Una donna stava cucinando nella sua casa, a Gaza, quando un missile ha colpito la sua abitazione seppellendola tra le macerie e scatenando un parto prematuro. Questo accadeva a fine novembre, un mese e mezzo dopo l'attacco di Hamas e dall'inizio del conflitto con Israele. In poco più di un mese, dal 7 ottobre, sono stati uccisi oltre 11.000 palestinesi nella Striscia di Gaza, il 70% dei quali erano donne e bambini. Un allarme che diventa ogni giorno più grave: senza ospedali funzionanti, le donne incinta saranno a rischio ancora maggiore.
Sondos, questo il nome della donna che ha dato alla luce il suo bambino tra i resti della sua casa distrutta da un attacco aereo, era solo una delle circa 50.000 donne che portano avanti gravidanze in città. Ogni giorno, infatti, stando alle statistiche, ci sarebbero circa 180 parti, la gran parte prematuri o a rischio. Molte di loro, come testimonia l'Organizzazione mondiale della sanità, sono infatti costrette a partorire in strutture strapiene, con condizioni igieniche precarie e senza ricevere le cure necessarie. In alcuni casi, alle gestanti non viene somministrata anestesia per cesarei o antidolorifici durante il travaglio.
Il reportage dall'ospedale di al-Shifa
Lo dimostrano, ad esempio, le immagini che il sito di informazione AJ Plus ha filmato all'interno del reparto maternità dell'ospedale al-Shifa a Gaza, prima che le forze israeliane facessero irruzione nell'ospedale, a partire dal 14 novembre scorso. Trasformando quel luogo di cura in un vero e proprio cimitero. Prima di quel momento la situazione non era certo sicura: neonati adagiati sui tavoli operatori o sui letti in reparto perché non c'erano abbastanza culle, e si tratta di quelli che se la passavano meglio, se così si può dire. "I prematuri vengono avvolti in fogli di alluminio e coperte per evitare l'ipotermia. Quando la temperatura scende anche solo di un grado il rischio di mortalità per questi bambini sale del 23%", spiegava un medico dell'ospedale. Poi i reparti di maternità e pediatria hanno iniziato ad essere ogni giorno sotto attacco da parte di soldati che sparavano addirittura al personale attraverso le finestre della struttura, come precisava il dottor Mads Gilbert, che ha lavorato 16 anni ad al-Shifa. Non risparmiando nemmeno le terapie intensive neonatali. Un dramma che si rispecchia nei volti di centinaia e centinaia di neo mamme e future mamme, che vedevano spegnersi ora dopo ora la speranza di proteggere i loro bambini, nelle grida di chi stringeva a sé il proprio neonato morto ancora prima di scoprire cosa significasse, davvero, la vita.Visualizza questo post su Instagram