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Il "Dopo di noi" dovrebbe garantire autonomia alle persone con disabilità, anche quando i genitori non possono più occuparsi di loro
Nulla può spiegare la protesta di associazioni e famiglie contro la decisione del Governo di rinviare al 2027 l’attuazione della legge delega sulla disabilità meglio del racconto delle condizioni nelle quali versa attualmente quel diritto alla vita autonoma che proprio la legge delega prometteva di rendere concreto e che è parte indispensabile e inscindibile del “Dopo di noi” (cioè la legge 112 del 2016 che dovrebbe istituire specifiche tutele per le persone con gravi disabilità quando viene meno il sostegno familiare).
Non è che il progetto di vita personalizzato oggi non possa essere chiesto. Ma ha dello straordinario che sia riconosciuto e del miracoloso che sia riconosciuto come si deve, cioè che si stende un progetto che tenda davvero all’emancipazione della persona con disabilità e contempli una dimensione di autonomia del tutto fondamentale, soprattutto quando i genitori vengono a mancare: la casa, la possibilità di una casa “propria“ per la persona con disabilità, quali che siano le sue capacità e i suoi limiti.
Carenze strutturali: il caso di Roma
Il caso di Roma è emblematico: carenza di fondi dallo Stato, carenza di alloggi in città, mancanza di accordi e protocolli efficaci per reperirne da privati o nell’edilizia pubblica, lunghe liste d’attesa per l’ammissione ai progetti che si aggiungono alle altrettanto lunghe liste d’attesa per accedere a servizi troppo spesso standardizzati quali i centri diurni. Infine la carenza di professionisti del sociosanitario che possano seguire chi sta percorrendo la strada dell’uscita dalla famiglia di appartenenza, evitando che si finisca col gravare proprio sui genitori e riducendo, così, la portata e il senso stesso del progetto di vita.
Non bastasse ancora, ecco il blocco dei bandi per il Dopo di noi scattato, a Roma, nel 2021 soprattutto per la già menzionata mancanza di fondi: nella capitale sono ormai 4 anni che non si lancia un avviso pubblico sul Dopo di noi, da qui il tentativo del Comune di aprire le domande a sportello. Questi i problemi che fanno di Roma un caso emblematico, un caso eclatante ma tutt’altro che isolato. Problemi messi in fila insieme ai rappresentanti di alcune Consulte della Disabilità e ad alcune famiglie.

“È difficile guardare al domani”
“Per noi genitori di adolescenti con disabilità è davvero difficile guardare al domani con fiducia – confessa Mariella Tarquini, presidente della Consulta dell’ottava Municipio e di Rete SupeRare –: chi si prenderà cura dei nostri figli quando non ci saremo più? Eppure la legge sul Dopo di noi, all’interno di quel progetto di vita individualizzato e partecipato, avrebbe dovuto garantire alle persone con disabilità grave tutti i sostegni necessari per il giorno in cui verrà meno la famiglia, ma così non è, non ancora. E noi genitori abbiamo sempre lo stesso ultimo pensiero della sera: che succederà quando non ci sarò più?”.
Il problema dei fondi
I fondi innanzitutto. Il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma ha stimato che solo per dare “piena attuazione” ai progetti del Dopo di noi attualmente in corso, quindi senza avviarne di nuovi, occorrano 10 milioni di euro all’anno per i prossimi tre anni. Ma il fondo che il Comune riceve annualmente dallo Stato è di 3.7 milioni.
Nel 2025 questo fabbisogno è coperto quasi per intero: la somma dei fondi regionali e dei residui non spesi nelle annualità precedenti fa sì che manchino “solo“ 1,5 milioni. Quanto al 2026, invece, mancano 5,3 milioni di euro: più della metà del fabbisogno. Nel 2027 andrà pure peggio: il saldo tra le necessità di spesa e i fondi disponibili sarà negativo per 6,3 milioni.
I soldi per scarpe, i soldi per la vita
“La carenza di fondi è tale che a mia figlia non restano nemmeno i soldi per comprarsi le scarpe nuove perché le spese per la residenzialità assorbono tutto. E molte sono, già oggi, le spese che noi affrontiamo come famiglia”, racconta Gabriella Schinà, madre di una quarantenne con disabilità presidente della Consulta del XII Municipio. “E allora – aggiunge – mi chiedo quale qualità della vita venga garantita a chi ha intrapreso un percorso di emancipazione. Mia figlia ha iniziato un progetto di vita autonomo quando aveva 23 anni ma ora, a 5 anni dall’adesione alla 112 (Dopo di noi ndr), il risultato è fallimentare”.
“La 112 è fallita perché non riesce a dare risposte concrete a chi ha condizioni di disabilità gravi. E i fondi a disposizione non bastano a coprire il bisogno – spiega Loredana Fiorini, presidente della onlus Hermes –. Per questo noi abbiamo deciso di trasformarci da associazione in Fondazione e mettere risorse nostre, altrimenti non ce la si fa”.
