“Faremo ricorso in Cassazione non solo per tutelare il diritto di mio figlio all’assistenza e all’inclusione scolastica ma soprattutto per riaffermare un principio generale: questo diritto non può essere subordinato alle esigenze di bilancio sollevate da un Comune”.
A parlare è Loris Mariani e in Cassazione impugnerà una sentenza che ha fatto parecchio discutere a metà agosto, appena un mese fa. Si tratta, per l’esattezza, della sentenza numero 1798/2024 del Consiglio di Stato, quella con la quale i giudici hanno stabilito che suo figlio Lorenzo, un ragazzo con disabilità, dovesse rassegnarsi ad avere al proprio fianco l’assistente alla comunicazione e all’autonomia solo per 7 ore di scuola alla settimana anche se il dirigente scolastico, gli insegnanti e il personale che lo segue hanno messo nero su bianco, nel Piano Educativo Individualizzato (PEI), che le ore di assistenza dovessero essere quasi il doppio: 13.
La sentenza
Detto altrimenti: quella sentenza ha stabilito che un sindaco o un assessore comunale al Bilancio hanno l’ultima parola sulle misure di sostegno agli studenti con disabilità, mentre il dirigente scolastico, i docenti, le persone che a vario titolo si prendono cura dei ragazzi devono adattarsi. A decidere il taglio delle ore è stato, infatti, il Comune dove risiede Lorenzo, quello di Montescudo-Monte Colombo (Rimini), al quale spetta farsi carico degli assistenti che lavorano con gli studenti con disabilità. E lo ha deciso per asserite ragioni di Bilancio: la Giunta comunale ha ritenuto di non dover e poter spendere i soldi che quelle 13 ore di assistenza avrebbero richiesto, ma di doversi e potersi fermare a 7. Da qui la causa legale: Loris ha fatto ricorso al Tar dell’Emilia Romagna e poi al Consiglio di Stato. I giudici, però, hanno accolto le motivazioni dell’amministrazione comunale. Una decisione in controtendenza rispetto alle precedenti.
La rabbia del genitore
I fatti contestati risalgono all’anno scolastico 2022-2023, quando Lorenzo era in seconda media. Oggi il ragazzo frequenta le superiori, è iscritto in un Istituto Alberghiero: il PEI è in fase di stesura, tra gli scongiuri di tutti. La sentenza, però, è stata pubblicata solo ad agosto, come anticipato. Ma benché sia passato tempo, benché il figlio sia in un altro ciclo di istruzione, la famiglia non intende accettare quanto stabilito dal Consiglio di Stato: c’è “un principio generale da riaffermare”, appunto. “Come papà – racconta Loris – la sentenza del Consiglio di Stato mi ha fatto arrabbiare, usando un eufemismo, soprattutto per due aspetti. Il primo: scrivono che mio figlio ha una sindrome di Down “lieve“ sebbene il concetto di sindrome di Down lieve non esista, scientificamente non abbia senso. Questo non mi ha fatto solo arrabbiare, mi ha fatto rabbrividire perché è indicativo di quanto poco si sappia della disabilità. Il secondo: nella sentenza si dice che mio figlio ha raggiunto gli obiettivi didattici fissati dal Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione (GLO ndr) nonostante il taglio delle ore di assistenza scolastica. Peccato che il problema di mio figlio non sia imparare geografia ma riuscire a stare con i suoi compagni, con i suoi pari. L’aspetto della socialità fa parte del percorso educativo e formativo di qualsiasi ragazzo, esattamente come l’aspetto didattico: la scuola deve porsi, e si pone, l’uno e l’altro obiettivo. Perché coi ragazzi con disabilità si fanno eccezioni e distinzioni?”.
Che la sentenza del Consiglio di Stato rivelasse un approccio involuto sia della disabilità sia della scuola è fatto che si era già constatato e riportato. Nella sentenza i giudici spiegano, infatti, che il diritto alla scuola di Lorenzo sarebbe stato violato nel caso in cui gli fosse stato negato l’insegnante di sostegno, non l’assistente alla comunicazione e all’autonomia, come se la seconda figura fosse un di più, lasciando intravedere una concezione riduttiva della missione della scuola, ma anche una scarsa conoscenza sia dei problemi in cui si dibatte (diversi insegnanti sotto contratto per il sostegno non hanno una formazione specifica sulla disabilità) sia una scarsa conoscenza delle peculiarità delle persone con disabilità, che non sono tutte uguali e richiedono un Piano Educativo non a caso Individualizzato.
Accanto a Loris ci sono i suoi avvocati, Ettore Nesi e Francesca Montalti, che per il ricorso in Cassazione punteranno proprio sulla centralità del PEI redatto a scuola, oltre che sull’insubordinabilità del diritto all’inclusione scolastica alla ragion di cassa di un ente locale. "In questa vicenda si è consumato un eccesso di potere giurisdizionale perché il PEI è vincolante, non è una semplice proposta che si possa accogliere o non accogliere, non ci può essere un’arbitraria riduzione delle ore di assistenza previste nel PEI. Questo, tra l’altro, crea una discriminazione indiretta nei confronti della persona con disabilità – spiegano i legali –, che è messa in una condizione di svantaggio rispetto agli altri. In questo senso nella giurisprudenza ci sono precedenti molto chiari”.