“Parthenope è una seducente incertezza”: Celeste Dalla Porta si racconta

L’ultimo film di Sorrentino è per lei la prima volta sul grande schermo: “E’ stata una grande sfida, mi sento fortunata”

di LORENZO OTTANELLI
1 novembre 2024
Photocall 'Parthenope'

Celeste Dalla Porta alla presentazione del film "Parthenope" (Ansa)

Lei è Parthenope nell’ultimo film di Paolo Sorrentino, ora in programmazione nei cinema e primo al box office, con il miglior risultato per un film italiano della stagione. (Se non lo avete ancora visto, allora è giusto che sappiate che in questo articolo c’è qualche piccolo spoiler). Celeste Dalla Porta ha 26 anni ed è alla sua prima esperienza sul grande schermo.

Celeste, Parthenope è un grande successo anche tra i giovani. Come mai?

"Oggi è sempre più necessario portare il cinema alle nuove generazioni e Paolo è estremamente contemporaneo, sempre attento al sociale. Parla di tanti temi contemporanei, di fratelli, dell’innamoramento, della perdita. E’ un film coraggioso che non ha paura di essere interpretato. E poi Parthenope è un personaggio libero che riesce a fare della passione la sua professione”.

Parthenope è Napoli. Eppure lei è milanese. Quanto è stato difficile entrare nel personaggio?

"Non è stato difficile per l’aspetto geografico. Napoli mi ha accolta benissimo, è calda, bellissima. Sentivo la responsabilità di non essere all’altezza, ma è scomparsa velocemente, è stato quasi più facile recitare a Napoli che a Milano”.

Ha studiato napoletano con Ciro Capano per poter interpretare Parthenope...

"Non ho studiato davvero il napoletano, non ho parlato in dialetto. Ho interpretato una cadenza sottile, non ho mai voluto esagerare. Ed era plausibile con una donna nata a Posillipo, in quella parte ricca della città. Su questo sono stata seguita molto anche da Paolo Sorrentino, che è del Vomero, ma anche dalle persone sul set. Con Capano ho fatto un lavoro fantastico grazie al canto popolare e ho potuto così affinare l’udito. Napoli è una città con una lingua straordinaria. Napoli è misteriosa, non l’ho capita, mi ci sono affezionata quando l’ho lasciata”.

Paolo Sorrentino l’ha scelta, l’aveva già provinata per “E’ stata la mano di Dio“. Lo ha stregato?

"Non proprio. Vorrei spiegare che nel film precedente ero una semplice comparsa che appariva per qualche secondo. Poi quella scena è stata tagliata. Per Parthenope ho fatto un provino come tante. Certo mi sento fortunata di essere arrivata sul grande schermo con lui e anche un po’ orgogliosa”.

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Sorrentino ha detto che sa impersonare una quindicenne come una trentacinquenne e che le ha consigliato di studiare Stefania Sandrelli in “Io la conoscevo bene".

“I personaggi hanno molte similitudini, nello sguardo, negli occhi, nella malinconia gioiosa e dolorosa. Uno sguardo a cui abbiamo lavorato molto anche con Paolo. Ho osservato anche Stefania (Sandrelli ndr) anche se abbiamo fatto due lavori completamente diversi. Stefania è l’esempio di una maturità felice, dà speranza. Per il personaggio mi hanno molto aiutato i costumi: un tessuto più morbido mi dava più spensieratezza, mentre quando era più duro, anche nell’acconciatura, mi dava un aspetto più maturo”.

Si dice che Sorrentino sia maniacale. Eppure le ha detto di essere libera davanti alla macchina da presa. Come si concilia?

"La libertà per un attore la si trova nel rigore e Paolo è rigoroso come regista. L’attore del cinema deve saper rispettare le regole, così dà il meglio di sé”.

“Parthenope” sembra avere molti significati. Lei che significato le dà?

"Sono tanti i significati e tante le interpretazioni. Quello che secondo me insegna è la via di mezzo, l’incertezza. In fondo l’incertezza è il motore fondamentale che ci porta al sacro e all’incredibile. E’ un film che apre tante domande e non dà risposte”.

Com’è stato recitare con i grandi del cinema come Gary Oldman, Luisa Ranieri, Silvio Orlando?

"E’ stata una grande sfida recitare con loro. Avevo un cast enorme accanto a me e una grande ansia da prestazione. Poi quando conosci gli attori, anche umanamente, capisci che non c’è bisogno di avere paura, sono stata fortunata nel poterli studiare. L’importante è lavorare bene insieme per portare a casa il miglior risultato. Tutti gli attori sono un po’ come bambini. Il mio insegnante diceva sempre che il lavoro dell’attore è un gioco serissimo”.

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Qual è stata la parte più difficile?

"Posso risponderti tutto il film? (ride ndr). Direi l’incontro con Gary Oldman, ma alla fine ho capito che la cosa più importante era lavorare bene insieme”.

Sono tanti i temi che il film tocca, dal suicidio all’aborto. Parthenope, infatti, abortisce illegalmente.

"Quello è un grande atto di coraggio. Al tempo non era certo come oggi. Poi è una gravidanza chiesta dal padre di Parthenope e annientata dalla madre, il padre del bambino non sarebbe mai stato presente. E poi rappresentava la speranza di ritrovare il fratello. Ma questa non era la sua volontà”.

Parthenope è molto bella e seducente. Sa sfruttare la bellezza, ma allo stesso tempo pare pesarle.

"Posso citarti il film: ‘la bellezza è come una guerra, apre tutte le porte’, ed è una guerra quindi crea solo vittime. Ed è vero perché alcune donne del film non hanno saputo sopportare la fine della giovinezza. Le due attrici Flora Malva e Greta Cool si ritrovano rifatte o in solitudine. Parthenope ha una scelta, se dare l’anima alla bellezza o se trovare la bellezza in altre cose. E lei non sa di sedurre, lei seduce perché gioca, non ha coscienza della sua bellezza. Quando capisce cosa può fare, a quel punto lascia andare la possibilità di diventare attrice”.

E lei quanto assomiglia a Parthenope?

"Penso che tutti assomigliamo a Parthenope nella ricerca della coerenza e nella sua concretezza. In questi casi le sono molto vicina. Allo stesso tempo la sento distante perché è un personaggio mitizzato e idealizzato”.

Parthenope diventa antropologa ma continua a chiedersi cosa sia l’antropologia. Cos’è quindi l’antropologia per lei?

"Alla fine il professore lo rende comprensibile: l’antropologia è vedere l’incertezza, è stare nell’incertezza. Non si può descrivere a parole. E’ il vedere mostruoso della bellezza, che è amplificato quando si ha dolore e quando si è felici”.

La domanda che tutti si fanno è sul significato che c’è dietro al figlio del professore. Secondo lei?

“Difficile dare un significato. Per me è quella parte di noi che non vogliamo esca fuori, quella parte meravigliosa, ma che può essere anche brutta. Il professore mostra il figlio quando sa di potersi fidare di lei. E questo succede quando c’è l’amore”.

Un grande esordio al cinema, ha già dei progetti per il futuro?

"Ho dei progetti ma non ben definiti. Certo, per il momento la priorità è la carriera attoriale. Ma non voglio fossilizzarmi e ho davanti a me tante possibilità”.