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Dalla periferia al ballroom per trovare la libertà, la storia di tre donne

E’ ciò che “About Last Year”, film indipendente a firma di tre giovani registe, che aveva già riscosso successo alla Mostra del cinema di Venezia e che ora ha ricevuto il premio come miglior documentario al festival di Spello

di GIOVANNI BOGANI -
17 marzo 2024
"About last year!

"About last year!

Si chiama “About Last Year”, ed è il film che ha vinto il premio come miglior documentario al festival del cinema di Spello, borgo medievale incastonato nell’Umbria e illuminato da un celeberrimo affresco di Pinturicchio. L’affresco che tracciano le tre registe di “About Last Year”, alla loro opera prima, è un “coming of age” tutto al femminile che entra nel mondo del ballroom. È un piccolo film, girato con pochi soldi e molto entusiasmo, da tre registe giovani: Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova, tutte intorno ai trentacinque anni. Tre ragazze di Torino che raccontano altre tre ragazze della periferia torinese. Tutte e tre ospiti nel mondo del ballroom: un fenomeno nato a New York, nella comunità LGBT latina e afroamericana. Un fenomeno che ha offerto a molti la possibilità di un riscatto, il diritto di non sentirsi emarginati. Le tre donne cisgender, la cui identità di genere corrisponde al sesso biologico, sono accolte da un mondo che tradizionalmente non le considera parte della loro comunità. Le tre donne sanno di essere delle “ospiti”: ma trovano uno spazio nel quale sentirsi al riparo da giudizi e pregiudizi. Le registe seguono il loro percorso lungo un anno intero. Il film è girato in gran parte alla Kiki House of Savoia: un rifugio prezioso per chi ha difficoltà ad esprimersi liberamente. I costumi di scena, per loro come per gli altri performers della ballroom, è come il mantello per un supereroe. Presentato alla Settimana della critica di Venezia, per la prima volta con la direzione di Beatrice Fiorentino, “About Last Year” è uno dei film italiani che hanno riscosso maggiore entusiasmo da parte della stampa. Il pubblico dovrà ancora aspettare, perché “About Last Year”, prodotto da una casa indipendente, la torinese Base Zero, non ha ancora una distribuzione in sala.

A tu per tu con una delle registe

Celeste, Giorgia e Letizia ballano, e cercano la loro strada, il loro futuro, la loro libertà. Ballano nella categoria Sex Siren, con abiti fatti a mano. Preparano i loro abiti, ma intanto studiano all’università, preparano l’esame per la patente. Il resto lo chiediamo a Dyunja Lavecchia, una delle tre registe torinesi di “About Last Year”. Avete scelto tre storie di donne che non appartengono alla comunità LGBT, ma la abbracciano. Perché questa scelta? “Loro sono in qualche modo ospiti in un mondo soprattutto popolato di persone omosessuali e transessuali. Perché abbiamo scelto questo punto di vista? Quando ci siamo trovate nel mondo del ballroom abbiamo trovato tante storie eccezionali: ma alla fine ci è sembrato che queste tre ragazze fossero la chiave giusta per metterci in ascolto di questo mondo. Queste ragazze erano portatrici del tema che più risuonava per noi: anche per le donne era necessario trovare uno spazio sicuro”.

La sicurezza è fondamentale. “Sì, perché tutto quello che fuori viene giudicato all’interno del ballroom viene protetto. Possono esibirsi, liberamente, in un modo che fuori sarebbe giudicato. L’assenza di giudizio è fondamentale, laddove fuori – e non intendo soltanto per strada, ma nei social – hanno subìto molestie”.

Molestie anche nei social. “Certo. In una scena, raccontano che un ballo abbastanza castigato, in pigiama, hanno portato loro uno tsunami di offese, di molestie verbali”.

Gli sguardi esterni portano ancora sessismo. “Come no. Le ragazze sono ancora abituate ad uno sguardo che o le desidera o le giudica. Invece le ragazze che raccontiamo noi, nel ballroom, hanno la libertà di non essere giudicate. Loro diventano soggetti e non oggetti”.

Il ballroom è uno spazio sicuro. Ma fuori? “Sì, perché per esempio queste tre ragazze hanno acquisito una sicurezza che possono portarsi dietro anche nel mondo fuori, anche semplicemente sui social. Le tre ragazze che abbiamo seguito hanno sviluppato una consapevolezza molto forte, che ci ha colpito molto. Hanno imparato ad abitare lo spazio anche nel mondo fuori”.

Quando avete conosciuto le ragazze? “All’inizio del 2017. Il nostro percorso è iniziato da lontano: frequentandole, negli anni, queste ragazze ci hanno mostrato piano piano la strada”.

Qual è il background di voi tre registe? “Nessuna di noi ha una formazione accademica nel cinema. Siamo appassionate di cinema del reale, di documentario. Nel 2018 abbiamo creato un collettivo per partecipare ad alcuni bandi; abbiamo realizzato un paio di cortometraggi, e una di noi si è specializzata in montaggio, le altre due in fotografia. Siamo entrate in contatto con la comunità del ballroom, e poi – con pazienza, senza fretta – siamo arrivate a definire il progetto. Poi è venuta la pandemia, e appena finita la pandemia è arrivata una produzione, che ci ha permesso di mettere in piedi il documentario. In seguito è arrivata la Film commission piemontese. Raccontiamo un anno e mezzo delle loro vite, ma il cammino è iniziato sei anni fa”.

Come vi siete divise il lavoro? “A turno c’era chi faceva la regia, chi faceva le riprese. Il montaggio lo abbiamo affrontato tutte insieme, coinvolgendo anche le tre ragazze protagoniste”.

Ora rimane l’ultimo tassello del puzzle… “Esatto! Una distribuzione, per arrivare nelle sale di cinema. Ma presto potrebbe esserci una novità. Abbiamo vinto il Nastro d’argento intitolato a Valentina Pedicini, per il cinema. Siamo molto orgogliose di quel premio e di quello vinto a Spello ieri, come Miglior documentario per il linguaggio cinematografico. Hanno apprezzato, credo, il nostro sguardo femminile, la nostra empatia, e la ricerca di verità”.