Una tela bianca punteggiata di schegge colorate. È questa la fotografia dall'alto dei campi del
distretto indiano di Beed. Qui
donne coraggiose in sari, abito tradizionale indiano,
lavorano instancabilmente nelle
piantagioni di canna da zucchero durate il
periodo del raccolto (sei mesi all'anno). Il loro
calvario però ha anche un altro nome:
isterectomia. Il
36% delle lavoratrici, infatti,
ha subito un intervento di ablazione dell'utero. Ciò le facilita nella ricerca del lavoro perché le rende
più produttive. Un presupposto fondamentale per
l'India, il
principale Paese produttore ed esportatore di zucchero nel mondo. A mettere in luce questo terribile destino è il reportage "
Le sacrificate dello zucchero" trasmesso dall'emittente
France Television e andato in onda a '
Envoyé Spécial'.
Lavoratrici indiane nelle piantagioni di canna da zucchero
Un calvario chiamato isterectomia
Oltre
un milione di lavoratori, di cui la
metà sono donne, ad inizio ottobre viaggiano verso la
città Beed per trovare impiego nelle coltivazioni di canna da zucchero. Generalmente le donne vengono reclutate dai
'mukadam', ovvero agenti pagati dai proprietari delle piantagioni per far arrivare in loco intere famiglie da impiegare nei campi,
già dall'età di dieci anni. Le condizioni di lavoro sono estremamente dure: sveglia alle 3 di notte, oltre
10 ore nei campi piegati sotto il sole e
un solo giorno di riposo al mese. Durante i sei mesi del raccolto
vivono in tende istallate dai titolari delle fabbriche di zucchero,
senza acqua corrente né luce. Nei campi sono sempre i famigerati 'mukadam' a controllare i lavoratori agricoli e la loro produttività. Sono sempre loro a suggerire alle ragazze e alle donne di procedere a
un'isterectomia totale, con ablazione delle ovaie,
per eliminare dolori mestruali, problemi legati al parto, presentando l'intervento come banale. I medici della regione che eseguono l'operazione invasiva argomentano che così facendo evitano di sviluppare un tumore, in realtà un rischio di gran lunga inferiore per
la salute della donna rispetto alle conseguenze di un'isterectomia, specie se praticata in
giovane età. "Se non tolgono l'utero, è un problema per noi, sono meno produttive. E se hanno un cancro, non servono più a nulla", riferisce a
'Envoyé Spécial' il reclutatore
Jyotiram Andhale precisando che il costo dell'intervento è a loro carico e che durante il ricovero e la convalescenza non vengono pagate.
Donne indiane nelle capanne delle piantagioni di canna da zucchero
Utero rimosso anche alle ragazze di 20 anni
C'è chi ha subito la
rimozione dell'utero a soli
20 anni. Un massacro, che rende il
corpo femminile un guscio vuoto. Togliere ciò che rende donne è il più ignobile dei gesti.
L'isterectomia provoca una
menopausa molto precoce in quanto
blocca la produzione di ormoni e
rende le donne sterili. Così a 30 anni ne dimostrano 50, perché il corpo tende ad appassire prematuramente. In compenso niente più dolori mestruali, né figli, e soprattutto maggiore produttività (che fa solo il bene dei proprietari terrieri) e posto di lavoro assicurato.
Spesso non hanno altra scelta se non quella di cedere alle pressioni dei 'mukadam' per lavorare e riuscire a
sbarcare il lunario con la famiglia, pagando il prezzo più alto proprio sulla propria pelle.
Un lungo calvario, quindi, che inizia proprio dall'operazione e si dipana nei più svariati
soprusi quotidiani. "Il
mukadam ci urla addosso se non lavoriamo abbastanza. Ci picchia molto forte, anche quando stiamo male. Grida ai nostri mariti che non lavoriamo sodo e che tocca rimborsare lo stipendio",
racconta una donna ai giornalisti di
France Television, mentre il marito è impegnato a consegnare in fabbrica le canne appena tagliate che poi verranno lavorate, pronte poi all'esportazione in tutto il mondo. Il sacrificio delle donne racchiuso in una bustina di zucchero.
Il duro sacrificio delle lavoratrici indiane