Assistenza scolastica per alunni con disabilità? È un “di più” troppo caro

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di una famiglia emiliana che si è vista dimezzare le ore per l’assistenza all'autonomia e alla comunicazione a causa della mancanza di fondi nel bilancio comunale

di GIAMBATTISTA ANASTASIO -
22 agosto 2024
Studente con disabilità

Studente con disabilità

La sentenza emessa solo pochi giorni fa dalla terza sezione del Consiglio di Stato non solo subordina il diritto all’inclusione degli alunni con disabilità alle necessità di Bilancio dei Comuni – fatto già di per sé disorientante – ma sembra restituire una visione involuta della scuola e un approccio altrettanto involuto alla disabilità.

Costringe, però, a porsi anche qualche domanda sugli effetti indesiderati di un documento che ha avuto una portata innovativa epocale lungo il tormentato percorso del mondo della disabilità verso il riconoscimento di diritti che esisterebbero, ed esistono, già di per sé, già in natura: la Convenzione Onu del 2006.

Il no dei giudici al ricorso della famiglia  

In sintesi, i giudici hanno confermato la decisione del Tar dell'Emilia Romagna e respinto il ricorso col quale i genitori di un alunno con disabilità avevano contestato il taglio delle ore di assistenza scolastica all'autonomia e alla comunicazione per l'anno 2022-2023, un taglio deciso dal Comune dove risiede la famiglia. Anzi, più che di un taglio si è trattato di un dimezzamento: da 13 a 7 ore settimanali.

Su quale base il Comune ha deciso che a questo alunno debbano bastare 7 ore di assistenza scolastica? Questioni di Bilancio, appunto: non ci sono soldi per garantirne di più, bisogna preservare il mantenimento della misura nel medio e lungo periodo.

Il diritto ‘incomprimibile’ all’inclusione

Ma un diritto fondamentale come quello all'inclusione scolastica può essere subordinato alla disponibilità di cassa di un ente locale? Sono gli stessi giudici a scrivere che l'oggetto del contendere è proprio questo: “La controversia ruota attorno ad un unico nucleo tematico concernente l’incomprimibilità del diritto all’inclusione scolastica delle persone con disabilità anche rispetto alle ore di assistenza all’autonomia e alla comunicazione”.

La risposta, allora, sembra scontata. Eppure il ricorso dei genitori è stato bocciato e le ragioni del Comune accolte. Perché? Per più motivi, tutti decisamente discutibili. Partiamo dalla visione involuta della scuola alla quale si è accennato poco sopra: i giudici sottolineano che il diritto all'inclusione dell'alunno con disabilità è perfettamente soddisfatto dalle 12 ore di sostegno che gli sono state assegnate e che sono rimaste intatte. L'assistenza scolastica all’autonomia e alla comunicazione, invece, non rientra in quel diritto incomprimibile all'inclusione, perlomeno non per la giurisprudenza amministrativa.

Alunno e persona: due pesi e due misure

Si opera quindi una distinzione netta tra misure che invece concorrono allo stesso obiettivo: la formazione dell'alunno, in quanto studente e in quanto persona. Poco importa che quelle 13 ore di assistenza siano state ritenute necessarie dagli stessi insegnanti e dallo stesso preside per garantire all'alunno un percorso scolastico che potesse essere formativo sia dal punto di vista della socializzazione sia dal punto di vista dell'apprendimento.

Poco importa che l'insegnante di sostegno – come accade spessissimo – non abbia evidentemente tutte le competenze necessarie per aiutare questo alunno ad esprimersi, a scoprire le proprie possibilità e a tirarle fuori, a trovare il proprio posto tra i compagni di classe, oggi, e nei contesti che vorrà o dovrà frequentare domani. Stravolgendo un celeberrimo adagio di Confucio: non importa se il gatto prenda o no il topo, importa solo che un gatto ci sia.

Assistenza all'autonomia e alla comunicazione? È un “di più”: se si riesce a garantirla, bene, altrimenti pazienza. “La più prudente giurisprudenza amministrativa” osserva che “non è configurabile un diritto incondizionato all'assistenza ottimale”: così si legge nella sentenza. Poco importa, ancora, che quelle 13 ore di assistenza scolastica siano state messe nero su bianco dalle insegnanti e dalla preside nel Piano Educativo Individualizzato (PEI) dell'alunno. I giudici sottolineano infatti che quel piano è solo una proposta e la voce che più conta è quella del Comune.

Inclusione e assistenza, due aspetti ben diversi

Il risultato finale, allora, è paradossale: perché si realizzi l'inclusione scolastica delle persone con disabilità è sufficiente che ci sia un insegnante di sostegno. L'assistenza scolastica alle persone con disabilità è, invece, un tema “ben diverso”. “La materia del contendere – si legge infatti nella sentenza – esula dalla ben diversa tematica dell’assegnazione delle misure di sostegno didattico e resta circoscritta all’assegnazione delle altre misure di inclusione scolastica consistenti nell’assistenza all’autonomia e alla comunicazione, espletata da operatori gravanti sul bilancio comunale e non su quello dell’amministrazione scolastica, come invece avviene per i docenti di sostegno”.

Queste parole avviliscono in un amen non solo il diritto all'istruzione, non solo una certa concezione della missione della scuola ma anche decenni di battaglie del mondo della disabilità per promuovere un approccio sempre più personalizzato (“individualizzato”, appunto) alle esigenze delle persone con disabilità (che è ambito decisamente articolato e complesso) e al loro percorso di vita verso la scoperta e la valorizzazione delle proprie capacità e delle proprie autonomie. Involuta la visione della didattica ed altrettanto involuta la visione della disabilità.

L’accomodamento ragionevole

I giudici hanno però emesso questa sentenza sulla base di un un concetto contemplato ed anzi inserito per la prima volta proprio nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006, recepita dalla Stato italiano nel 2009 e quindi vincolante. Si tratta del concetto di “accomodamento ragionevole” col quale si concede agli Stati di evitare “oneri sproporzionati o eccessivi” nell'attuazione delle misure previste dalla Convenzione apportandovi “adattamenti” a patto che siano “necessari e appropriati”. È esattamente il caso in questione: il Comune ritiene eccessivi gli oneri dell'assistenza scolastica e ne ha modificato il monte ore col placet dei tribunali.

La beffa è che, 18 anni fa, l'accomodamento ragionevole fu inserito nella Convenzione Onu allo scopo di far muovere la politica e le politiche, di evitare che gli enti pubblici tardassero ad attuare le misure per la disabilità giustificandosi con la mancanza di risorse. Era uno sprone a sollevare il piede dal freno. Oggi lo stesso concetto viene usato per il fine opposto, per mettere un freno. Ai diritti.

Associazioni in rivolta: “Pericoloso precedente”

Le associazioni della disabilità sono in rivolta perché temono l'effetto precedente: “Si tratta di un pericoloso precedente non solo per quello che riguarda il diritto all'istruzione degli studenti con disabilità ma per tanti altri sostegni essenziali quali il trasporto, la riabilitazione, le cure. Si certifica che il diritto all'istruzione degli studenti con disabilità vale meno di quello degli altri e le ragioni di bilancio possono essere una scusa per discriminare. Inoltre fa carta straccia del PEI. Sembra più una sentenza politica che giuridica” attacca Fortunato Nicoletti, vicepresidente di “Nessuno è Escluso”, con sedi a Milano e Reggio Emilia. “Sentenza pericolosa. Non riconosce il valore del PEI – commenta Morena Manfreda, dell'associazione Abilità Diverse – e calpesta il valore dell'inclusione”.