Omar Rajeh, la danza come rinascita in risposta alla violenza e al potere

Con lo spettacolo "Dance is not for us" il coreografo franco-libanese porta sul palco una storia di abusi e un atto di speranza. Prima nazionale il 12 gennaio al Teatro Palladium di Roma

di GIOVANNI BALLERINI
10 gennaio 2024

Omar Rajeh_Dance is not for us

La danza contemporanea come forza propositiva di una rinascita culturale e sociale è già una visione innovativa dello spettro delle arti. Se poi la luce è puntata sul Libano, sul mondo arabo di oggi, e su una Beirut segnata dalla guerra civile, lo stupore è ancora maggiore. È così che l’arte coreutica si trasforma in un linguaggio politico, in una veemente risposta alla violenza e al potere. "Potrebbe essere stato strano, sotto molti aspetti, aver scelto la danza in un Paese che stava uscendo da una guerra civile, dalla distruzione, dalla morte e dalla perdita. Tuttavia, in quel momento sembrava essere la più rivoluzionaria delle scelte, la più provocatoria e la più conflittuale". La pensa così l’acclamato coreografo e danzatore franco-libanese Omar Rajeh che presenta, in prima nazionale venerdì 12 gennaio al Teatro Palladium di Roma, la nuova creazione solista Dance is not for us.

Non è un caso che lo spettacolo che ha debuttato in prima mondiale lo scorso giugno al Théâtre Le Monnot di Beirut, apra la programmazione di Vertigine, la stagione 2024 realizzata dal Centro Nazionale di Produzione della Danza Orbita | Spellbound, curata dalla co-direttrice Valentina Marini, che animerà la Capitale da gennaio a maggio.

Lo spettacolo manifesto Dance is not for us

Ma, torniamo alla precisa determinazione esistenziale, artistica e politica che è alla base di questo nuovo spettacolo-manifesto. Il protagonista della pièce è una figura di spicco della scena contemporanea del mondo arabo. Stiamo parlando di un ballerino protagonista nei più importanti festival internazionali, nonché fondatore a Beirut della compagnia Maqamat e del festival "Beirut International Platform of Dance". Rajeh, attivissimo nel sostegno ai giovani coreografi di Libano, Siria, Palestina e Giordania, che dal 2019 vive in Francia, con Dance is not for us conduce lo spettatore nel suo autobiografico universo creativo, un vulcanico mondo espressivo che si sviluppa alle radici della sua performance e irriga le radici della sua vita. Un viaggio nel passato, verso un tempo intimo che non esiste più, si trasforma in un'immagine sbiadita e ingannevole.
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Il coreografo e ballerino Omar Rajeh

"Dance is not for us" era la frase che gli ripeteva sua madre dopo aver saputo della sua scelta di diventare un coreografo. Per questo artista nato e cresciuto in una Beirut segnata dalla guerra civile, in un paese in cui la religione ha un peso particolare nella vita pubblica, non deve essere stata una scelta facile. Ma per un artista che vede la coreografia in ogni aspetto della vita, compreso quello politico, non poteva essere altrimenti. Fari puntati allora sulla danza intesa come struttura di potere, come via di accesso al sistema performativo, considerato a sua volta come possibilità dei corpi singoli e di comunità - in determinate aree geopolitiche - di partecipare all'edificazione di un immaginario condiviso. In scena il corpo del coreografo crea le proprie regole e le proprie ispirazioni come atto di speranza, in opposizione alle istanze che lo disciplinano e lo normalizzano. Del resto Dance is not for us è anche il racconto di un’impressionante storia di abusi di potere.

Omar Rajeh. "Danza e cultura per non perdere la speranza"

"Per me è una questione di libertà, di decisioni proprie – spiega il coreografo -. La danza è un ingresso alle grandi domande che affrontiamo ogni giorno. Riconoscere e rispettare l'esistenza di altre forme di questa arte, di altre prospettive di vita, senza cadere nell'eliminazione, nella supremazia, nella crudeltà e nella violenza. Cerco di mantenere il cuore e la mente aperti senza cadere nella paura e nell'insicurezza, questo potrebbe essere pericoloso. La danza e la cultura sono la nostra pratica quotidiana per andare avanti e non perdere la speranza di un mondo pacifico e giusto".
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Il coreografo franco libanese porta sul palco un universo creativo di rinascita contro la violenza

Omar Rajeh, che nel dicembre 2019 si è trasferito in Francia e ha fondato la sua compagnia a Lione, nel 2021 è stato insignito dal Ministero della Cultura francese del titolo di Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres "Per il suo contributo e impegno al servizio della Cultura". Ha conseguito una laurea in studi teatrali all'Università libanese e un master in studi sulla danza presso l'Università del Surrey nel Regno Unito. Autore di più di venti creazioni coreografiche, le sue opere mettono in discussione la nozione di unità e singolarità del corpo, concepito invece come territorio di relazione, dinamico, presente, significante. Rajeh, che ha trascorso oltre 20 anni tessendo, esplorando e perfezionando il suo linguaggio coreografico, si è esibito con la sua compagnia in più di cento città diverse in tutto il mondo.