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Ivg e legge 194, non va tutto bene: l'ultima relazione del Ministero travolta dalle critiche

di SOFIA FRANCIONI -
14 giugno 2022
Ivg in Italia: i dati sull'aborto

Ivg in Italia: i dati sull'aborto

Il ministero della Salute ha pubblicato l'ultima relazione sull'interruzione volontaria di gravidanza in Italia. I dati si riferiscono al 2020 ma sono "incompleti, parcellizzati, parziali" e restituiscono un'immagine sfocata di quanto avviene nel Paese, dove abortire rimane un percorso a ostacoli. L'onda delle reazioni, annunciata già dall’indagine “Mai Dati!” della docente Chiara Lalli e della giornalista Sonia Montegiove per chiedere di rendere accessibili a tutti i dati sull’Ivg, infatti non si fa attendere.

Cosa dice la relazione 2020 del Ministero della Salute

Dice il Ministero: nel 2020, in Italia, le ivg sono state 66.413, un numero in costante diminuzione (erano 73mila nel 2019) a partire dal 1983, anno in cui si è riscontrato il valore più alto (234.801). Il tasso di abortività, ovvero il numero di Ivg per 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia, rimane tra i valori più bassi a livello internazionale. Le Igv diminuiscono soprattutto tra le giovanissime, mentre i tassi più elevati restano nelle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Per il rilascio della certificazione necessaria alla richiesta di Ivg, anche nel 2020, il ricorso al consultorio familiare si conferma l’opzione più scelta (43,1%), rispetto agli altri servizi (medico di fiducia, servizio ostetrico, altra struttura). Mentre i ginecologi obiettori di coscienza restano il 64,6% (valore in diminuzione rispetto al 67,0% del 2019), gli anestesisti il 44,6% e il personale non medico il 36,2%.

Il tipo di intervento scelto per l'Ivg

Per eseguire una Ivg esistono due tecniche: il metodo farmacologico e il metodo chirurgico.  Nel 2020, secondo la relazione, il 35,1% degli interventi sono stati effettuati con metodo farmacologico: la pillola (RU486) è stata adoperata nel 31,9% dei casi, rispetto al 24,9% del 2019 e al 20,8% del 2018. Riguardo al metodo, persistono ampie differenze regionali: si passa, infatti, dall’1,9% di aborti farmacologici in Molise a oltre il 50% in Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Basilicata.

Le reazioni

"Questo report è imbarazzante. L'unico scopo è continuare a dire che va tutto bene, quando niente è andato bene", sentenzia Rebecca Clementi della pagina Instagram @ivgestobenissimo. "Quella che ci offre il ministero è una narrazione distante dalla realtà della pandemia". Ivg, ho abortito e sto benissimo!, un gruppo di donne e persone Lgbtq+ italiane, insieme all'associazione Obiezione respinta e Non una di meno durante la pandemia hanno creato su Telegram il canale Sos aborto-Covid19 e hanno realizzato una mappa in continuo aggiornamento delle strutture antiabortiste in Italia. "Ogni anno ci troviamo a leggere sempre la stessa zolfa, questo significa solo una cosa: la volontà politica di non cambiare niente".

Legge 194, Mai dati

La docente di storia della medicina Sonia Montegiove e la giornalista e informatica Chiara Lalli

A Maggio alla camera dei deputati è stata presentata una ricerca condotta da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, che sull'aborto mostra dati molto più allarmanti di quelli presentati nella relazione del ministero della Salute. Dalla loro mappa “Obiezione 100” risulta infatti che sono 72 gli ospedali che in Italia hanno tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza: 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e Oss e 18 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori. Mentre sono 46 le strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80%. A livello regionale, sono 11 le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. Le promotrici dell'indagini, insieme all'Associazione Luca Coscioni, chiedono che le strutture ospedaliere italiane forniscano dati aperti sull'ivg. "Solo se i dati sono aperti sono utili e ci offrono informazione e conoscenza. Solo se i dati sono aperti hanno davvero un significato e permettono alle donne di scegliere in quale ospedale andare, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta", concludono.