“Il primo problema – insiste Brunella Poli – è la mancanza di risorse. E se la civiltà di un Paese si misura dalla capacità di prendersi cura dei più fragili, dei nostri figli, non siamo un Paese civile. Io non voglio fare la caregiver a vita”.
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44 appartamenti per 700 richieste
Quindi la questione della residenzialità, degli alloggi da destinare al Dopo di noi. Stando all’elenco del patrimonio immobiliare solidale pubblicato dalla Regione Lazio, gli appartamenti che possono essere messi a disposizione delle persone con disabilità sono 44 in tutta Roma. Sì, 44 in una città che conta 2,8 milioni di abitanti, almeno 200mila con disabilità, e oltre 700 richieste di accesso al “Dopo di noi“, dato peraltro fermo a 4 anni fa. E si tratta di alloggi messi a disposizione da onlus, nella maggioranza dei casi, o famiglie.
Nessun contributo dalle aziende dell’edilizia pubblica, che pure contano almeno 600 appartamenti vuoti, senza contare quelli occupati abusivamente: uno su 5 a Roma. In realtà basterebbe un solo dato per restituire la gravità della situazione: nella capitale sono in corso 560 progetti relativi al Dopo di noi, ma quelli nei quali la persona con disabilità è già stata inserita in percorsi di residenzialità extra-famigliare sono nell’ordine di qualche decina. In tutti gli altri casi la soluzione abitativa autonoma e la contestuale uscita dal nucleo famigliare è ancora solo sulla carta.
Per l’esattezza, le persone che a Roma hanno fatto richiesta di accedere agli interventi finanziati col fondo Dopo di noi, nell’ambito dell’ultimo bando, unite a quelle che hanno chiesto la prosecuzione degli interventi, sono state 749. Di queste 744 sono risultate idonee e quelle che hanno effettivamente iniziato un percorso, o che si sono viste rinnovare il percorso intrapreso, sono 560. Un numero in cui rientra anche chi sperimenta la vita autonoma solo pochi giorni al mese.
“Il problema degli alloggi è centrale – segnala Fiorella Puglia, sindacalista della Cgil –: ce ne sono parecchi vuoti ma preferiscono non darli alle persone con disabilità. Così non restano che gli alloggi-palestra”, vale a dire gli alloggi dove è possibile prepararsi al Dopo di noi, sperimentandolo, appunto, qualche giorno alla settimana o al mese, a seconda dei casi. “Attraverso leggi ad hoc bisogna incentivare gli enti e i privati a mettere a disposizioni appartamenti perché oggi sono soprattutto le famiglie a metterne” sottolinea Giuseppe Fotino, prima di rimarcare un altro aspetto: “Manca pure il budget per il trasporto alle visite e agli esami: come se la vita autonoma, per chi ha disabilità, si risolva nel mangiare e dormire in una casa propria”.
E poi ci sono le liste d’attesa
Le liste d’attesa, poi. “I miei figli sono entrambi in sedia a rotelle ed entrambi in lista d’attesa per il Dopo di noi dal 2020 – fa sapere Francesca De Mieri insegnante di sostegno –. Io sono sola. Soprattutto la sera dalle 19.30 in avanti e nel fine settimana sono la sola che possa seguirli”.
“Abbiamo fatto domanda per i centri diurni da anni, ben prima della fine della scuola– racconta a sua volta Caterina Moro, madre di un ragazzo autistico grave – ma sta iniziando l’inserimento solo adesso. È assolutamente necessario che i progetti di autonomia abbiano inizio quando i nostri figli sono ancora giovani e quando noi genitori siamo ancora in forze per seguirli adeguatamente. I nostri ragazzi hanno tutto il diritto di vivere come i loro coetanei, nessuno vuole vivere tutta la vita in casa coi genitori, proprio nessuno”.
Progetti a intermittenza
Altre volte il tema è la durata dei progetti: «Nel caso di mio figlio, un uomo di 43 anni nello spettro autistico, non verbale, il progetto del Dopo di noi si è chiuso dopo appena un anno – testimonia Maria Grazia Pessina, presidente della Consulta del terzo Municipio –. Avevamo ottenuto che fosse attivato nella cooperativa che mio figlio frequenta da 30 anni, ma è stato interrotto, la cooperativa non opera sul nostro territorio e quindi non ci sono fondi”.
Stefano Saponaro, papà di Matteo, 24enne nello spettro autistico, fatica a raccontare, ha la voce rotta da emozioni alle quali lui solo può dare un nome: “Vivo da solo con Matteo, il centro diurno chiama quasi ogni giorno perché io vada a riprenderlo prima del tempo. Non riescono a gestirlo. È un ragazzo intelligente, Matteo. Ma per lui, al momento, non vedo possibilità di un progetto di vita concreto. Le proposte di residenzialità che mi sono state avanzate finora sono tutte inadeguate”.
“L’obiettivo della vita indipendente e del Dopo di noi era quello di de-istituzionalizzare, di condurre le persone con disabilità fuori dagli istituti. Ma questo non sta accadendo” conclude Cinzia Carboni. In questo contesto è caduta la scelta del Governo di rinviare al 2027 la legge delega sulla disabilità.