L'inferno a Gaza: donne incinta costrette a partorire tra le macerie

Ospedali sovraffollati e carenza di risorse ogni giorno più grave. Msf: "50mila donne non hanno cure per sé e per i figli"

di CAMILLA PRATO
1 febbraio 2024
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Una donna stava cucinando nella sua casa, a Gaza, quando un missile ha colpito la sua abitazione seppellendola tra le macerie e scatenando un parto prematuro. Questo accadeva a fine novembre, un mese e mezzo dopo l'attacco di Hamas e dall'inizio del conflitto con Israele. In poco più di un mese, dal 7 ottobre, sono stati uccisi oltre 11.000 palestinesi nella Striscia di Gaza, il 70% dei quali erano donne e bambini. Un allarme che diventa ogni giorno più grave: senza ospedali funzionanti, le donne incinta saranno a rischio ancora maggiore.
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Donne e bambini della striscia di Gaza sono quelli più colpiti

Sondos, questo il nome della donna che ha dato alla luce il suo bambino tra i resti della sua casa distrutta da un attacco aereo, era solo una delle circa 50.000 donne che portano avanti gravidanze in città. Ogni giorno, infatti, stando alle statistiche, ci sarebbero circa 180 parti, la gran parte prematuri o a rischio. Molte di loro, come testimonia l'Organizzazione mondiale della sanità, sono infatti costrette a partorire in strutture strapiene, con condizioni igieniche precarie e senza ricevere le cure necessarie. In alcuni casi, alle gestanti non viene somministrata anestesia per cesarei o antidolorifici durante il travaglio.

Il reportage dall'ospedale di al-Shifa

 
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Lo dimostrano, ad esempio, le immagini che il sito di informazione AJ Plus ha filmato all'interno del reparto maternità dell'ospedale al-Shifa a Gaza, prima che le forze israeliane facessero irruzione nell'ospedale, a partire dal 14 novembre scorso. Trasformando quel luogo di cura in un vero e proprio cimitero. Prima di quel momento la situazione non era certo sicura: neonati adagiati sui tavoli operatori o sui letti in reparto perché non c'erano abbastanza culle, e si tratta di quelli che se la passavano meglio, se così si può dire. "I prematuri vengono avvolti in fogli di alluminio e coperte per evitare l'ipotermia. Quando la temperatura scende anche solo di un grado il rischio di mortalità per questi bambini sale del 23%", spiegava un medico dell'ospedale. Poi i reparti di maternità e pediatria hanno iniziato ad essere ogni giorno sotto attacco da parte di soldati che sparavano addirittura al personale attraverso le finestre della struttura, come precisava il dottor Mads Gilbert, che ha lavorato 16 anni ad al-Shifa. Non risparmiando nemmeno le terapie intensive neonatali.
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Una bambina in mezzo a quel che resta dell'ospedale di al-Shifa dopo l'attacco israeliano (Unicef)

Un dramma che si rispecchia nei volti di centinaia e centinaia di neo mamme e future mamme, che vedevano spegnersi ora dopo ora la speranza di proteggere i loro bambini, nelle grida di chi stringeva a sé il proprio neonato morto ancora prima di scoprire cosa significasse, davvero, la vita.

Diventare madri a Gaza: una sfida quotidiana

Sono passate altre settimane, sono passati mesi. Ma per le partorienti e i loro figli accedere alle cure mediche pre e post-natali a Gaza, sotto il fuoco incrociato dei militari israeliani e dei militanti di Hamas, oggi è sempre più difficile. L'ospedale emiratino di maternità, fa sapere l'ong Medici Senza Frontiere, è l'unica struttura rimasta nell'area di Rafah, nel sud della striscia, per assistere le gestanti, anche se a causa della continua crescita dei bisogni della popolazione e una grave carenza di risorse, è ora in grado di occuparsi solo dei parti più a rischio e urgenti. Per il resto delle cittadine e future mamme le possibilità di portare al termine la gravidanza e di partorire in sicurezza sono affidate al caso, in un clima di ostilità e rischio sempre più preoccupante. "Con così tante persone sfollate, la situazione a Rafah è spaventosa – dichiara Pascale Coissard, coordinatrice dell'emergenza di Msf a Gaza –. Tutti gli spazi sono sovraffollati, con i civili costretti a vivere in tende, scuole e ospedali (dato che le loro case non esistono più o sono state danneggiate dai bombardamenti, ndr). L'ospedale emiratino sta attualmente affrontando tre volte il numero di parti che gestiva prima della guerra", aggiunge.

Una coppie di donne a Gaza. Sullo sfondo le macerie delle case e degli edifici pubblici distrutti

Nessuna cura per mesi

Secondo l'Unicef sono circa 20.000 i bambini nati dall'inizio del conflitto. A causa della crisi umanitaria in corso - con i servizi sanitari primari inaccessibili e l'impossibilità di raggiungere le cliniche per mancanza di carburante, oltre che la scarsa capacità delle strutture sanitarie ancora funzionanti - le donne in gravidanza a Gaza non hanno avuto accesso ai controlli medici per mesi. Molte sono costrette a partorire in tende di plastica o in edifici pubblici. Chi riesce a farlo in un ospedale, spesso ritorna nel proprio rifugio di fortuna qualche ora dopo aver subito un parto cesareo (anche senza anestesia). Per ridurre il rischio di malattie e mortalità tra le madri e i bambini, Msf supporta l'ospedale emiratino con assistenza post-parto e ha aggiunto 12 nuovi posti letto al reparto, portandolo così a una capacità totale di 20 letti e consentendo a più pazienti di ricevere un monitoraggio adeguato dopo il parto.