“M - Il figlio del secolo” visto con gli occhi di due giovanissimi di oggi: promosso o bocciato?

Già da prima della sua uscita la serie Sky ha fatto tanto discutere. Ecco qual è stata la sua arma vincente nella narrazione della storia dell'ascesa del fascismo, secondo noi

di GIULIA DE IESO E MARCO PILI
3 febbraio 2025
Una scena di "M - Il Figlio del Secolo", serie Sky Original di Joe Wright con Luca Marinelli (ANSA/ UFFICIO STAMPA)

Una scena di "M - Il Figlio del Secolo", serie Sky Original di Joe Wright con Luca Marinelli (ANSA/ UFFICIO STAMPA)

È andata in onda venerdì sera sulle piattaforme Sky l’ultima puntata della chiacchieratissima serie M – Il figlio del secolo. Tratto dall’omonimo libro di Antonio Scurati uscito nel 2018 (che, al tempo, si presentò come il “primo romanzo” a raccontare l’ascesa del fascismo), la regia è affidata a Joe Wright, con un magistrale Luca Marinelli come protagonista. La prima stagione parte dalla fondazione dei Fasci di combattimento, avvenuta nel marzo 1919, fino ad arrivare al noto discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925, quando Mussolini si assunse la responsabilità dell’omicidio Matteotti.

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Joe Wright e Luca Marinelli all'81esimo Festival del Cinema di Venezia ( ANSA/FABIO FRUSTACI

L’esperimento può dirsi riuscito: con sole 8 puntate la serie ha generato un dibattito accesissimo fin da prima della sua uscita, tra chi ha parlato di “propaganda” e chi invece si è rifatto alle dichiarazioni rilasciate da Marinelli stesso (“da antifascista quale sono, sospendere il giudizio per 10 ore al giorno per sette mesi è stato devastante dal punto di vista umano”, ha dichiarato l’attore romano). Ma qual è stata l’arma vincente di “M”?

“M” parla allo spettatore

'M. Il figlio del secolo'
Una scena di "M - Il Figlio del Secolo", serie Sky Original di Joe Wright con Luca Marinelli (ANSA/ UFFICIO STAMPA)

Mussolini rompe la cosiddetta “quarta parete” (in questo caso, l’attore recita le battute guardando in camera), rivolgendosi direttamente allo spettatore. Nella prima puntata, è proprio lui a presentarsi al pubblico ben scandendo i suoi tre nomi (“Benito”, “Amilcare”, “Andrea”) e definendosi una bestia “che sente il tempo che viene”. E ammette, come dice il sottotitolo, da “figlio del secolo”: “Questo è il mio tempo”. È Mussolini stesso a “trasportare lo spettatore” da un evento all’altro, non interrompendo mai il flusso di coscienza dei suoi pensieri: i suoi fascisti sono “i cani della guerra”, Italo Balbo – suo braccio destro - è un “genio pazzo”. La marcia su Roma? “Certo che è un suicidio, l’esercito ci farà a pezzi. È un piano ridicolo, lo so da me (…)”, racconta Mussolini. “Ed io sono contrario ai suicidi, loro non lo sanno, è tutta una finta: marciare, insorgere, cosa siamo matti?”, continua addirittura, prima di incitare di nuovo la folla a dirigersi verso Roma.

Luca Marinelli in una scena di M - Il figlio del secolo
Luca Marinelli in una scena di M - Il figlio del secolo

E poi l’interesse della Chiesa nello scendere a patti con il Duce, l’ansia del Re nel firmare il patto di assedio (che non firmò mai): “M” propone una ricostruzione molto emblematica della storia, palesando la psicologia di tutti i vari personaggi, i protagonisti del nostro recente passato. Nella produzione si è pensato anche “ai nostri tempi”, sempre più scanditi a ritmo di reel: ogni scena - che sia un monologo di Mussolini o uno scambio di battute tra più personaggi - è pensata per diventare un piccolo estratto della serie, fine a se stesso. I video di “M” nella pubblicizzazione del prodotto Sky hanno invaso gli algoritmi Instagram e Tiktok, diventando forse il primo “fenomeno social” dell’anno.

Una serie pensata per i giovani?

“I giovani hanno capito la serie”, ha detto Marinelli. Gli stessi giovani che studiano la stessa storia sui libri di scuola, con metodi che vengono sempre più messi in discussione. L’uscita di “M – Figlio del secolo” si colloca infatti in un periodo storico in cui il classico “metodo frontale” è messo in crisi: purtroppo, alla sensibilità di alcuni studenti, l’ultimo secolo e mezzo di storia (il più delle volte affrontato, se va bene, per via dei programmi sempre più vasti, nelle ultime settimane prima della maturità) spesso è ridotto ad un elenco di eventi correlati a sterili date, che vengono presto dimenticate.

Per un adolescente d’oggi una serie come “M – Figlio del secolo” vale più di 100 lezioni “tradizionali” di storia? Sicuramente può essere più coinvolgente, concedendo un “quadro” diverso: nomi, cognomi e date escono dai libri e diventano persone in carne ed ossa, con tutte le loro emozioni, sensazioni e percezioni del proprio vissuto. Particolari sempre più di rilievo in un mondo in cerca di storie a portata di click (e forse in qualche modo vicine a noi) che spesso un professore e un libro, dicono i ragazzi, non riescono a trasmettere.

La storia trasportata ai giorni nostri

Che siano serie tv, statue, film o nomi di strade che siamo tanto abituati a percorrere quotidianamente quanto a ignorare, è innegabile quanto l’opera di resa pubblica della storia invada ogni ambito della nostra quotidianità. Un’operazione spesso politicizzata o, meglio, partitizzata - considerando che tutto è politica - la quale vede le finalità dei prodotti culturali plasmate secondo gli ideali della forza politica o del gruppo che ha commissionato il progetto specifico. Ma “M”, in questo caso, assolve ad un compito ben specifico, e lo fa con estrema precisione. Sfruttando le dinamiche sociali della generazione più giovane, la serie del momento sta riuscendo a catturare abilmente l’attenzione di studenti e studentesse sempre meno concentrati, soffiando via la polvere dai manualoni di storia che tanto scoraggiano coloro che siedono dietro ai banchi di scuola. Trasformare la percezione che le persone hanno della storia, renderla materiale o, come in questo caso, digitale, è sempre un’operazione complessa. Un percorso fatto di necessarie approssimazioni e compromessi, in particolar modo quanto i temi trattati sono tornati da anni al centro del dibattito pubblico, o forse non se ne sono mai andati. Certo: non si può dire che Joe Wright e Luca Marinelli non abbiano fatto i compiti a casa nel modo corretto.