Chi commette molestie sessuali in università resta spesso impunito. E c’è un motivo

Dal caso di Bari ai dati allarmanti degli atenei italiani: il sessismo accademico è una realtà più diffusa di quando crediamo. Servono misure concrete per proteggere chi denuncia e cambiare la cultura del potere

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
2 marzo 2025
Uno studio recente ha evidenziato che il 22 per cento delle molestie subite nelle università italiane proviene dai docenti

Uno studio recente ha evidenziato che il 22 per cento delle molestie subite nelle università italiane proviene dai docenti

Se ne è parlato molto nei giorni scorsi e, alla fine, è scivolata via come una delle tante notizie destinate a fare scalpore sul momento per poi finire colpevolmente nell’oblio. Stiamo parlando della vicenda della studentessa di Medicina dell’Università di Bari che ha denunciato un medico per molestie durante il tirocinio. Un episodio tutt’altro che isolato, che evidenzia in modo lampante un problema strutturale della società italiana. Sempre pochi giorni fa, il primario di Rianimazione dell’ospedale di Pavia è stato destituito dall’Università a seguito delle accuse di molestie da parte di 11 specializzande.

Ma torniamo a Bari. Secondo il racconto della giovane, l’uomo, in un contesto professionale e accademico, ha oltrepassato ogni limite, pronunciando frasi ambigue e inappropriate come “di notte sogno i tuoi occhi”, creando un ambiente ostile e insicuro. Il disagio è stato tale da spingerla ad abbandonare il reparto, nonostante il tirocinio fosse un passaggio obbligato per conseguire la laurea. Una decisione che si somma a tante altre di chi, per evitare lo scontro con un sistema ancora impreparato a tutelare le vittime, preferisce sparire piuttosto che affrontare il peso di una denuncia.

Fortunatamente, l’associazione studentesca Udu-Link Bari ha deciso di esporsi pubblicamente, denunciando l’accaduto sui social e segnalando il caso all’Università, chiedendo la rimozione del medico dall’elenco dei professionisti con cui è possibile effettuare i tirocini. Al momento, dall’Ateneo non giungono notizie ufficiali, anche se le indagini interne sono in corso. 

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Dinamiche di potere e sessismo

Le università italiane sono spesso teatro di dinamiche di potere in cui il sessismo si insinua con sottigliezza o con prepotenza, trasformando quello che dovrebbe essere uno spazio di crescita e formazione in un ambiente pericoloso per molte studentesse.

Solo pochi mesi fa, la consigliera di fiducia dell’Università di Torino, analizzando le segnalazioni ricevute nel dipartimento di Filosofia, ha evidenziato che il 13% riguarda molestie in senso ampio, con 3-4 casi all’anno classificabili come violenza sessuale. E sono numeri che non raccontano tutto: la maggior parte delle molestie non viene denunciata per paura di ritorsioni, per vergogna o per quel senso di colpa che spesso viene instillato nelle vittime. I dati reali, dunque, sono probabilmente molto più alti di quelli ufficiali.

I dati sulle molestie in università

Trattarli come casi isolati è un errore. Serve un ragionamento sistemico, che parta dal riconoscimento della gravità del problema. Le molestie nelle università spesso hanno il volto dell’autorità accademica: docenti, supervisori, tutor che sfruttano il proprio ruolo per oltrepassare i confini dell’etica e della professionalità.

Uno studio recente ha evidenziato che il 22 per cento delle molestie subite nelle università italiane proviene dai docenti, mentre un altro 12 per cento coinvolge il personale tecnico e amministrativo. Non solo, un sondaggio anonimo dell’Università Statale di Milano sottoposto a 5.244 persone ha rilevato 218 casi di molestie sessuali212 tentate molestie sessuali, tra palpate, carezze, baci o contatti con zone erogene, e 347 episodi di stalking.

I dati dello studio della Statale
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La questione riguarda tutti

Eppure, questi numeri sembrano non bastare per far scattare un allarme collettivo. I codici etici degli atenei si rivelano insufficienti, privi di strumenti reali di deterrenza o di protezione per chi denuncia. E allora la soluzione non può essere limitata alla repressione episodica di singoli casi: serve un cambiamento culturale profondo. Bisogna partire dall’educazione alla parità e dal superamento degli stereotipi di genere già nelle scuole.

È necessaria una formazione specifica per chi lavora nei contesti accademici, affinché sappia riconoscere e prevenire gli abusi di potere. Soprattutto, le università devono assumersi la responsabilità di creare spazi sicuri, attivando strumenti concreti di supporto per chi denuncia.

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Donne invisibilizzate

La violenza di genere nelle università non è un problema privato delle singole vittime, ma una questione politica e sociale. Riguarda la libertà delle studentesse di vivere il proprio percorso di studi senza paura, di accedere alla conoscenza senza dover pagare il prezzo di un sistema che ancora troppe volte lascia impuniti i colpevoli e inascoltate – se non addirittura invisibilizzate – le vittime. Se vogliamo che il sapere sia davvero uno strumento di emancipazione, dobbiamo riconoscere le dinamiche di potere che lo attraversano e impegnarci, collettivamente, per cambiarle.