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Artemisia Gentileschi: dalla polemica sulla mostra al palco di Sanremo

Un quadro della pittrice Artemisia Gentileschi è l'ospite d'onore al festival di Sanremo, ma la mostra allestita a Genova è finita nella bufera per la "spettacolarizzazione dello stupro"

di SOFIA TULI -
7 febbraio 2024
Fiorella Mannoia di fronte a un quadro di Artemisia Gentileschi

Fiorella Mannoia di fronte a un quadro di Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi sul palco del Festival di Sanremo. Un’antica replica del primo Seicento dell’opera ‘Giuditta e la sua ancella con le testa di Olofernè, un olio su tela della grande pittrice mai mostrato al pubblico e conservato a Genova nei depositi dei Musei di Strada Nuova a Palazzo Rosso, da oggi esposto nel foyer del Teatro Ariston.

Artemisia Gentileschi ospite d’onore di Sanremo

Le prime artiste a farsi immortalare davanti alla tela sono state Fiorella Mannoia e la ligure Annalisa, seguite subito da Francesco Facchinetti, Clara, Sangiovanni e Francesco Renga. L’iniziativa si inserisce nel progetto ‘Ospite d’Onore a Sanremò, ideato da Regione Liguria per promuovere il patrimonio artistico e culturale del territorio nella vetrina del Festival.

“A poche ore dal suo allestimento, il quadro di Artemisia è già diventato il superospite del Festival di Sanremo – commenta il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti – La cultura diffusa, in grado di raggiungere il maggior numero possibile di persone, è uno degli obiettivi di questa amministrazione.

Se poi a questo si aggiunge anche la trasmissione di un messaggio importante, come quello contro la violenza sulle donne, il risultato è straordinario. Ecco perché abbiamo scelto di portare Artemisia a Sanremo”.

La mostra a Genova finita nella bufera

La mostra di Artemisia Gentileschi, ospitata al Palazzo Ducale di Genova fino al 1° aprile 2024 dal titolo “Coraggio e Passione” ha suscitato non poche polemiche. A far notare gli aspetti negativi della scelta stilistica da parte del curatore Costantino D’Orazio, sono state alcune studentesse dell’Università di Genova, alle quali si sono poi aggiunte divulgatrici e professioniste del mestiere.

Tra queste anche Cristina Chiesura, storica dell’arte e attivista dell’associazione “Mi riconosci?”. Al centro della bufera, il modo in cui è stato raccontato lo stupro subito dall’artista e il merchandising della mostra: che per molti sono una spettacolarizzazione del dolore.

“Pornografia del dolore”

“La mostra esalta un trauma della vicenda personale di Artemisia Gentileschi: il primo stupro subito dal collaboratore del padre, il pittore Agostino Tassì – spiega Chiesura – e lo fa attraverso una sala dedicata, allestita a rievocare la stanza in cui avvenne l’aggressione, con letto sporco di sangue, proiezioni video che si tingono di rosso e addirittura audio delle dichiarazioni tratte dal successivo processo, che per Artemisia fu a dir poco umiliante.

Questo evento terribile viene trattato in chiave morbosa, spettacolarizzante e a tratti quasi celebrativa, per pura necessità di marketing. Di certo profondamente offensiva e svilente nei confronti di chi queste violenze le ha subite e, ancora oggi, le subisce sulla propria pelle.

Come può la mostra essere adeguata da un punto di vista scientifico se riduce l’artista al proprio trauma, costruendo intorno a quell’unico evento la storia della sua carriera, con l’unico scopo di staccare qualche biglietto in più? È sbagliato e pericoloso dire che in qualunque modo parlare della violenza di genere è comunque utile”.

La replica di Palazzo Ducale

La replica della Fondazione di Palazzo Ducale non si era fatta attendere: “Riteniamo che il messaggio della mostra sia coerente con l’attenzione che il Ducale in tutte le sue forme ha sempre dedicato ai diritti e alla lotta contro la violenza sulle donne, e sia pensato per arrivare al più ampio pubblico possibile. Rispetto alle critiche che in questi giorni stanno arrivando sulla mostra di Artemisia Gentileschi restiamo aperti al dialogo e al confronto costruttivo”.

Sulla questione era intervenuta anche Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze. Dopodiché, pochi giorni fa, la lettera e la petizione lanciata dall’associazione di attiviste, Non Una di Meno.

La lettera e la petizione per chiudere la mostra

“La mostra Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione, in corso al Palazzo Ducale di Genova dal 16 novembre 2023, ha destato indignazione e contestazioni da parte di attiviste, studiose, associazioni e di chi vive e attraversa la città per la narrazione incentrata sugli episodi di violenza sessuale che subì la pittrice, narrazione che culmina in quella che è divenuta tristemente nota come “sala dello stupro”.

La sala, che è obbligatorio attraversare per continuare la visita in mostra e che non viene in alcun modo segnalata, presenta un’installazione che intende rappresentare il primo stupro che Gentileschi subì da parte di Agostino Tassi. Lo fa con un letto collocato al centro mentre i dipinti della pittrice proiettati sulle pareti si colorano di sangue.

Non manca una voce femminile registrata di sottofondo che recita le dichiarazioni della pittrice al processo, un processo che fu estremamente intrusivo e umiliante per Artemisia, lasciandola con la reputazione distrutta. Questi episodi violenti vengono morbosamente richiamati anche nelle altre sale dell’esposizione, fino al bookshop in cui vari gadget recano la citazione di Tassi “Io del mio mal ministro fui”, che trasforma la crudeltà di cui fu capace in una specie di atto goliardico di cui fregiarsi, di fatto assolvendolo con simpatia.

È in linea con questa narrazione anche il libro in vendita nel bookshop La notte tu mi fai impazzire. Gesta erotiche di Agostino Tassi, pittore di Pietrangelo Buttafuoco, opera che, come già si intuisce dal titolo, manipola e romanticizza la condotta violenta di Tassi”.

Dopo le prime contestazioni, diffuse su social e giornali, il curatore Costantino D’Orazio ha dichiarato “dobbiamo tenere conto del piano civico, quello scientifico non è più sufficiente”. Questa distinzione ci appare tuttavia estremamente discutibile e faziosa, visto che la spettacolarizzazione dello stupro nulla ha di valido sul piano scientifico e nulla c’entra con la storia dell’arte.

Neppure può essere ritenuta scientificamente valida la ricostruzione di un percorso artistico a partire da alcuni episodi dolorosi della vita della pittrice, usati forzatamente come chiave di interpretazione per i suoi dipinti e abbondantemente richiamati nei testi in sala.

Per quello che riguarda il piano civico, ci chiediamo invece perché mai dovrebbe essere necessaria una cura particolare nel 2023: ci sembra scontato che risulti quantomeno inopportuno staccare biglietti raccontando in maniera semplicistica e morbosa la vicenda biografica di una persona, nonché grande artista, anche se vissuta quattro secoli fa.

Il compito della cultura, semmai, dovrebbe essere quello di elevare lo spirito, raccontare la complessità e stimolare nuove riflessioni. Questa responsabilità non può essere demandata a una società privata, Arthemisia, che peraltro difende strenuamente questo allestimento, né ad approcci curatoriali spettacolarizzanti (tra i curatori figura tra l’altro la storica dell’arte e consulente per l’arte del Comune di Genova, Anna Orlando).

Per questo ci rivolgiamo alle istituzioni coinvolte in questa mostra, ricordando la funzione pubblica che devono assolvere, e chiediamo il disallestimento della “sala dello stupro” e la rimozione di gadget con la frase autoassolutoria dello stupratore Agostino Tassi dal bookshop”.