Che siate o meno incuriositi dalle serie TV, è pressoché impossibile che non vi siate imbattuti almeno una volta in uno dei romanticissimi titoli delle soap turche che - letteralmente - popolano le piattaforme on demand disponibili sul mercato italiano (e non solo). Note come "dizi", le serie made in Turchia hanno fatto breccia nel cuore del pubblico internazionale, diventando di diritto un fenomeno globale di cui sarebbe un errore non tenere conto.
Una delle più amate e seguite è "My home, my destiny", nota al grande pubblico non solo per i ripetuti record di share, ma anche per la capacità di autori e autrici di narrare le dinamiche sociali e culturali della Turchia degli anni Duemila. Non solo, dunque, “sole, cuore e amore”. Piuttosto, un’analisi in chiave sociologica capace di bilanciare sapientemente il racconto dello scontro tra tradizione e modernità e l'approfondimento di temi socialmente rilevanti come la violenza sulle donne. Trame universali che hanno il merito di essersi rapidamente trasformate in fenomeni culturali di portata globale grazie all’ambientazione in un punto di osservazione più unico che raro: la Turchia, il luogo in cui Asia ed Europa si incontrano.
"My home, my destiny”
Di questa lettura a cavallo tra il passato e il presente, l’Oriente e l’Occidente, la cultura patriarcale e quella femminista, "My home, my destiny" è un esempio più che calzante, affrontando nelle due stagioni temi profondi e complessi. La serie racconta la storia di Zeynep, una giovane donna in equilibrio imperfetto tra due mondi: quello povero e costellato di difficoltà della famiglia d'origine e l'altro, quello ricco, caratterizzato dal benessere e dalle opportunità della famiglia adottiva. Le esperienze vissute da Zeynep, schiacciata tra le aspettative tradizionali e conservatrici della famiglia biologica e le ambizioni moderne e occidentali della famiglia adottiva, rispecchiano plasticamente la realtà e la quotidianità di molte società contemporanee, in cui il progresso sociale è costretto a convivere con radicati retaggi culturali. Tra i temi centrali di "My home, my destiny" c’è anche la violenza sulle donne, una piaga profondamente radicata non solo in Turchia, ma in molte società globali, compresa la nostra. La serie la affronta con estrema sensibilità e capacità di analisi, mettendo al centro il ruolo delle donne - di ogni età e ceto - e le sfide che devono quotidianamente affrontare. Una lotta per la libertà e l’autodeterminazione combattuta dalle donne per le donne, dimostrando che solo insieme è possibile spezzare le catene di una società più o meno evidentemente ancora maschiocentrica.
La popolarità
L’impatto sociale dei dizi è evidente, tanto che i social media ne sono invasi. Tante e tanti ne parlano, ma non in maniera distaccata. L’idea è che molti dei dizi abbiano avuto il merito di diventare motivo di discussione, confronto e approfondimento su temi sociali spinosi. Piattaforme del calibro di Twitter, Instagram, Facebook e YouTube fanno a gara a dare spazio a veri e propri gruppi di autocoscienza da remoto su episodi, personaggi e temi trattati. Un coinvolgimento che ha contribuito a dare forma a una comunità globale di spettatori accomunati da una passione comune e intenti a riflettere su faccende tutt’altro che da soap opera. A questo punto del ragionamento, viene da chiedersi se le serie TV turche non debbano essere interpretate come una finestra potente e preziosa sulle dinamiche sociali e culturali della complessità contemporanea, più che come semplici prodotti di intrattenimento. Le loro narrazioni avvincenti e la trattazione di temi rilevanti offrono al contempo uno sguardo critico su problemi sociali urgenti e attimi di leggerezza e svago, giustificando un successo che va ben oltre i confini della terra in cui vedono la luce. In questo scenario, l’Italia, pur vantando una lunga tradizione nell’ambito della produzione televisiva, contando all’attivo serie TV e programmi di successo, sembra arrancare al cospetto del fenomeno turco. Le ragioni sono molte e variegate.
Le tematiche
Prima tra tutte, il fatto che le serie turche, essendo scritte in un contesto sociale culturalmente assai composito, affrontano temi universali come l'amore, la famiglia e le difficoltà attraverso un prisma unico e irripetibile. L'Italia, pur avendo una cultura ricca e variegata, difficilmente riuscirebbe a narrare allo stesso modo fatti, persone e circostanze, tenendo in equilibrio tematiche locali e universalmente rilevanti. Altra questione riguarda la capacità di bilanciare modernità e tradizione, raccontando ciò che è: una Turchia in transizione. Un dualismo impossibile da replicare nelle produzioni italiane, che - per ovvie ragioni culturali - sarebbero più inclini a concentrarsi su aspetti moderni o nostalgici della cultura locale, senza metterli a confronto nel tempo presente. Discorso a parte deve essere fatto per le risorse a disposizione per la realizzazione dei prodotti. Non è raro che le produzioni turche ricevano significativi sovvenzionamenti da parte del governo e di privati. In Italia, la situazione è nettamente diversa e i budget sono molto più limitati. Non solo: la Turchia ha addirittura aumentato i sostegni per la promozione delle sue serie TV su scala internazionale attraverso incentivi fiscali, aiuti concreti e accordi di distribuzione.
Le differenze con le serie italiane
C’è poi la questione della sperimentazione. Le produzioni italiane spesso tendono a restare nel solco di formule consolidate che, pur garantendo successo a livello nazionale, non riescono a catturare il cuore di pubblici altri. È il caso, ad esempio, delle commedie familiari o dei drammi storici. Un approccio, questo, che rischia di rappresentare un limite nell’esplorazione di nuovi generi o formati che potrebbero avere un appeal di più ampia portata. Basti pensare al fatto che i dizi sono spesso adattati per essere compresi e apprezzati anche da culture diverse, facilitandone la diffusione globale.
Il contesto politico
Detto ciò, appare impossibile ignorare il fatto che il successo delle serie TV turche trovi casa in un contesto politico complesso e spesso controverso. Sotto il governo di Recep Tayyip Erdogan la Turchia ha visto una crescente limitazione delle libertà democratiche e dei diritti civili, con una stretta sempre più forte sul fronte dei media e della libertà di espressione. Una situazione in aperta contraddizione con l'immagine progressista e moderna che molte delle serie raccontano. Se, dunque, da un lato, le serie TV turche offrono una preziosa finestra sulle dinamiche sociali e culturali del paese, dall’altro, non si può ignorare l’ombra di un regime che, paradossalmente, potrebbe influenzare anche le stesse narrazioni che tanto appassionano il pubblico globale. Una cosa è certa: se un dizi può aiutare a riflettere su temi drammaticamente attuali come la violenza di genere, deve essere considerato uno strumento socialmente e sociologicamente utile. L'Italia potrebbe avere tutte le carte in regola per replicare i successi della portata di "My home, my destiny", tentando la strada della sensibilizzazione su larga scala anche attraverso il piccolo schermo. I sociologi della comunicazione sarebbero d’accordo. Resta da capire se riusciremo mai a ragionare - e produrre - gettando il cuore oltre il confine.