. Il tutto per trattare con grinta e passione principi e temi del quotidiano, ma anche in un bel crescendo, sentimenti, poesia e arte. Uno sguardo sulla contemporaneità che evidenzia una maturità creativa ed espressiva che Anastasio vuole condividere con il suo pubblico in questi concerti, in cui si esibisce in trio con un batterista e un polistrumentista.

Anastasio come fa a conciliare le note taglienti del rap con la raffinatezza della poesia? "Ho avuto la fortuna di essere stato folgorato dal poeta Massimo Ferretti, che mi ha aperto un mondo, grazie a lui, mi sono interessato al genere. Poi ho iniziato a leggere alla ricerca di qualcuno che mi folgorasse di nuovo. Bisogna andare a tentativi perché la poesia è un genere strano, molto personale. Di sicuro, senza la poesia non sarei mai riuscito a scrivere questo album. È un’arte che contribuisce a formare un’identità: a me ha fatto riflettere tanto sul contenuto e sulla forma musicale". Quali altri poeti l’hanno intrigata ultimamente? "Pasolini, Baudelaire e Thomas Elliot, più di tutti". Eppure, spesso lei canta in maniera concitata... "La musica è uno sfogo, un rifugio e, a seconda delle emozioni che provo, la faccio in maniera diversa. Il rap rabbioso è stata una parte del mio percorso che non credo abbandonerò, ma nei nuovi brani la rabbia urlata non c’è più come una volta. Ha lasciato spazio anche ad altro. Oggi credo di esprimermi con più maturità. In ogni caso la musica mi aiuta a evocare cose, sensazioni, sentimenti che non riuscirei a esprimere in altra maniera".
Anastasio, 24 anni, ha vinto la dodicesima edizione di X Factor (Foto di Christian Kondic)
Come fa a esprimere così bene le angosce quotidiane? "Non ho un metodo, ho iniziato a fare rap perché le angosce, la rabbia di tutti i giorni riuscivo a tirarla fuori solo così. Parlare di cose mie, di sentimenti, di fragilità mi veniva difficile a parole, ma mi riusciva in musica, così ho iniziato a dare spazio all’espressione rappata". Fra i suoi temi ricorrenti c’è la guerra. È un’esigenza figlia dei tempi che viviamo? "Non solo. Anche in passato ho citato l’amore, la guerra, lo scontro, il conflitto. Nella musica c’è bisogno di parlare di grandi temi, sono pochi quelli che cantano le frivolezze. Anche quello è un dono. L’amore unisce, mentre il conflitto separa, anche nei miei moti interiori, nei miei temi. Poi è importante che un artista metta al primo posto la ricerca, sia nei temi, che nei ritmi". Il risultato sono pezzi molto immaginifici? "Sono contento se i miei brani comunicano immagini, azioni che si possono vedere. Mi lusinga che le mie canzoni vengano considerate cinematografiche, io provo a portare delle scene, delle immagini, anche astratte, che in qualche modo puoi vedere. Non solo giocando con i video in cui spesso delineo storie parallele, grottesche e colorate. Talvolta divertenti".
Nel suo ultimo album 'Mielemedicina' Anastasio ha abbandonato i suoni duri e aspri dei tempi di 'Rosso di rabbia': "Oggi credo di esprimermi con più maturità" (Foto di Valerio Nico)
Il risultato è un cantautorato di oggi? "Mi piacerebbe essere classico e moderno insieme. Il classico è eterno in qualche maniera: la sfida dell’arte è essere universale. E a me piacerebbe che una mia canzone fosse capita fra cento anni. Il linguaggio del cantautorato è invecchiato come invecchia il vino, è bello tutt’oggi, ma non si possono riproporre le stesse canzoni con gli stessi suoni. A me comunque non piace guardare molto all’esterno, cerco di fare quello che mi viene spontaneo". Avrà comunque avuto dei maestri, dei riferimenti? "I dischi di De André me li sono consumati da ragazzino, poi ho ascoltato tanto rap della mia generazione, da Fabri Fibra a Marracash, a Mondo Marcio. Ho assorbito anche il mainstream di quegli anni e apprezzato anche chi, come Caparezza, ha cambiato l’immaginario del rap". Allora ha deciso di diventare rapper anche lei? "Non ho mai deciso: è successo perché mi divertivo. Scrivevo pezzi per me non per diventare famoso".
Anastasio rivela: "Non ho mai deciso di diventare rapper. È successo perché mi divertivo. Scrivevo pezzi per me, non per diventare famoso" (Foto di Valerio Nico)
Oggi cosa la fa diventare rosso di rabbia? "Mi sono calmato, anche se il brano in questione la rabbia la sfotteva, che parlava della posa della rabbia, della spettacolarizzazione, di andare su un palco e arrabbiarsi. Il brano 'La fine del mondo' era molto più arrabbiato". Nel quotidiano c’è qualcosa che butta nelle sue canzoni per digerirla meglio? "Niente in particolare, ma in qualche maniera ogni delusione l’ho esorcizzata attraverso la musica".

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  • Mercoledì 06 aprile 2022 all’Estragon di Bologna
  • Giovedì 07 aprile al Viper di Firenze
  • Giovedì 14 aprile al Fabrique di Milano
  • Venerdì 15 aprile all’Hiroshima Mon Amour di Torino
  • Giovedì 21 aprile al New Age di Roncade (TV)
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