Adolescence più che una serie tv è un pugno nello stomaco che spiega bene il male intorno a noi

Jamie, tredici anni, una vita normale. Eppure, uccide una coetanea. La miniserie Netflix scava nelle radici della tragedia: manosfera, cultura incel, violenza nascosta. Un viaggio inquietante nel male che si annida nell’ordinario

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
30 marzo 2025
Una scena di "Adolescence", ora su Netflix

Una scena di "Adolescence", ora su Netflix

Cosa porta un tredicenne a uccidere a coltellate una coetanea? È questa la domanda attorno a cui ruota Adolescence, la nuova miniserie evento di Netflix, scritta da Jack Thorne e Stephen Graham e diretta da Philip Barantini. Una serie che non indaga sulle dinamiche dell’omicidio, ma sulle sue motivazioni più profonde, mettendo in scena una realtà spaventosa perché vicina, possibile.

La trama

Al centro della narrazione c’è lui, Jamie, un adolescente che sarà difficile dimenticare. La sua famiglia è un nucleo come tanti: una madre e un padre presenti, una sorella maggiore in partenza per il college, una quotidianità apparentemente normale. Eppure, qualcosa si insinua tra le crepe di questa normalità: un’inquietudine silenziosa, invisibile agli occhi di chi gli sta accanto. Quando il dramma esplode, tutto cambia in un istante.

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Girata interamente in piano sequenza, senza stacchi di montaggio, Adolescence è un pugno nello stomaco. Un viaggio senza respiro nella disperazione di chi si trova di fronte a un evento inconcepibile. Ma la forza della miniserie non sta solo nel suo impatto emotivo: è il suo sguardo sociologico e psicologico a renderla necessaria. Perché Jamie non è un mostro: è un ragazzo immerso in un mondo che lo ha modellato, in un ecosistema digitale e culturale che alimenta la sua visione distorta della realtà.

Il mondo di Jamie

Uno dei meriti più grandi di Adolescence è proprio quello di aver reso visibile l’invisibile: il fenomeno incel e la manosfera, dinamiche che si sviluppano online e che influenzano il modo in cui i ragazzi percepiscono se stessi e le donne. Incel è l’acronimo di involuntary celibates, ovvero uomini che si definiscono casti non per scelta, ma perché rifiutati dalle donne, che vedono come colpevoli del proprio fallimento. Un’ideologia intrisa di rancore e misoginia, che negli ultimi anni ha trovato terreno fertile sul web, alimentata da comunità virtuali tossiche e da una narrazione maschilista sempre più diffusa.

La misoginia e la sconfitta della cultura woke

Negli anni del governo Trump, questi gruppi hanno acquistato ancora più forza, opponendosi alle battaglie femministe e alla cosiddetta cultura woke. Il risultato? Una crescente radicalizzazione, una violenza strisciante che si insinua ovunque, anche nei contesti più insospettabili. E Jamie, nella sua mente distorta, non vede nulla di sbagliato nelle sue azioni. Tutto, per lui, ha una logica. Ed è qui che Adolescence fa davvero male. Perché ci costringe a guardare in faccia una realtà inquietante: la nostra società è sempre più a rischio e si sta facendo troppo poco per proteggerla da questa deriva. La banalità del male si annida ovunque, nascosta sotto strati di apparente normalità.

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Ma come si esce da questo disastro collettivo? La verità è che una risposta netta non c’è. E forse è proprio questo l’aspetto più spaventoso di Adolescence: ci lascia con l’amara consapevolezza che il mondo, dentro e fuori dalla rete, sta prendendo una piega sempre più difficile da decifrare. Le nuove generazioni crescono in un contesto che sfugge a qualsiasi tentativo di controllo, prive di strumenti per interpretare una realtà che cambia troppo in fretta. E mentre i punti di riferimento si sgretolano sotto il peso di scontri ideologici sempre più feroci, resta solo una certezza: le famiglie possono fare molto, ma non tutto. E questa impotenza, alla fine, è ciò che spaventa di più.

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