E così dopo Ferrieri Caputi anche il basket, dopo più di trent'anni, ha il primo arbitro donna in Seria A1. Si tratta della trentaquattrenne Silvia Marziali, prima italiana a diventare fischietto Fiba e a dirigere competizioni come Euroleague Women. Laureata in medicina con preparazione e serietà ha raggiunto passo dopo passo le più alte vette del basket nazionale ed europeo. Stella d'Oro al Merito Sportivo, è anche Ufficiale Medico dell'Aeronautica Militare, nel cui ambito si è particolarmente distinta nella lotta contro la Pandemia.
Silvia Marziali e l'amore per il basket
Ma come se non bastasse, lunedì 4 dicembre ha ritirato il Premio "Le Velo – L'Europa per lo sport". Riconoscimento dove gli atleti venivano premiati non solo tenendo conto dei risultati conseguiti, ma anche all'insegna dell'umanità, e dei valori dei campioni. Ed è proprio in quest'occasione che Marziali ha voluto scambiare due parole con il nostro canale.Marziali partiamo dal principio. Da dove è nata questa passione per il basket?
"E' iniziata giocando. Giocavo già da molto piccola a Porto San Giorgio, nelle Marche. Sicuramente la passione me l'ha trasmessa mio padre visto che anche lui era un giocatore. Poi è andata avanti fino a che non sono entrata in medicina e ho dovuto smettere il basket giocato".Poi l'inizio di carriera da arbitro. In campo la vediamo molto spesso sorridente, ma quanto è difficile la gestione di 10 atleti?
"Adesso le cose sono andate avanti, ma era uno dei miei obiettivi nella crescita sia personale sia arbitrale. Sicuramente la tensione inizialmente si sente di più e gestire l'emotività è più complesso, ma con un po' di esperienza e lavorando su sé stessi si riesce a far andare la partita in maniera più fluida". Quanto allenamento e studio tattico c'è da parte di un arbitro? "Il lavoro è quotidiano. Guardo le partite ogni volta che posso, soprattutto quelle delle due squadre che poi dovrò andare ad arbitrare". E' l'unica donna arbitro in serie A, la seconda dopo 30 anni. Questo è un motivo d'orgoglio oppure è un qualcosa che deve far riflettere? "Entrambi. A livello personale è sicuramente un motivo d'orgoglio. Per quanto riguarda la questione dei 30 anni diciamo che è una strada. E' una strada che si è riaperta. E' un segnale forte. Gli ostacoli non sono più quelli di una volta e il percorso è molto più sereno. Sono fiduciosa nelle prossime".Le è mai capitato di essere stata insultata e derisa o addirittura guardata con sdegno soltanto per il fatto di essere donna?
"Derisa no, ma devo dire che lo segno in alcune situazioni l'ho percepito. Quello sguardo un po' particolare l'ho visto. Alla fine non cambia tanto perché o maschio o femmina ma sempre arbitro sei, quindi ovviamente non tutti condividono le tue decisioni arbitrali. Per la questione delle donne però forse sì. All'inizio c'era un po' di preconcetto. La mia fortuna è che non li sento, sono completamente concentrata sul campo".Quale consiglio si sente di dare alle giovani donne che vorrebbero intraprendere la carriera arbitrale, ma che magari rinunciano soltanto per il fatto che il basket, per molti, è uno sport prettamente maschile?
"Ultimamente mi dicono che ai corsi arbitro e mini-arbitro ci sono tantissime ragazze. Non credo quindi che ci sia ancora l'idea del basket come sport prettamente maschile".