“Sono stanca e sono arrabbiata: voglio lavorare ma nessuno mi chiama nemmeno per un colloquio. Ho mandato centinaia di curriculum negli ultimi due anni, ma nessuna risposta”. Sembra, purtroppo, uno sfogo comune a tante ragazze e ragazzi che, usciti dalla scuola o dall'università, titolo alla mano, si affacciano in un mondo del lavoro difficile e spesso ostile. Ma Ludovica Billi , 27enne toscana 'esportata' a Milano, già conosciuta sulle nostre pagine grazie al progetto The Deaf Soul – insieme alla compagna (e futura sposa) Chiara Buccello –, racconta la sua personale esperienza che vede un ostacolo in più sul suo percorso : la sordità . O meglio come questa è considerata dalle aziende, che evidenziano offerte per le categorie protette per poi 'scansare' tutte le candidature che arrivano.
“Le persone con disabilità, infatti, si trovano spesso a dover affrontare ostacoli invisibili nel mondo del lavoro . La sordità non deve essere vista come un limite, ma come un'opportunità per arricchire il panorama professionale con nuove prospettive”.
Come mai questo sfogo?
“È una parte del mio percorso che, purtroppo, non viene spesso raccontata. Nonostante le mie competenze, la passione per quello che faccio e l'impegno quotidiano, mi sono trovata tante volte di fronte a porte chiuse, senza che venisse mai preso in considerazione il mio valore e la mia professionalità. Perché sono a casa, demoralizzata; ultimamente ho fatto una lunga riflessione e non mi piace fare vittimismo ma sono ferma da troppo tempo. Io persona, giovane, che voglio lavorare non vengo chiamata a causa della mia disabilità. E mi arrabbio perché poi si dice che i giovani non vogliono lavorare, ma allora c'è qualcosa che non torna…”.
Quando è iniziata questa situazione?
“Durante il mio primo corso di laurea avevo l'obbligo di fare un tirocinio e non è stato un problema, essendo una cosa correlata università-lavoro e temporanea, finalizzata a fare esperienza. Poi durante il master a Milano ho fatto la stessa cosa, ho lavorato in un'azienda come stagista ed è andato tutto bene, non c'era il dilemma delle categorie protette. Ma una volta che mi sono laureata è iniziato il problema”.
Insomma, come tutte le ragazze e ragazzi neo laureati: mandare il curriculum nel suo caso non ha portato a nulla?
“Non so quanti ne ho mandati, su Linkedin e gli altri siti, ma da due anni a questa parte non mi ha mai risposto nessuno. Così nel 2023, stavo vivendo un periodo di forte rabbia con me stessa e col mondo, decisi di fare una storia parlata da mettere sui social, dove raccontavo le mie frustrazioni come ragazza sorda e le difficoltà a trovare lavoro. Quel video è stato visto da tantissime persone e una ragazza mi ha scritto: 'Io lavoro in un'azienda, sono una persona con disabilità (lei è in carrozzina, ndr ) e posso sentire se ha qualche ruolo aperto'”.
Com'è andata?
“Bene, dopo una lunga chiacchierata quest’azienda mi ha assunta. Ma non è tutto bello come sembra. La cosa che mi ha fatto rabbia è che ho dovuto vomitare la mia frustrazione, quasi il vittimismo, per attirare l’attenzione e questa cosa non mi piace. Io l’ho fatto per sfogo, perché sul mio profilo social pubblico non solo cose divertenti ma anche questo. Qui ho lavorato 10/11 mesi ma mi trovavo male a livello sociale: nonostante i miei colleghi abbiano capito come comportarsi con una persona sorda, avevo un problema nel rispettare gli orari dello smartworking e della presenza. Ci sono stati dei giorni in cui io sarei dovuta essere presente in ufficio ma non sono andata, perché oltre alla sordità avevo e ho tuttora altre patologie, tra cui la problemi alla tiroide e la celiachia. Ho delle esenzioni e dei certificati che attestano che si tratta di malattie croniche. Quindi mi sono licenziata perché sapevo che c’erano problemi perché non rispettavo la presenza e lavoravo più spesso da casa e questo mi ha provocato molta ansia. Sono arrivata all’esaurimento mentale e ho detto basta”.
Poi cos’ha fatto?
“Dopodiché è passata l’estate in cui sono stata ferma, a settembre ho ricominciato a mandare candidature e a rimettermi in gioco, mandando curriculum su curriculum in tutti gli annunci con scritto “categoria protetta”. Ne ho mandati talmente tanti… Potrei capire 2/3 candidature ma ne avrò inviate duecento. Nessuno risponde mai, non sono riuscita a fare nemmeno un colloquio. Da una parte è stancante, dall’altra mi fa rabbia perché le aziende si focalizzano comunque sul ciò che la persona con disabilità non sa fare o non può, mettendolo davanti alle competenze. Nonostante io abbia due lauree, sia preparata”.
