“Hanno falsato l’ecografia per non farmi abortire”, la denuncia di Linda Farak

Nota con l’acronimo LNDFK, l’artista ha raccontato il cammino che l’ha portata a interrompere volontariamente la propria gravidanza, tra difficoltà, palesi tentativi di scoraggiarla e un’Italia incapace di accogliere le libertà

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
11 giugno 2024
Il post denuncia di Linda Farak

Il post denuncia di Linda Farak

Artista nota con l’acronimo LNDFK, nata e cresciuta a Napoli, sui social Linda Farak ha raccontato lo strazio che ha dovuto vivere per interrompere una gravidanza non desiderata. Le sue parole sono lame che si conficcano nella carne, che tolgono il fiato. Il fatto risale a tre mesi fa. La storia prende il via con l’amara consapevolezza che, per abortire, molto spesso le donne sono costrette ad andare fuori dalla propria Regione. Un’amara verità che rappresenta solo l’anticamera di un inferno in piena regola.

Il racconto sui social

Tutto, stando alla ricostruzione della donna, è iniziato all’ospedale San Paolo con la visita del primo ginecologo che, dopo averle chiesto se avesse un partner e quale lavoro facesse, nell’ecografia avrebbe calcolato di due settimane in più la gravidanza, invitandola a riflettere sulla possibilità di portarla a termine. Nonostante la chiara volontà della donna di correggere quello che per lei era un errore nel calcolo delle settimane, il medico pare essersi addirittura rifiutato, ritenendo la valutazione corretta. La seconda tappa è stato un medico privato che avrebbe spiegato a Linda che quelli utilizzati in ospedale erano parametri sbagliati, adoperati probabilmente per far sembrare il feto più grande, come Linda documenta con le foto. Il viaggio verso le tenebre e ritorno è passato poi dall’ospedale Cardarelli, dove ha scoperto che i casi di interruzione di gravidanza volontaria verrebbero accettati solo il mercoledì, non essendo presenti negli altri giorni medici non obiettori. Nel suo mercoledì, è venuta a conoscenza del fatto che l’unica strada per lei sarebbe stato l’intervento in anestesia totale: al suo arrivo in ospedale, per la pillola abortiva era ormai troppo tardi. Tra la scortesia generale e l’evidente sanzione sociale di infermieri e medici che non avrebbero fatto nulla per nascondere il disappunto nei confronti della sua scelta, Linda si è avvicinata a grandi passi alla sala operatoria. La vicenda si è conclusa con uno strascico di qualche settimana legato, a detta della musicista, a una somma di negligenze da ricondurre alla condotta del personale sanitario. Un’esperienza talmente tanto terrificante da farle dubitare di prendere nuovamente in considerazione un’interruzione di gravidanza volontaria, qualora se ne palesasse la necessità.

La ricostruzione dei fatti di Linda Farak non lascia spazio a dubbi: scoraggiare l’accesso all’aborto, negando di fatto il diritto di autodeterminarsi, è una pratica tanto silenziosa quanto comune. Raccontarla, darne diffusione, condividere le esperienze vissute è indubbiamente un ottimo modo per tentare di cambiare le cose. In un Paese come il nostro, in cui le incrostazioni di una cultura tutt’altro che progressista sono ancora troppe, serve però molto di più. A farsi seriamente carico di questa battaglia dovrebbe essere la politica tutta, senza sfumature, mettendo da parte interessi elettorali e accomodamenti utilitaristici. L’aborto è un diritto e come tale deve essere garantito. Libere interpretazioni non sono concesse e soprattutto non sono richieste. Quello che ha raccontato Linda è simile a quanto vissuto da tante altre donne negli ospedali d’Italia, come se decidere di sé stesse fosse una colpa. Se un diritto è tale non può essere altro. Quando non viene riconosciuto, viene negato o messo in dubbio, si ha a che fare con qualcosa che va al di là del giusto e dello sbagliato e che, appellandosi al libero arbitrio o, ancor peggio, alla coscienza, si permette di minare dalle fondamenta il concetto profondo di scelta. A estendere il ragionamento, il quadretto dell’Italia felice appare ancora più pittoresco: le donne che decidono di abortire non sono le uniche colpevoli, secondo alcuni. Lo sono anche, ad esempio, quelle che decidono di fare i figli senza un compagno, dovendo rifugiarsi all’estero per raggiungere l’obiettivo. Per non parlare poi delle madri surrogate e delle coppie omogenitoriali. “Non c'è terra, non c'è mare che può spiegare quale mistica attrazione ci tiene qui”, cantava Renato Zero a pochi mesi dagli anni Duemila. A riascoltarlo oggi, suona ancora attualissimo.