L'Italia non è un Paese per la
comunità Lgbt+.
Una persona su tre, tra
omosessuali e
bisessuali, è stata
discriminata sul lavoro. E ancora peggio, forse, il fatto che
una persona su cinque abbia subito un'aggressione o abbia vissuto
un clima ostile sul luogo di lavoro. A certificarlo è
la nuova indagine Istat-Unar sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone Lgbt+, anno 2020-2021.
In Italia una persona Lgbt+ su cinque ha subito un'aggressione sul luogo di lavoro (Fonte indagine Istat-Unar, 2020-2021)
L'indagine Istat-Unar è scioccante. Una persona su cinque ritiene che il proprio orientamento sessuale sia stata la causa di
svantaggi lavorativi, sia in termini di
avanzamenti di carriera, sia in termini di
crescita professionale. Nel complesso - l'indagine è stata condotta su oltre 20mila persone residenti in Italia che al primo gennaio 2020 risultavano in
unione civile o già unite civilmente (per sciogliemento dell'unione civile o per decesso del partner) - il 26% delle persone occupate o ex occupate, ovvero più di una persona su quattro, pensa che essere
omosessuale o bisessuale abbia rappresentato uno
svantaggio nel corso della propria vita lavorativa. Nel rapporto è emerso poi che oltre il 20% degli intervistati, una persona su cinque, ha avuto
difficoltà in famiglia dopo aver fatto
coming out.
Una persona su cinque ha subito aggressioni a lavoro
Forse è il dato più grave. Una persona Lgbt+ su cinque dichiara di aver subito un'aggressione o di aver vissuto un clima ostile sul posto di lavoro. E le più penalizzate chi sono?
Le donne. L'incidenza di questi casi infatti è più elevata per le donne (21,5%), sia
lesbiche che
bisessuali, rispetto agli uomini (20,4%),
gay o
bisessuali. La percentuale di questa incidenza cresce tra i
giovani (26,7%), gli
stranieri o
apolidi (24,7%) e le persone che vivono nel
Sud Italia (22,6%). Tra chi, poi, ha deciso di celebrare un'unione civile con il proprio partner, è il 38,2% a lamentare di aver subito, per motivi legati al proprio orientamento sessuale, almeno un episodio di
discriminazione in altri contesti di vita, come ad esempio la ricerca della casa, i rapporti col vicinato, la fruizione dei servizi socio-sanitari, degli uffici pubblici, dei mezzi di trasporto, negozi, o altri locali ancora.
Circa una donna Lgbt+ su due ha subito offese di tipo sessuale (Fonte indagine Istat-Unar, anno 2020-2021)
Una persona su quattro ha subito minacce
Il fenomeno più diffuso tra dipendenti o ex-dipendenti che hanno vissuto un clima ostile a lavoro riguarda più spesso l'essere stati
calunniati,
derisi o aver subito
scherzi pesanti (46,5%), l'essere stati
umiliati o presi a
parolacce (43,9%). L'episodio maggiormente segnalato dagli indipendenti è invece l'aver ricevuto
offese, incluse quelle
di tipo sessuale (45,6%). Anche in questi casi sono le
donne a subire tali offese più di frequente (43,8% contro il 30,3% degli uomini). Inoltre il 23,1% delle persone omosessuali o bisessuali, circa una persona su quattro, dichiara di essere stato
minacciato in forma verbale o scritta, e il 5,3% di aver subito un'aggressione fisica, con incidenze più alte tra gli uomini.
Il 70% delle persone evita di tenersi per mano in pubblico
Le persone Lgbt+ hanno comunicato di aver dovuto cambiare vita o stile di vita per evitare discriminazioni. Il 16,8% degli intervistati, circa una persona su sei, si è
trasferito in un altro quartiere, altro Comune, o all'estero per vivere più tranquillamente la propria omosessualità o bisessualità. Un altro dato agghiacciante è che oltre il
68,2% degli intervistati ha
evitato di tenersi per mano in pubblico con un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato; un comportamento più comune tra gli uomini (69,7%), sebbene anche per le donne la percentuale sia molto elevata (65%). Il 52,7%, più di una persona su due, ha evitato di esprimere il proprio orientamento sessuale per paura di essere aggrediti, minacciati o molestati.
Il 70% delle persone evita di tenersi per mano in pubblico (Fonte indagine Istat-Unar, anno 2020-2021)
Una persona su cinque ha avuto difficoltà in famiglia dopo il coming out
Nella quasi totalità dei casi la famiglia di origine e gli amici delle persone in unione civile o già in unione è a conoscenza dell'attuale orientamento sessuale, ma per alcuni degli intervistati la decisione di renderlo noto (
coming out) ha generato una
reazione negativa da parte dei genitori. La
madre ha mostrato ostilità o rifiuto in più di un quinto dei casi (21,8%), in misura maggiore per le donne (28,8% a fronte del 18,1% degli uomini). Una quota poco meno elevata riguarda la reazione negativa dei
padri (19,8%), con un'incidenza superiore per gli uomini (20,4% contro 18,7%). Infine, quando il
figlio o la
figlia si è unito o si è unita civilmente, la madre e il padre non hanno accolto il partner come parte della famiglia, rispettivamente, nel 4,8% e nel 6,4% dei casi.