Si è ritrovata indagata per "falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla identità personale”. In questo caso, l’identità cui si fa riferimento è quella della figlia appena venuta al mondo in Georgia tramite maternità surrogata. Ma la Procura della Repubblica di Piacenza ha chiesto l'archiviazione delle accuse “per particolare tenuità del fatto”. La donna, in pratica, non è punibile.
La storia, riportata sul quotidiano di Piacenza “Libertà”, è quella di una donna emiliana che si è vista al centro di un’indagine per aver avuto una figlia con la maternità surrogata, pratica che il governo italiano vuole far diventare “reato universale”.
A raccontare la disavventura vissuta con il marito è la stessa donna, che decide di parlare nell’eventualità che la sua esperienza possa essere utile per chi, come lei, ha vissuto o sta vivendo tutte le difficoltà (emotive, burocratiche e legali) che comporta il non poter avere figli.
Innumerevoli tentativi andati a vuoto, visite su visite, spesso anche senza risposta, anni di attesa (per loro otto) lungo la strada tortuosa dell’adozione, tantissimi soldi spesi per poi ricevere solo tante porte chiuse in faccia.
A quel punto la maternità surrogata (o gravidanza per altri) rimane l’unica possibilità per alcune coppie che desiderano diventare genitori, ma solo in quei paesi dove questa possibilità viene data.
La coppia in questione ci ha pensato dopo aver visto un servizio alla tv: “Era un'intervista a una donna che per la prima volta parlava della maternità surrogata, raccontando il suo percorso in Ucraina senza pregiudizio" racconta al quotidiano locale.
Lo stesso percorso che poi ha deciso di affrontare lei insieme al marito, in Georgia: dal prelievo dei materiali biologici al trasferimento dell’embrione fecondato. “Le ho detto subito che non volevo sfruttare nessuno” precisa la neo mamma. Da quel momento è iniziata l’attesa, per nove mesi, poi un nuovo viaggio prima del momento del parto, la felicità di tenere in braccio per la prima volta il figlio. Al ritorno, però, la sorpresa amara nella cassetta della posta: un avviso di garanzia. “Convocata dalle forze dell'ordine, mi sono sentita chiamare da certuni 'abominevole’ – racconta la donna – mi sono quindi rivolta a un avvocato specializzato in maternità surrogata, se avessimo pensato di non rispettare la legge non avremmo mai iniziato questo percorso”. Alla fine è infatti arrivata l'archiviazione.