Si focalizzano sulla disabilità invece che valorizzare la capacità della persona?
“Esatto. E sono veramente stanca di questa situazione. Parlando con amici, ho una community abbastanza ampia di persone sorde, anche la maggior parte di loro ha avuto esperienze così. E sulle piattaforma c’è tra i miei topi il lavoro e anche lì leggo esperienze di uomini e donne sorde che non riescono a trovare lavoro, che hanno mandato candidature per annunci specifici di categorie protette, per qualsiasi ruolo, e vengono rifiutate. Da una parte mi sento arrabbiata, perché le aziende scrivendo categorie protette si sentono tutelate ma poi non assumono. Ho visto ad esempio che solo in Lombardia sono stati pagati 76 milioni di euro in ‘multe’ per questo, quindi questo ti fa capire che sono le aziende a porre il problema”.
Come vive a Milano, che sappiamo essere una città con un costo della vita molto alto?
“Diciamo che tento di sopravvivere. Ultimamente, ed è brutto da dire, sto tirando avanti grazie alla pensione (di invalidità, ndr), ma io vorrei essere indipendente a tutto tondo, fare una vita come tutti gli altri. Avere un lavoro che mi porti alla crescita personale”.
E come passa le sue giornate?
“Di fatto il mio lavoro ogni giorno è mandare curriculum. Mi sveglio al mattino, faccio colazione, apro il computer e sto fissa su Linkedin, Indeed e altri siti dove ci sono annunci di lavoro. E a volte mi sento anche obbligata a mandare candidature in ruoli dove non ho molta esperienza, nonostante io sia una grafica e abbia lavorato nel mondo della comunicazione de del marketing”.
Tra l’altro lavori molto richiesti e cercati in questo periodo…
“Eh capisci, e invece… Infatti due anni fa ero a Torino a fare una presentazione del mio libro (‘Facciamo rumore’, scritto con la compagna Chiara Buccella, ndr) e ho incontrato una mia ex collega che frequentava la mia stessa università a Milano, ci siamo fatte una chiacchierata. Le ho chiesto notizie anche sugli altri compagni di corso e mi ha detto che tutti lavorano. Mi sono sentita mortificata, umiliata, perché io sono l’unica che non lavora”.
C’è uno stereotipo forte legato alla disabilità nel mondo del lavoro?
“Ci dimentichiamo che siamo persone, non disabilità. Io vorrei far capire alle aziende che assumere una persona con disabilità non lo si fa per obbligo morale ma perché sono persone, come le altre, da vedere con un’altra prospettiva e non focalizzandosi sulla disabilità. Potrebbero essere straordinarie, potrebbero portare grandi risultati per l’azienda, ma per questa spesso appaiono come un costo o come una difficoltà, se non come una perdita di tempo, pensando che si tratti di persone che sono lì a prendere lo stipendio senza fare niente”.
Una volta superata la difficoltà per entrare poi ci sono ulteriori discriminazioni/difficoltà come ci raccontava…
“Ho sentito da persone sorde che comunque i loro stipendi sono molto più bassi di quelli normali, un’ulteriore forma di disuguaglianza. Questo dimostra ancora una volta quanto ci sia bisogno di un cambiamento vero e proprio nella cultura del lavoro, per sensibilizzare su quanto sia importante garantire a tutti, indipendentemente dalla loro condizione, pari opportunità nel mondo del lavoro”.
Cosa sono le “categorie protette”
La legge 68/1999 identifica specifiche categorie di persone per le quali prevede specifiche agevolazioni nell’inserimento lavorativo. Gli appartenenti alle categorie protette sono suddivise in “disabili” e “altre categorie”.
Questa norma è stata pensata per evitare qualsiasi tipo di discriminazione sul luogo di lavoro delle persone con disabilità o con condizioni di salute psicofisica particolari. La legge regola l’assunzione e l’impiego nelle aziende italiane di questi dipendenti che, tramite un attestato che certifica il diritto di appartenere alle categorie protette, hanno accesso a una graduatoria per il collocamento mirato.
In base alle dimensioni delle aziende italiane queste hanno l'obbligo di assumere almeno un dipendente che rientri in questa categoria, altrimenti, nel caso di mancata assunzione di questi dipendenti delle categorie protette, l'azienda andrà incontro a sanzioni amministrative e pecuniarie che possono spingersi fino a 50mila euro l'anno.