Filippo Turetta confessa di aver ucciso Giulia Cecchettin. La scelta delle parole è emblematica

"Ho ucciso la mia fidanzata" sono le prime parole del 22enne sentito sul femminicidio di Giulia Cecchettin. Intanto i genitori sottolineano: "Non siamo una famiglia patriarcale"

di CHIARA CARAVELLI
22 novembre 2023
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"Ho ucciso la mia fidanzata". Sono state queste le prime parole pronunciate da Filippo Turetta davanti agli agenti della polizia tedesca al momento dell’arresto, avvenuto nei giorni scorsi dopo una fuga di quasi mille chilometri iniziata sabato 11 novembre. Quando è stato trovato aveva i vestiti ancora sporchi di sangue: "Ho cercato più volte di farla finita - ha aggiunto dopo aver ammesso di aver ucciso Giulia Cecchettin - ma non ho avuto il coraggio".

L’assassino ha quindi confessato quello che tutti noi già sapevamo fin dal ritrovamento del cadavere della ventiduenne originaria di Vigonovo (in provincia di Venezia). Nei prossimi giorni, anche se ancora non sappiamo la data esatta, tornerà in Italia dopo il nullaosta all’estradizione.

La mobilitazione per Giulia Cecchettin

La morte di Giulia Cecchettin ha particolarmente colpito l’opinione pubblica e riacceso i riflettori sul tema del femminicidio nel nostro Paese. Un tema su cui, purtroppo, c’è ancora tantissimo lavoro da fare. Un fenomeno che è la diretta conseguenza di una società di stampo patriarcale che attribuisce alla donna un ruolo minoritario, che continua da anni a fare leggi che vanno nella direzione di reprimere, mai di prevenire.

 Il senso di possesso confuso per sentimento

E la frase pronunciata da Filippo Turetta nei minuti successivi al suo arresto è una chiarissima e drammatica dimostrazione di quanto il problema sia radicato all’interno della nostra cultura. "Ho ucciso la mia fidanzata". Giulia, nonostante i due si fossero lasciati ad agosto scorso per volontà della giovane, nella testa del suo assassino è ancora qualcosa di ‘suo’. Ed è ancora una "fidanzata", a riprova della non accettazione, anche dopo averla uccisa, della fine di quel rapporto sentimentale.

Siamo davanti alla concretizzazione della cultura del possesso, che vede la donna come qualcosa di appartenente all’uomo e di cui quest’ultimo può farne ciò che vuole. Come nel caso di Giulia, morta a soli 22 anni perché libera, perché pronta a costruire il suo futuro senza Filippo.

La sorella Elena: "Non è un mostro, ma figlio sano del patriarcato"

In questo senso sono emblematiche le parole di Elena Cecchettin, la sorella della vittima: "Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura".

Parole forti, chiare e tremendamente vere. Parole che hanno fatto discutere, tanto, come spesso accade quando qualcuno mette nero su bianco le lacune della nostra società. Filippo Turetta, infatti, non è un mostro. Non è un bravo ragazzo che le faceva i biscotti.

Filippo Turetta è un assassino – l’accusa al momento è di omicidio volontario aggravato dal legame sentimentale pregresso con la vittima, mentre resta ancora da valutare l’aggravante della premeditazione – e deve restare in carcere per la sua pericolosità sociale "evincibile dall’inaudita gravità e manifesta disumanità" che ha mostrato contro la "giovane donna con cui aveva vissuto una relazione sentimentale".

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L'ordinanza di custodia cautelare in carcere

Queste le parole della gip di Venezia, Benedetta Vitolo, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il ventiduenne ritenuto "totalmente incapace di autocontrollo". Tra pochi giorni, l’assassino di Giulia sarà in Italia. Qui, avrà la possibilità di rivedere i suoi genitori, che ancora oggi faticano a darsi una spiegazione di quanto successo.

I genitori: "Non gli abbiamo insegnato a maltrattare le donne"

Dall’altro lato, però, è stato lo stesso Nicola Turetta, padre di Filippo, a respingere fermamente le accuse di essere una famiglia a stampo patriarcale: "Non siamo talebani. Non ho mai insegnato a mio figlio a maltrattare le donne. Ho il massimo rispetto di mia moglie e in casa abbiamo sempre condannato apertamente ogni tipo di violenza di genere. Vederci descrivere ora come una famiglia patriarcale ci addolora molto".

Ma il punto è proprio questo. Nessuno di noi viene educato a essere un assassino, come del resto nessun uomo nasce assassino. Il femminicidio è la punta di una piramide costruita sulla violenza di genere. Una violenza che si manifesta a ogni livello, a partire da quello più basso della comunicazione, con atteggiamenti e comportamenti offensivi nei confronti delle donne che la società e gli stessi uomini ancora non riconoscono come tali.