
Maria Falcone, 'ministero sposti data concorso presidi'
“Sono trascorsi 32 anni ma è come se fosse ieri”. Era il 23 maggio 1992. Erano giorni roventi in Sicilia, e non in termini di meteo. Giovanni Falcone sapeva da tempo di essere nel mirino della mafia, di essere un bersaglio mobile o – per dirla come in quei tempi – “un morto che cammina”. Forse però non si aspettava quell’enorme boato e sicuramente non avrebbe voluto altre vittime.
Invece insieme a lui, quel giorno, morirono: Francesca Morvillo e tre poliziotti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

“Oggi abbiamo un motivo in più per essere soddisfatti perché questo Museo rappresenta la coronazione di tutta l'attività svolta dalla Fondazione in questi trent'anni, resterà qui perenne come una lezione di legalità. Ai ragazzi voglio dire che la mafia è ancora un grosso problema, anche se non uccide continua a fare affari, perché cambia sempre e non muore se non si abbatte sino al centro del suo potere”. Così Maria Falcone, presidente della Fondazione Falcone e sorella del giudice, arrivando a Palazzo Jung in occasione delle celebrazioni del 32esimo anniversario dell'eccidio.

“Sappiamo sicuramente che la mafia lo voleva morto - ha aggiunto - perché il maxi processo era stato per i boss una grande sconfitta. Poi accanto alla mafia ci sono gli interessi convergenti che purtroppo ancora non conosciamo. Io vorrei dire che non c'è niente, che non ci sono poteri dello Stato sotto a quella strage, perché io amo lo Stato italiano e non posso pensare che alcuni nelle istituzioni hanno tramato contro Giovanni”.