Iran, due impiccati per blasfemia. Il presidente della Federazione di atletica si dimette

Prosegue la dura repressione, da parte delle autorità, dei dissidenti al regime. Proseguono le proteste nel mondo dello sport

di MARIANNA GRAZI -
8 maggio 2023
condannati

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L'Iran ha eseguito la condanna a morte per due persone ritenute colpevoli di avere insultato l'Islam. Continua, quindi, la durissima politica di repressione del dissenso nei confronti del regime, presentata però come punizione di chi non rispetta i dogmi della tradizione. A dare la notizia dell'ennesima esecuzione è stato il sito della magistratura iraniana Mizan on-line: Sadrollah Fazeli Zarei e Youssef Mehrdad, i due uomini finiti al patibolo, erano stati condannati per avere "insultato il profeta Maometto e... bruciato il Corano" e per questo sono stati impiccati in mattinata. Uno degli accusati, a marzo del 2021 aveva confessato di avere pubblicato sui social insulti all'Islam, aggiunge il sito della Magistratura della Repubblica islamica.

Due impiccati per "Insulto al profeta"

Zarei e Mehrdad erano stati accusati di Sabulnabi, per avere pubblicato sui loro profili social messaggi ritenuti offensivi nei confronti della fede islamica, contro il profeta Maometto, la madre di quest'ultimo e gli imam sciiti, oltre a video che ritraevano il libro sacro, il Corano, bruciato in un rogo. I due uomini giustiziati, che erano già stati arrestati nel maggio del 2020 per poi tornare in libertà per circa un anno, sono morti nelle prigioni di Teheran e di Arak, nell'Iran centrale.
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Il presidente ha imposto il pugno duro nella repressione delle proteste che da mesi insanguinano il Paese

Stando all'agenzia Irna, Youssef Mehrdad, era tornato in carcere nel marzo del 2021 per il reato di "sacrilegio e blasfemia", per avere fondato e guidato 15 gruppi che hanno promosso sui social media insulti contro l'Isla; anche Fazeli Zareh, arrestato a Yasouj nella primavera di due anni fa, era accusato di avere fondato 20 gruppi sulle piattaforme che erano coinvolti in attività di sacrilegio on-line. I due hanno agito in stretta cooperazione tra sé, riuscendo ad aprire questi account grazie all'utilizzo di un numero telefonico iraniano e un numero francese.

La repressione

Alcuni predicatori sciiti avevano pronunciato una fatwa per blasfemia nei loro confronti, che nella Repubblica islamica è punita con la pena di morte. A Teheran e Arak, dove i due sono stati giudicati, erano state arrestate delle persone ritenute loro collaboratori e anche per queste si teme una fine simile. Solo il mese scorso erano stati diffusi i dati sulle condanne nel Paese mediorientale, in cui si evidenziava come le esecuzioni, nel corso del 2022, fossero aumentate del 75% rispetto all'anno precedente. Il trend del 2023, al momento, sembra confermare questo aumento e la Repubblica Islamica si dimostra sempre più uno dei principali ''Stati killer'' al mondo: secondo Iran Human Rights, osservatorio per i diritti umani che ha sede a Oslo, dall'inizio dell'anno il regime ha emesso 203 condanne a morte.
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Human Right denuncia l'Iran come uno dei principali "Stati Killer"

Ma le esecuzioni per blasfemia restano rare: nei casi precedenti a quello odierno, infatti, i condannati precedenti hanno visto la loro pena ridotta da parte delle autorità. Il capo della ong, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato che le esecuzioni hanno messo in luce la "natura medievale" della teocrazia iraniana.

Le dimissioni del presidente della Federazione di atletica

Intanto il mondo dello sport locale continua nella sua silenziosa protesta. Sono tantissime le atlete iraniane che hanno rischiato la vita, hanno subito condanne formali o pene anche fisiche perché, in questi mesi, hanno fatto la loro parte nelle proteste contro le autorità. Come? Gareggiando o mostrandosi pubblicamente, all'estero come all'interno del Paese, senza velo. Probabilmente per paura di possibili ritorsioni il presidente della Federazione di atletica leggera si è dimesso, domenica 7 maggio, dal suo incarico, dopo che alcune donne hanno partecipato ad una competizione sportiva a Shiraz, una delle principali città del sud del Paese, senza indossare l'hijab, obbligatorio per legge negli eventi pubblici. "Hashem Siami si è dimesso a seguito delle polemiche legate a quanto accaduto", ha precisato l'agenzia. Secondo le immagini trasmesse dai media iraniani, venerdì scorso, alcune sportive hanno partecipato alla gara senza il velo islamico. Il fatto è avvenuto dopo l'entrata in vigore, a metà aprile, di un nuovo piano della polizia che inasprisce i controlli nei confronti donne, obbligatorio dalla Rivoluzione islamica del 1979. Il procuratore della provincia di Fars, dove si trova Shiraz, ha annunciato oggi che convocherà gli organizzatori dell'evento per avere "spiegazioni".
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La scacchista iraniana Sara Khadim è stata una delle atlete simbolo delle proteste e dopo essersi mostrata ad una gara senza velo è stata costretta a fuggire dallo Stato (Ansa)

Negli ultimi mesi, sempre più donne si sono presentate senza velo nei luoghi pubblici, soprattutto dopo l'inizio del movimento di protesta scatenato dalla morte a settembre di Mahsa Amini, arrestata per aver violato il rigido codice di abbigliamento.