Ceccardi e la battaglia al velo: “Dress code per le donne islamiche che vogliono lavorare”

Dopo i manifesti sparsi a Roma sul diritto delle donne islamiche a scoprire il proprio volto, l’europarlamentare della Lega torna sul tema con l’idea del dress code per aiutare l’integrazione e far rispettare la legge italiana. Ma in Italia l’uso del velo è vietato?

di TERESA SCARCELLA
16 marzo 2024
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“Sì, sono pronta a diffondere un 'dress code’ delle donne islamiche per aiutarle concretamente a trovare lavoro. L'occupazione è molto bassa: credo si debba dare un'informazione di quali siano le nostre regole e i nostri costumi per una vera integrazione. Sfido chiunque ad andare ad un colloquio con il passamontagna: non c'è nessuna discriminazione, ma il candidato avrebbe un comportamento non conforme alla legge italiana”. 

Dai manifesti al dress code

Susanna Ceccardi, eurodeputata della Lega, rispondendo ad alcune domande di Klaus Davi durante il suo web talk, è tornata sul tema del velo in Italia dopo la controversa campagna promossa per le strade di Roma, per la quale l’europarlamentare avrebbe addirittura ricevuto minacce di morte. I manifesti, raffiguranti una donna con il niqab, avevano lo scopo – a detta della stessa Ceccardi –  di “rendere consapevoli le donne musulmane che vivono nel nostro Paese del loro diritto alla parità dei sessi, all’autodeterminazione, alla libertà”.

Uno dei poster affissi a Roma
Uno dei poster affissi a Roma

Un tono sorprendentemente femminista, quello dell’esponente leghista, che effettivamente può essere di aiuto per tutte quelle donne musulmane che indossano le varie tipologie di velo per obbligo, più che per scelta personale. Non sorprende, al contrario, l’idea del dress code e il modo in cui viene declinata. Più volte, infatti, la destra si è appellata alla legge italiana parlando di questo tema e Ceccardi non è da meno. Da una parte, con i manifesti appunto, dice alle donne musulmane che non devono sottostare ai loro mariti o ai loro padri, dall’altra però dice che devono sottostare a delle norme. 

"Se le donne musulmane vogliono trovare lavoro in Italia - ha spiegato - non devono avere problemi a patto che rispettino le convenzioni e la legge. Quindi no al burqa perché copre interamente il volto. Lo niqab, che è quello che ho messo nel mio manifesto, copre tutto eccetto gli occhi e non garantisce anch'esso la riconoscibilità. Diverso è il velo che copre soltanto i capelli ed è quello che può essere tollerato dalla legge italiana”.

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Quale legge?

Ad oggi, però, al di là di alcune misure prese nelle singole città, non esiste una legge in Italia che vieti esplicitamente il velo (di qualsiasi tipo). Quella a cui si fa spesso riferimento e che negli anni è stata appunto oggetto di proposte di modifiche (e probabilmente lo sarà fino ad aggiornamenti) è la 152 del 22 maggio 1975. L’articolo 5, per la precisione, dice che:

"È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.

Il niqab e a maggior ragione il burqa rientrano senz’altro tra i mezzi che rendono difficile, se non impossibile, l’identificazione, ma è quell’ultima frase che vanifica tutto: la religione, la cultura e la tradizione, potrebbero essere un giustificato motivo. 

In Europa ci sono già dei precedenti: il Belgio e la Francia, ad esempio, hanno introdotto il divieto del velo nei luoghi pubblici. Non è escluso, anzi è altamente probabile, che anche l’Italia faccia presto un passo verso la stessa direzione.