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Cinema sociale e a basso costo: “Ciò che racconti deve essere più forte”

Ciro Formisano, napoletano trapiantato a Roma, è un regista sui generis rispetto a molti suoi colleghi: il tema del film, talvolta anche scomodo, viene prima dei grandi mezzi a disposizione

di RICCARDO JANNELLO -
18 febbraio 2024
Riprese del film "L'anima in pace"

Riprese del film "L'anima in pace"

Lo specchio della realtà trasportato sul grande schermo, con pochi mezzi ma non per questo con temi leggeri, tutt’altro, talvolta scomodi: la famiglia e il suo difficile futuro, il degrado, le difficoltà sociali, la complessità dell’amore. Ciro Formisano, napoletano che vive a Roma, ha girato due lungometraggi che hanno colpito al cuore e che nel loro essere “piccoli” si sono dimostrati “grandi” per come hanno affrontato da una parte la vicenda della riforma Fornero sulle pensioni e dall’altra come la chiusura da Covid ha influito sulle nostre abitudini.

Il primo si intitolava “L’esodo”, quello ora in sala è “L’anima in pace”.

Il regista Ciro Formisano
Il regista Ciro Formisano

Ciro, che cosa vale la pena di raccontare?

“Qualunque storia potrebbe diventare interessante se ben raccontata. Il mio tipo di cinema, ad esempio, tende a usare lo specchio della realtà e molto spesso vengono fuori spunti che possono diventare di comune riflessione”.

Qual è il sentimento che il regista deve provocare negli spettatori?

“L’emozione, quella che lui stesso deve provare girando una storia perché questa risulti autentica”.

Lei è l’emblema di un cinema fatto a basso costo: quanto pesa questo?

“Le rinunce sono tante se non vuoi aderire a un mainstream fatto a tavolino. Deve andare bene quello che hai e quello con cui puoi fare purché sia decoroso e armonizzato per raccontare al meglio ciò che vuoi”.

E poi il tema…

“Certo, quello che racconti deve essere abbastanza forte da superare anche le lacune economiche che appaiono in pellicola. Se ce la fai allora hai vinto”.

Riprese del film "L'anima in pace"
Riprese del film "L'anima in pace"

Il nuovo film nato dal Covid

“L’anima in pace” è una storia nata nel periodo del Covid e arriva alla conclusione delle restrizioni: una ragazza che vive in una famiglia disperata cerca di raccogliere qualche soldo portando a casa la spesa, soprattutto pesanti bottiglie d’acqua e contenitori di latte, che è poi quello che anche lei ha fatto durante la pandemia, ma deve anche fare i conti con un amore tossico in tutti i sensi per il quale si trova anche a spacciare o a fare il palo in una rapina.

Quale il senso di questa storia di terra desolata, per dirla alla Elliot?

“Una difficile storia di sobborghi e degrado. La protagonista è una sconfitta e le sue sconfitte le fanno perdere fiducia in sé anche perché non vorrebbe rimanere agganciata alla sua realtà ma si rende conto che è l’unica che sa vivere. Però ogni atto di sfiducia nasconde in sé la possibilità di rialzarsi. Dora, la protagonista, rinuncia all’amore borghese perché capisce che non ce la farà ad allontanarsi dall’ambiente che sente suo, cercherà solo di migliorarlo”.

Un film a basso costo che cosa significa?

“Vuol dire ad esempio che abbiamo sfruttato per le riprese due appartamenti di amici che ci hanno ospitato senza volere nulla”.

Fu a basso costo anche “L’esodo” che ebbe un grande impatto sociale ma che non è mai finito in tv…

“Un film a cui sono legatissimo e che mi ha permesso di conoscere migliaia di persone che la riforma Fornero aveva messo con le spalle al muro. E che ci ha fatto vincere numerosi premi in festival nazionali e internazionali compreso il Globo d’Oro 2018 della stampa estera. Quella degli esodati è stata una vicenda talmente grave che hanno cercato in tutti i modi di nasconderla sotto il tappeto. In Rai mi dissero chiaramente che c’era stato il veto di una persona ‘potente’ e il film non poteva essere proiettato sulla tv pubblica”.

Riprese del film "L'anima in pace"
Riprese del film "L'anima in pace"

E “L’anima in pace”?

“Su questo ci sono spiragli interessanti...”.

In entrambi i film è presente Daniela Poggi: che cosa rappresenta per lei?

“E’ la mia attrice di riferimento. ‘Per te ci sarò sempre’, mi ha detto. Quando le proposi di fare la protagonista ne ‘L’esodo’ rispose sì in modo entusiasta mentre altre sue colleghe furono spaventate dal tema che il film affrontava”.

Ne “L’anima in pace” c’è anche Donatella Finocchiaro che è la madre di Dora interpretata da una ragazza alla sua prima esperienza da protagonista, Livia Antonelli, ma a detta di tutti bravissima: come l’ha scoperta?

“Intanto un grazie a Donatella il cui più bel complimento è stato che si è divertita molto girando il nostro piccolo film. In quanto a Livia viene dalla scuola ‘Gian Maria Volontè’, ha già lavorato nei teatri della capitale ed è apparsa in altri lavori. Un’amica mi ha chiesto se potevo farle un provino e appena l’ho vista ho capito che la parte sarebbe stata sua. E la risposta del pubblico è entusiasta”.

Cinema sociale: sarà sempre la sua missione?

“Finché potrò sì. Fin da bambino ho sognato di raccontare la realtà, la più piccola. Ora sto scrivendo un’altra sceneggiatura, forse inusuale, ma il filone è sempre quello”.

Chi sono i suoi maestri?

“Amo soprattutto due grandi geni che hanno sempre fatto il cinema che piace a me: Krzysztof Kieslowski e Ken Loach”.

Riprese del film "L'anima in pace"
Riprese del film "L'anima in pace"

E fra gli italiani?

“Sono cresciuto guardando tutti i film di Federico Fellini e Vittorio De Sica”.

Si sente un po’ neorealista?

“Lo sono”.

Ma ci sarà anche altro da vedere nella cinematografia contemporanea…

“Adoro l’ironia di Paolo Virzì, i suoi film mi fanno molto ridere anche quando affrontano temi forti”.

In poche parole, come si definisce Ciro Formisano?

“Una persona autentica come autentico è ciò che faccio. Non ho strategie alternative e spero che la gente cominci davvero a conoscermi per quel che sono e per le storie che racconto. E che qualche produttore abbia il coraggio di investire sulla realtà”.