Giornata internazionale vittime di tortura, cos'è e perché cade il 26 giugno

Istituita nel 1997 dalle Nazioni Unite per ricordare i diritti umani. Ad oggi sono 173 i paesi che hanno firmato la Convenzione contro questi tipi di trattamenti crudeli

di EDOARDO MARTINI -
26 giugno 2023
Il 26 giugno si celebra la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura (Instagram)

Il 26 giugno si celebra la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura (Instagram)

Oggi, 26 giugno, si celebra la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre 1997 con la risoluzione 52/149. Ha lo scopo di ricordare i diritti umani di ogni individuo di qualsiasi parte del mondo. In Italia, il reato di tortura è stato introdotto nel 2017.
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Questa giornata è stata istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre 1997 con la risoluzione 52/149 (Instagram)

Cosa è il reato di tortura

Questa giornata, spiega l'Onu, è "in vista della totale eradicazione della tortura e dell'effettivo funzionamento della Convenzione contro la tortura e altre Pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (Uncat)".
Come spiega l'articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti: "Il termine 'tortura' indica qualsiasi atto mediante il quale grave dolore o sofferenza, sia fisica che mentale, è intenzionalmente inflitta a una persona per scopi quali ottenere da lui o da terzi informazioni o una confessione". "La persona viene punita per un atto che essa o altri hanno commesso o che si sospetta abbia compiuto, o intimidando o costringendo lui o una terza persona, o per qualsiasi motivo basato su discriminazione di qualsiasi tipo, quando tale dolore o sofferenza è inflitta da o su istigazione di o con il consenso o l'acquiescenza di un pubblico ufficiale o di altra persona che agisce in veste ufficiale". "Non include il dolore o la sofferenza derivanti solo da sanzioni legittime, insiti in esse o ad esse conseguenti".
I paesi che hanno firmato il trattato sono 173, fra cui l'Italia, e secondo l'ultimo rapporto del marzo 2023 della Special Rapporteur dell'Onu sulla tortura, Alice Jill Edwards, sono 108 le Nazioni nel mondo che hanno una legge per punire questo specifico reato.
Fra i firmatari della Convenzione, 10 Stati membri del Consiglio d'Europa non hanno un reato specifico per la tortura nel loro quadro giuridico: Bulgaria, Danimarca, Germania, Islanda, Monaco, Polonia, San Marino, Svezia e Ungheria. In Germania, Svezia e Svizzera la tortura è perseguita come reato universale.
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Lo scopo è quello di ricordare i Diritti Umani di ogni individuo di qualsiasi parte del mondo (Instagram)

La situazione in Italia

E in Italia? Come accennavamo prima, nel nostro Paese il reato di tortura è stato introdotto nel 2017, con la legge 110, ed è contenuto nell'articolo 613 bis (tortura) e 613 ter (istigazione alla tortura) del codice penale.
In particolare, si decise di lavorare a un reato specifico dopo la condanna ricevuta dall'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo in seguito ai fatti del G8 di Genova e, nello specifico, per quanto accaduto nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto.
Le pene prevedono il carcere da 4 a 10 anni, che salgono da 5 a 12 anni se ad aver commesso il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. Se la vittima riporta una lesione personale (lieve o grave), le pene sono aumentate di un terzo. Se la lesione personale è gravissima sono aumentate della metà. Se ne deriva la morte, quale conseguenza non voluta, la pena è la reclusione di 30 anni. Infine, se invece "il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo".
Per quanto riguarda l'aspetto dell'istigazione alla tortura da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio (613 ter), come spiega il sito della Camera, è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni se il soggetto "istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso".
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In Italia, il reato di tortura è stato introdotto nel 2017 (Instagram)

"Il reato di tortura non si tocca"

Anche Amnesty International Italia vuole fare la sua parte in questa giornata così importante. Proprio per questo ha dedicato le proprie azioni a due temi, rispettivamente per scongiurare un pericoloso passo indietro nel diritto interno e per favorire un importante sviluppo nel diritto internazionale.
E' nell'agenda dei lavori della commissione Giustizia del Senato la discussione sul reato di tortura, introdotto nel codice penale nel 2017.
"Sia al Senato che alla Camera sono state presentate proposte, in alcuni casi migliorative e in altri peggiorative, se non semplicemente abrogative, la cui approvazione potrebbe fermare i processi e le indagini in corso", si legge in una nota.
Come ha dichiarato Alba Bonetti, presidente di Amnesty International Italia: "Il parlamento si appresta a parlare del reato di tortura poco dopo le clamorose rivelazioni sui trattamenti inflitti nella questura di Verona a persone private della libertà personale. Questo desta forte preoccupazione, vista l'intenzione mitigatrice, se non del tutto abrogativa, di alcune proposte".
E aggiunge: "Ci sono voluti 29 anni per avere il reato di tortura nel codice penale italiano. Riaprire adesso la discussione è un segnale pessimo, un messaggio in favore dell'impunità. Diciamo chiaro e tondo al parlamento e al governo: il reato di tortura non si tocca!".
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La presidente di Amnesty International Italia, Alba Bonetti (Twitter)

La richiesta di Amnesty International Italia

Sul piano internazionale, l'organizzazione per i diritti umani è impegnata nella promozione di un Trattato internazionale che regoli il commercio delle armi meno letali in dotazione delle forze di polizia impegnate in azioni di ordine pubblico.
Le armi meno letali (come i dispositivi antisommossa, tra i quali manganelli, spray al peperoncino, gas lacrimogeni, granate stordenti, cannoni ad acqua e proiettili di gomma) hanno lo scopo di consentire alle forze di polizia di usare un livello minimo di forza di fronte a un particolare minaccia.
Tuttavia, le ricerche di Amnesty International hanno evidenziato numerosissimi casi in cui tali dotazioni sono state usate in modo illegale, come veri e propri strumenti di tortura, provocando lesioni gravi e persino la morte di manifestanti o persone in stato di fermo.
Attualmente, non esistono normative globali sulla produzione e sul commercio delle armi meno letali.
"Chiediamo un Trattato internazionale che vieti la produzione e il commercio di attrezzature, destinate alle forze di polizia, intrinsecamente atte a violare i diritti umani e sottoponga a rigorosi controlli in materia di diritti umani il commercio delle armi meno letali, destinate all'uso della forza in contesti di ordine pubblico o di custodi", conclude la donna.