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"Mia figlia a 12 anni ha affrontato la disforia di genere. Grazie alla terapia è tornata a sorridere"

Cinzia racconta la storia di sua figlia Greta, oggi quasi maggiorenne e il percorso avviato al centro dell'ospedale Careggi di Firenze

di TERESA SCARCELLA -
23 gennaio 2024
Sono gli adolescenti a guidare il cambio di sensibilità del Paese verso la disforia di genere

Sono gli adolescenti a guidare il cambio di sensibilità del Paese verso la disforia di genere

E' già da tempo che si sente parlare di disforia di genere in età evolutiva, di farmaci bloccanti della crescita (triptorelina). In questo periodo a maggior ragione visto che uno dei pochi centri italiani specializzati (il Crig di Careggi) è sotto accusa. Spesso, però, di questi temi se ne parla a sproposito, in termini ideologici e toni allarmanti. Ma la realtà è sempre più complessa di quanto si voglia far credere e parlare di un tema delicato come questo, senza piena consapevolezza, è rischioso. Cinzia è la mamma di Greta, una ragazza, oggi quasi maggiorenne, che anni fa ha intrapreso il percorso.

La disforia di Greta: dall'asilo alle medie

"Ho avuto due gemelli. Mia figlia Greta ha iniziato a 3 anni a manifestare malessere - racconta - perché si sentiva femmina, ma noi non la trattavamo come tale. All'asilo giocava solo con le bambine, ma poi loro la allontanavano e lei diventava violenta, nervosa. Alle elementari aveva anche problemi di apprendimento, i compagni la ignoravano, per loro era come se non esistesse. Avevamo percepito che c'era qualcosa che non andava, ma se suo padre cercava di assecondarla, io facevo più fatica ad entrare in quell'ottica. Era sempre arrabbiata e molto triste. Alle medie, poi, è stata la fine. Greta iniziava a sviluppare e quindi a non accettare il suo corpo e i compagni di classe erano più incattiviti. In seconda media il punto di svolta. Un giorno il padre le chiese esplicitamente se si sentisse femmina e lei rispose: "non mi sento, sono femmina". A 12 anni, quindi, il coming out. Anche se Greta e la madre non amano chiamarlo così. La ragazza era già consapevole di sé stessa, voleva solo che gli altri - a partire dalla famiglia - la vedessero per ciò che era. "Dopo qualche mese mia figlia mi rivelò - continua Cinzia - che ogni sera, prima di andare a dormire, sperava di svegliarsi femmina".

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Si parla di disforia di genere quando si vive, con disagio, un'incongruenza percepita tra il proprio sesso biologico e il genere percepito (foto di repertorio)

L'arrivo al Careggi e l'inizio del percorso

"Un giorno vidi sui social un libro in cui una mamma parlava della figlia transgender - continua Cinzia - la contattai e lì mi si è aperto un mondo che ignoravo e che molti ancora oggi ignorano. Mi indicò il centro multidisciplinare del Careggi. Lì capii che mia figlia non aveva una malattia e che c'era una soluzione. Mi confrontai con più persone possibili e dopo un paio di mesi ci informammo su cosa fare. A quel punto è iniziata la fase "più facile", se così si può dire visto che la vita di una persona transgender in età evolutiva, nel nostro paese, è molto complicata. Bisogna lottare per tutto, anche per i diritti più semplici". Greta e la sua famiglia si sono quindi rivolti al centro fiorentino per la disforia di genere. "Abbiamo fatto i colloqui con la psicologa e Greta si è trovata bene fin da subito. Ancora oggi è seguita da tutta l'equipe. Dopo un anno, e dopo esser risultata idonea, ha iniziato la terapia ormonale che in pratica blocca la pubertà". La terapia farmacologica, infatti, non è per tutti. I pazienti devono risultare idonei in base ad una serie di parametri, tra cui quello endocrinologico per cui il minore deve aver raggiunto un determinato stadio puberale; quello psicologico, ovviamente, per accertare che sia la scelta giusta da fare per il benessere della persona.

L'età adolescenziale

"Con la terapia ha iniziato a stare meglio, ad essere più serena. Un paio di anni fa, poi, ha iniziato a manifestare la voglia di fare il passo successivo: quello della transizione fisica, con relativa cura ormonale. E' una persona privilegiata perché, proprio grazie alla terapia in fase di crescita, non ha la barba, non ha il pomo di Adamo e non ha cambiato voce. Adesso il quadro è quasi dipinto". Due anni fa Greta ha fatto anche il cambio anagrafico, che per lei ha significato un riconoscimento fondamentale. Oggi ha 17 anni, è una studentessa del liceo artistico. "Si sta godendo la sua adolescenza con i pro e i contro che la sua età comporta".

Ostacoli e difficoltà

"Questo percorso, se non fosse per gli attacchi politici, sarebbe più facile - dichiara Cinzia in merito agli ultimi avvenimenti - Io la vivo bene, mi dimentico di avere una figlia transgender, ho una figlia e basta. Ma pensare che si attacchino dei bambini, degli adolescenti, che si strumentalizzino politicamente, mi rende triste. Io ho visto con i miei occhi gli effetti della terapia su mia figlia e non posso pensare che venga attaccato una cosa che non può fare che bene. Ovvio che, come genitori, non siamo felici di dare ai nostri figli dei medicinali, ma questo vale per tutte le terapie, tutte possono avere effetti collaterali. Una volta dato un nome a questa cosa, non ho mai avuto dubbi". Dubbi, appunto. E' proprio su questo che preme il dibattito in corso. "E se poi l'adolescente cambia idea?" è la domanda. Al di là del fatto che lo scopo della terapia con la triptorelina è proprio quello di dare tempo alla persona per chiarirsi con se stesso/a, in modo da facilitare anche un eventuale cambiamento fisico e ormonale che, altrimenti, sarebbe più complesso e quindi doloroso a sviluppo già avvenuto.

Il diritto di essere sé stessi

"Mi rendo conto che per alcuni genitori sia preoccupante, ma chi ha cambiato idea o si è pentito, se ci sono, sono veramente pochi. Dopotutto stiamo parlando dell'essenza di una persona - conclude Cinzia - Non ci si rende conto che i figli non sono nostri, e che spesso tarpiamo loro le ali per tutelare le nostre paure. A chi si trova nella mia stessa situazione vorrei dire: ascoltateli. Non siamo noi genitori a dover decidere per loro. E' la loro vita e hanno il diritto di essere sé stessi. Non è giusto credere di poter convincere gli altri ad essere ciò che non sono o dubitare del loro essere. Assecondarli e supportarli, vuol dire riconoscerli. E per loro, l'essere riconosciuti dalla famiglia è il primo passo, fondamentale".